venerdì 25 novembre 2016

Regretting Motherhood (Il Rimpianto Materno)

Faccio fronte a quello che spero sia un momentaneo blocco dello scrittore, ospitando un articolo bello e intressante, scritto da Francesca G. Camisa, psicologa psicoterapeuta.

Si tratta di un argomento duro da affrontare, sicuramente controcorrente.

Una posizione che, in questa giornata speciale dedicata un grande problema dell'essere donna, acquista un rilievo particolarissimo.

Un punto di vista nuovo, meritevole di una lettura attenta.

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SE SOLO POTESSI TORNARE INDIETRO .. NON DIVENTEREI MADRE”
Parto da quel concetto che considera l'amore materno circolare, come fosse una sfera. La perfezione, in una sola parola. Può accadere di vivere la gravidanza come una bolla che ci “ingloba” e ci contiene al suo interno facendoci sentire tutt'uno col nostro grembo, fagocitate dal “dentro” e indistinte dal “fuori”, attraverso un legame inequivocabile con la nostra creatura. “Come sarà quest'avventura? Cosa mi attende di qui a breve?” Sono le domande senza risposta che una quasi-mamma si pone in silenzio, per riscoprire il senso di questi interrogativi giorno dopo giorno grazie al legame imprescindibile che va prendendo forma col figlio, dove la riscoperta della vita fa rinascere emozioni. E' lo stupore continuo, inaspettato: ricordo l'espressione rapita della mia bambina durante il racconto della sua prima Cenerentola (un libro quasi storico e fuori produzione che lei ha ereditato da me). Attraverso la fiaba e la sua narrazione, la mia infanzia più bella riaffiorava e diventava sguardo nel suo sguardo, che mi restituiva colmo di nuovi significati (il Vecchio che fa nascere il Nuovo). I figli sono come le rose, mai senza spine aggiungo. Accompagnarli e guidarli nella loro crescita è un percorso complesso e accidentato. Così mi chiedo: è sufficiente un SÌ convinto proveniente dal nostro mondo interno quando decidiamo di dare la vita per farci diventare madri ipso facto? O diventare mamma è una conquista necessaria per potersi poi prendere cura delle nostre creature? Talvolta il SÌ diventa un FORSE, che sfocerà nel DOPO e che si potrebbe trasformare in un MAI. Orna Donath, Sociologa e Ricercatrice dell'Università di Tel Aviv nel suo saggio Regretting Motherhood, divenuto anche libro tradotto in diverse lingue va oltre per raccontarci del così detto MAI PIÚ NELLA VITA, ossia il rimpianto materno. Donne divenute madri di più figli e persino nonne che, guardando alla loro esperienza materna la definiscono attraverso il pentimento ed il rimorso (“se tornassi indietro sapendo quello che so oggi deciderei di non avere mai e poi mai figli”). Attraverso le 23 interviste realizzate con donne tra i 20 ed i 70 anni, la Donath si addentra nel materno utilizzando un concetto chiave: ambivalenza. Essa è il sentimento fondativo della maternità, il materno è ambivalenza. Si crea un'equazione perfetta tra le due che include oscillazioni tra amore e risentimento, il rancore ed il senso di colpa opposti alla tenerezza, la frustrazione che fa breccia tra la gioia. Per la Donath il rimpianto dell'esperienza materna può giungere al punto limite: il sentimento d'inadeguatezza e di ambivalenza, il rifiuto di un ruolo sociale imposto fatto di aspettative eccelse donano sfumature inedite alla maternità ed alla genitorialità, così da farle virare verso il cupo, oltre le ombre che ben conosciamo .. . Il “peso” dell'essere madre è eccessivo, nell'accezione dell'insieme di responsabilità quotidiane e di una cura esclusiva dei figli affidata ad uno solo dei genitori: la mamma. Dalla ricerca della Donath emerge come sia possibile “amare i propri figli incondizionatamente” ma rimpiangere l'esperienza materna in sé, in quanto foriera di disagi ed infelicità non previsti; la maternità, come ogni altra esperienza porta l'impronta della soggettività e della personalizzazione. Qui, la donna è portatrice di sentimenti e bisogni che s'intrecciano al suo ruolo, al suo contesto sociale e religioso, alla sua etnia di provenienza. Possiamo notare la tendenza da tempo (sopratutto nella società italiana) ad appiattire l'identità femminile su di quella materna allo scopo di ottenere coincidenza perfetta che non considera invece la maternità come esperienza in divenire e alquanto fragile, imperfetta (la buona madre tutta-mamma e solo mamma, dove l'identità di donna si annulla per far posto a quella di madre). Scopriamo così che il rimpianto unisce il passato al presente e al “desiderabile”. Il nostro contesto sociale è culturale, ideologico e cattolico, pretende di stabilire quali emozioni siano ritenute appropriate rispetto al ruolo materno. C'è qui una divaricazione evidente tra codice femminile e codice materno. Il primo ha subito un'evoluzione: la donna dipendente, fragile, incapace di autonomia economica e sociale, costretta a gravitare nella sfera maschile alla ricerca di sicurezza e protezione per sé ed i suoi figli ha lasciato il posto alla consapevolezza individuale, all'indipendenza finanziaria e ad un ruolo sociale forte, oltre ad una relazione di coppia paritetica fatta di libertà di scelte (sulla maternità, il divorzio, la professione). E il codice materno? È rimasto identico al passato: tradizionale, romantico, assoluto, soccorrevole e statico. Colei che non si adegua ad esso sarà identificata come una cattiva mamma. E' la madre che si occupa dei figli: il vuoto sociale (dovuto alla mancanza di servizi per l'infanzia e l'adolescenza), il disinteresse politico che considera i figli un prolungamento materno invece che soggetti con diritti e doveri sui quali investire amplificano e alimentano sentimenti che nutrono l'ambivalenza materna. Essa si alterna di continuo tra amore e odio e diventa esperienza dinamica di conflitto. Questo ci riporta alla ricerca sociologica di Regretting motherhood: le madri pentite, così come le non madri per scelta si ritrovano ad avere a che fare con norme sociali che le considerano al di fuori del sistema normativo. Il sentimento di esclusione (e della non appartenenza) grava sulla loro coscienza e trasforma a livello fantasmatico il futuro bambino come Altro-da-Sé minaccioso, da temere. Se la paura della non appartenenza sfocia nella scelta di una maternità, quest'ultima verrà vissuta forse come transizione automatica ed irriflessiva, confusa. La conseguente negazione del ruolo di mamma e del percorso intrapreso per diventarlo è una mera conseguenza così come il desiderio di cancellare “idealmente” l'esperienza materna vissuta. Anche la clinica della fecondazione assistita e le esperienze di depressione e di ansia invalidante a partire dalla gravidanza fino al periodo del post partum evidenziano il fatto che il codice femminile non è più al servizio di quello materno dal quale ha preso le distanze. Non mancano così le versioni patologiche opposte alla maternità, che testimoniano in altro modo la difficoltà a costruire il nostro percorso di madri, fatto di simboli, di presenza ma anche assenza e separazione necessarie. Esistono oggi madri ipermoderne, concentrate in maniera univoca su di sé e sui propri bisogni, incapaci di decentrarsi rispetto al figlio ritenuto una sorta di traino che non dev'essere d'ingombro, per non rischiare di guastare la propria immagine narcisistica (la madre narcisista, appunto). Un'altra versione corrisponde alla mamma-coccodrillo, indistinta dal figlio, presa da un rapporto con lui di sola fusione e appartenenza reciproca ideale, influenzato dal fantasma dell'onnipotenza.
Il desiderio materno se trasceso nel figlio lo aiuta ad acquisire il desiderio della vita, un desiderio unico nel suo genere, grazie ad una madre che riconosce il figlio come tale. La mamma ideale è tramontata? Forse sì. Se iniziassimo a dare spazio a quest'idea potremmo incominciare ad elaborare la sofferenza della perdita, e consentire a queste verità nuove di farsi strada dentro di noi.

