Dopo avere spalato merda per anni
addosso a coloro che si imbevono ottusamente di serie televisive
originali, ieri l'altro ho
peccato di incoerenza portando a termine la mia prima visione da
ossessivo: Manhunt: Unabomber.
Otto puntate in quattro giorni.
Prodotto
originale Netflix, è la storia di come i federali americani giunsero
alla cattura e alla condanna di Ted Kaczynski, il famigerato
Unabomber, killer
responsabile di una lunga serie di pacchi-bomba che seminarono il
terrore negli Stati Uniti tra il 1978 ed il 1995.
Conoscere i fatti
narrati certo aiuta (si tratta di una storia vera), ma non è
requisito indispensabile alla comprensione e al godimento della
serie: l'apparato cronologico è chiaro, il ritmo costante.
Sebbene
vanti una star del
cinema del calibro di Paul Bettany nel ruolo dell'attentatore, e
Chris 'Big' Noth nei panni del capo dell'unità speciale,
protagonista della serie è Sam Worthington, ovvero 'Fitz',
sottovalutato profiler
federale il cui talento porterà alla cattura di colui che al tempo
era il ricercato numero uno.
La vicenda è
rivissuta attraverso i suoi occhi. 'Fitz' trasforma l'iniziale
fascinazione per un caso che sente come proprio in una vera e propria
ossessione. Un'ossessione che mette a repentaglio la sua vita
professionale (vuole catturare Unabomber ad ogni costo) e familiare
(sovrappensiero dimentica i figli in una sala cinematografica).
La
serie ha inizio con Unabomber già assicurato alle patrie galere e
'Fitz' incaricato di provarne giuridicamente la colpevolezza per
mezzo di interrogatorio. Da lì gli episodi si snodano tra regolari e
didascalici flasbacks:
La sequenza degli attentati, le reazioni delle autorità federali, la
personalità dell'attentatore e quella di colui che maggiormente ne
ha colto il fascino, l'idealismo, la logica ferrea, la precisione, la
coerenza filosofica ed una quasi inconfessabile assenza di follia.
Cioè 'Fitz' stesso.
Personalmente
, ho trovato la visione di Manhunt: Unabomber
avvincente, ardita, politicamente visionaria. La regia (affidata a
Greg Yaitanes, già apprezzato per molti degli episodi più riusciti
di House M.D.) è precisa, senza divagazioni o tentennamenti
stucchevoli. Le concessioni allo splatter
sono serie, misurate, mai gratuite. Per il resto è un trionfo di
recitazione, di scrittura asciutta e deputata all'azione, di attori
tutti sul pezzo, in particolar modo Paul Bettany - che da, in questa
produzione, una prova di altissimo livello, specie sotto l'aspetto
della caratterizzazione umana.
Ma
l'episodio più bello e significativo è senza ombra di dubbio il
n°6, integralmente occupato da un flashback
sulla vita di Unabomber, dagli esordi scolastici all'esilio nei
boschi del Montana. È la chiave di lettura con la quale gli autori
sembrano fornire la loro visione di questa pagina di storia americana
contemporanea. Le sofferenze dovute alla precocità di
apprendimento; le prime delusioni relazionali; l'inconciliabilità
tra crescita e superdotazione intellettuale; l'incontro epocale con
Henry Murray; un'esistenza che sempre più va configurandosi come
serie di tradimenti subiti o presunti, fino alla consegna di sé alle
cure di madre natura, unica entità percepita come giusta in un mondo
di cinici manipolatori. Il tutto in forma di lettera al fratello. Nel
ricostruire questi ricordi, Unabomber, che nella piccola comunità di
Lincoln è frequentatore discreto e conosciuto della locale
biblioteca e mentore del figlio della curatrice, riflette su come
avrebbe potuto essere la sua vita qualora avesse reagito diversamente
alle tante difficoltà incontrate. E allora eccolo fantasticare una
famiglia, un'esistenza ecologicamente rispettosa, un lascito etico e
comportamentale, un ruolo da grande educatore – quale sarebbe
sicuramente stato -, una sposa ideologicamente complice ed un figlio
cui trasmettere il proprio patrimonio di conoscenza.
È un momento
commovente, scritto benissimo, interpretato da Paul Bettany in
maniera magistrale.
Sappiamo tutti – in particolar modo noi genitori – quanto del nostro personale, particolare sapere venga sperperato quotidianamente nell'affanno della vita urbanizzata, quella stessa che andiamo definendo civile senza più riflettere su quanto diciamo. A Ted Kaczynski mancò, probabilmente, la dedizione necessaria alla creazione di una vera famiglia. Ma a noi tutti manca da troppo tempo il coraggio di scelte radicali e di un impegno coerente con le nostre tante parole.
Sappiamo tutti – in particolar modo noi genitori – quanto del nostro personale, particolare sapere venga sperperato quotidianamente nell'affanno della vita urbanizzata, quella stessa che andiamo definendo civile senza più riflettere su quanto diciamo. A Ted Kaczynski mancò, probabilmente, la dedizione necessaria alla creazione di una vera famiglia. Ma a noi tutti manca da troppo tempo il coraggio di scelte radicali e di un impegno coerente con le nostre tante parole.
Quanto alle
bombe...
Chi di noi
sarebbe capace di nutrire ancora fede nel sistema dopo un trattamento
come quello che l'ignobile professor Murray condusse su di un
adolescente Ted Kaczynski ed altri 21 sventurati?
È notevole che
sia una serie televisiva a stimolare questo tipo di riflessioni. Al
termine della visione, ho spasmodicamente ricercato e letto La
Società Industriale E Il Suo Futuro (Industrial Society And Its Future), il manifesto di Unabomber. Fino
ad allora, devo ammetterlo, ne ignoravo persino l'esistenza. Mi
limito a dire che vale sicuramente una lettura attenta: è di certo
migliore di molti libroidi attualmente circolanti, così come di
altrettanti best-sellers di vario genere.
Si potrebbe
azzardare che vale per Ted Kaczynski quanto sostenuto per Charles
Manson nei giorni seguiti alla scomparsa di quest'ultimo, quando una
serie di improbabili personalità esaltarono il suo pensiero,
ritenendolo slegato dalla sua condotta criminale. Dichiarazioni che
lasciano il tempo che trovano. Manson era un manipolatore
semianalfabeta posseduto da visioni: Kaczynski un individuo
intellettualmente superdotato che a 25 anni (!!) occupava la cattedra
di matematica a Berkley.
L'intelligenza
non è autosufficiente: va coltivata e indirizzata.
Può essere
letale tanto quanto l'ignoranza.
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