Poche altre cose mi risultano
maggiormente urtanti del sentire banalizzati o fraintesi i film che
amo.
È toccato giorni fa a Into The
Wild–Nelle Terre Selvagge ricevere tale trattamento, per mano
di Nikki e della cricca di Tropical Pizza (Radio Deejay), i quali
hanno sostenuto, in diretta – forti di un'ascoltatore
intervenuto via sms – che il bel film di Sean Penn, del
quale ricorre il decennale, è perfetto per 'concludere'. Traduzione: limonare.
Sia chiaro: limonare è bellissimo.
Ma la pratica non gode di carta bianca. Voglio dire: uno non
interrompe l'evacuazione perché ha occasione per limonare. C'è un
momento per tutto.
Vi starete chiedendo – immagino –
com'è che il vostro umile cantastorie rientra nel novero degli
ascoltatori di Tropical Pizza. È semplice: penso non vi sia nulla di
più corroborante per la propria autostima del mettersi a confronto
con persone le cui
carriere riteniamo coronate da immeritato successo. Se tale
mediocrità può godere di una base d'ascolto a livello nazionale,
quelli come noi non sono ancora morti. Hanno un domani. Training
autogeno, signori.
Di tutte le sequenze memorabili -
della commistione fortissima con la colonna sonora, del messaggio
politico, dell'interpretazione di Emile Hirsch, della regia naturista
di Penn - Nikki e i suoi hanno ricordato solo la parte dove
un'adolescente Kristen Stuart tenta di sedurre il protagonista. Il
quale, però, da vero radicale, reprime l'istinto abbandonando il campo. E giù risate,
allora, per quel frocio di Alexander Supertramp. E fischi, invece,
per la bella Tracy, figa nomade che loro – la clique di
'Tropical', veri maschi – mai si sarebbero lasciati sfuggire.
Into The Wild come film sulla
fica. Niente male.
Trattandosi di un programma
radiofonico, non poteva mancare la messa-in-onda di Hard Sun,
l'epica canzone che qui nella versione di Eddie Vedder regala allo
spettatore uno dei momenti topici della pellicola: la fuga in
macchina del protagonista (capitolo1: la mia nascita). È stata
descritta dal solito Nikki come una canzone “che va bene sempre, in
ogni momento”. Ecco: dire questo di una canzone che tratta del
rifiuto ad adattarsi, appunto, ad “ogni momento”
istituzionalmente imposto, significa averne del tutto frainteso il
messaggio – o, più semplicemente, non averlo mai afferrato.
Il protagonista di Into The
Wild-Nelle Terre Selvagge fuggiva da quelli come Nikki. E, certo,
pure da quelli che come me gli prestano ascolto.
Per restare in tema di clamorosi
fraintendimenti cinematografico-narrativi, quelli di Radio Freccia,
ieri l'altro, non hanno voluto essere da meno.
Parlando di Mystic River –
forse il film più bello, maturo e riuscito di Clint Eastwood,
insieme a Million Dollar Baby -, hanno dato l'aire all'ennesimo radioascoltatore mediaticamente intervenuto, il quale ha precisato – sentite qui! - che “quel
personaggio”, “quello tutto strano”, “quello che ad un certo
punto viene ammazzato”, lui, il radioascoltatore cioè, non lo
regge, e, giunto a quel punto della visione, puntualmente spegne il
televisore.
Senza vergogna alcuna.
Senza vergogna alcuna.
A parte il fatto che, giunti a quel
punto della vicenda, si è oltre la seconda ora di un film di due e
20, e quindi alla fine. (Avete presente quelle persone che, sostenuti
tutti gli esami all'università, decidono di rimandare la tesi a
vita? Stessa cosa.). Il “personaggio” in questione è Dave Boyle,
protagonista di una vicenda che lo vede sottomesso dalla vita a partire da un abuso subito in
tenera età fino alla morte violenta 25 anni più tardi per mano del
suo supposto miglior amico. Interpretato magnificamente da Tim
Robbins - capace, quest'ultimo, di rendere in maniera straziante e
impietosa tutto il vissuto di estrema sofferenza del personaggio -,
checché ne dicano quelli di Radio Freccia e i loro ascoltatori, non
è semplicemente “quello che viene ammazzato”: rappresenta la
chiave di lettura dell'intero film. E quindi interrompere
impulsivamente la visione di Mystic River a questo punto
significa o non aver compreso o non voler comprendere – che è
peggio.
Mi chiedo: cos'hanno nella testa,
queste persone? Da quando, alla radio, si può banalizzare e
scherzare su di una vittima – qual è a tutti gli effetti il
personaggio in questione - ancorché frutto di invenzione narrativa?
Mi consolo pensando che, con molta
probabilità, anche gli amici di Radio Freccia seguano la tendenza endemicamente italica a parlare di cose, fatti e persone dei
quali non si ha alcuna conoscenza.