Dott.ssa Francesca G. Camìsa


BIBLIOGRAFIA
O. Donath, Regretting Motherhood: a Sociopolitical Analysis, University of Chicago, 2014.
M. Recalcati, Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno. LaFeltrinelli Editore, 2015.

E. Rosci, estratto da La maternità può attendere, Mondadori Editore, 2013, intervista all'autrice sul “Corriere della sera – la 24esima ora” del 11/05/2013.

mercoledì 16 novembre 2016

TEN SONGS (Hit Parade)

Siamo quel che mangiamo. Vero.
Ma siamo anche quel che ascoltiamo.
Grandi nomi della musica e delle neuroscienze (specificamente Daniel Baremboim ed Antonio Damasio) lo hanno ripetutamente dichiarato e dimostrato: i due fori che noi mammiferi superiori portiamo ai lati del cranio, senza che peraltro ci sia data facoltà di occlusione, stimolano il pensiero, con risultati che dicono di noi più di un curriculum vitae. Ciò che vi facciamo transitare, nei suddetti fori, è, a grandi linee, né più né meno il cibo che riteniamo adeguato al nostro appetito intellettuale. Inoltre, sul versante psicologico, grande euforia o profonda depressione possono seguire ad ascolti rispettivamente arricchenti o abbruttenti.
Ed è su questi ultimi che ci soffermeremo in questa occasione, al fine propositivo di arginare l'avanzata del brutto, e annientarne gli effetti distruttivi mediante il suggerimento di appropriati antidoti.
In questo elenco potreste trovare alcuni dei vostri artisti preferiti. Niente panico: vuol solo dire che ascoltate musica 'dimmerda'.
Ecco allora le...

DIECI CANZONI DOPO LE QUALI IMPICCARSI (METAFORICAMENTE)


10 - Ragazza Magica (Jovanotti)
Non pago di un successo che gli ha dato tutto, e di avere dichiarato che chi critica la sua musica “non capisce un cazzo”, il Lorenzo ci fa presente che anche sceso dal palco la sua vita non perde di slancio, grazie alle qualità uniche e taumaturgiche della sua ragazza. Antidoto: Anna Is A Speed Freak (Pure).
9 - Be The One (Dua Lipa)
Nonostante il problema con le spirate e le difficoltà di sincronizzazione con il playback, la ventenne kosovara insite nel farci presente che lei potrebbe essere 'quella giusta'. Cantante, autrice, donna, partner, modella. Di studiare, manco l'ombra. Antidoto: One (Aimee Mann).
8 - Londra (Bluvertigo)
Questo è quel che succede quando, sotto sotto, non hai mai smesso di fare il ragazzino, e scimmiottare i tuoi idoli. Secondo il leader del quartetto padano, se non comprendi quel che lui in persona decanta nei testi della band, problemi tuoi. Se lo comprendi e non vi trovi significato, è nonsense. Antidoto: Down On The Street (The Stooges).
7 - Santa Klaus Is Coming To Town (Laura Pausini)
Questo è quel che succede, invece, quando ci si reputa indispensabili: davvero ci serviva l'interpretazione della Laura nazionale per la rivisitazione di cotanta stucchevolezza? No. Il Natale è già difficile di suo. Con una simile colonna sonora non resta che la fuga. Antidoto: Reign in Blood (Slayer).
6 - Party Like A Russian (Robbie Williams)
Magnate indiscusso della composizione a la carlona, l'ex Take That, oggi ufologo, dona al mondo l'unico brano che, di questi tempi, poteva trovare un investitore nell'Inghilterra della Brexit: un attacco a Vladimir Putin in forma di canzone, testo delirante e campionamento da Prokofiev. Antidoto: Wanna Be Startin' Somethin' (Michael Jackson).
5 - G Come Giungla (Ligabue)
Qui il 'Liga' canta dei tuoi e miei problemi, con un fare che altrove rispetto al Bar Mario gli procurerebbe un sacco di guai. Lobbysmo, darwinismo e psicodinamismo spicci, vieto buonsenso e un pizzico di presunzione. I tuoi problemi, non i suoi - capisci? Antidoto: Welcome To The Jungle (Guns 'n Roses).
4 - Grande Amore (Il Volo)
Se il ministero della salute volesse impegnarsi in una campagna per l'educazione sessuale della penisola più bigotta dell'emisfero boreale, questa canzone ne costituirebbe la giusta colonna sonora. Si rabbrividisce al pensiero che i minorenni del trio possano averne concepito musica e testo. Antidoto: Happyness In Slavery (NIN).
3 - The Reason Why (Lorenzo Fragola)
Impiegare una lingua che nel tuo paese d'origine è odiata e misconosciuta, sostanzialmente per dire cose delle quali che ti vergogni. Questo il succo della hit del vincitore di X Factor 2014. Autocelebrazione eterodiretta. Da chi? Basti vedere le facce che compaiono nel videoclip. Antidoto: You (Radiohead).
2 - Nessun Grado Di Separazione (Francesca Michielin)
La prova provata che, se sei troppo giovane, non hai veramente nulla da dire (e il tanto citato talent latita). Qui siamo alla nipote che la canta al nonno. E se il nonno fosse stato il Clint Eastwood di Gran Torino, erano cazzi. Antidoto: Occupo Poco Spazio (Nada).
1 - Rosetta (Vangelis)
Scritta per la missione spaziale europea Rosetta – ma pagata profumatamente da noi contribuenti -, questa pagina si propone, con piglio da neomelodico, di fornire la colonna sonora alle imprese degli astronauti nostrani. Un modo certo per tenere lontana qualsivoglia forma di vita aliena. Antidoto: Tabla (Jon Brion).

Buon ascolto a tutti.