martedì 2 gennaio 2018

SCHOOL'S OUT (FOREVER). Il mio personale trauma scolastico.


David, continuo a chiedermi come da ragazzo innocente sia potuto diventare ciò che sono.
Credo sia stata colpa di Harvard.
Già: non sai nemmeno di quello.
(Ted Kaczynski)
Ricordo che da bambino, al tempo della scuola, la maestra aveva l'abitudine di dare pubblica lettura al migliore svolgimento del tema in classe. L'estensore veniva nominato davanti ai compagni ed invitato in cattedra a leggere la propria composizione.
Le tracce erano, chiaramente, quelle proprie del genere: la vacanza al mare; la gita in biblioteca; il compagno di banco; la mia città; il lavoro di papà; la visita alla Collegiata; il parco cittadino (sic); i vigili urbani; parla del tuo sport preferito; scrivi il tuo pensiero sulla scuola che frequenti e via dicendo.
Nonostante ritenessi già allora di possedere doti di scrittura ben superiori a quelle dei compagni pluripremiati e assunti a modello, ricordo che non ebbi mai l'onore di essere chiamato a tenere il public reading alla classe.
Il mio più grande insuccesso editoriale, all'epoca, fu il tema con traccia libera che scelsi di dedicare all'attentato al Papa. Avevo solo nove anni, ma già vantavo diverse, dettagliate, compulsive letture del quotidiano di casa: il 'Corriere'. Il tema stava scritto in uno stile giornalistico di maniera - l'unico che mi fosse dato di possedere. Al suo interno erano riportati data, luogo, ora e contesto dell'attentato, più una dissertazione di pura fantasia sui Lupi Grigi – il gruppo terroristico turco indicato come mandante. Sognavo di raccontare i fatti come fossi stato Paolo Frajese – allora, uno dei miei miti. Quattro facciate formato A4 scritte fitte, accettabili, quanto meno, per aderenza e fedeltà al modello assunto. Va da sé che neanche ciò, il massimo dello slancio e dell'arditezza, fu sufficiente a farmi rientrare nella selezione. 'Le torte di mele della nonna' e 'il mio cane Bolfo' continuavano a conquistare puntualmente nomination e statuetta – un po' come oggi la notizia futile, irrilevante, quando non addirittura infondata (fake), cattura più lettori dell'inchiesta o dell'elzeviro.
Ricordo inoltre che non solo in occasione di questa eclatante esclusione (o forse dovrei scrivere 'censura': teniamo presente che al tempo preti e suore occupavano sistematicamente le cattedre di religione della scuola dell'obbligo), ma anche di altre ben più modeste, non vi fu mai, da parte dell'insegnante, una spiegazione che riguardasse il criterio di selezione/esclusione, un'analisi condotta in presenza dell'allievo delle inadeguatezze della propria composizione, o il suggerimento di soluzioni narrative in grado di migliorare l'apporto comunicativo. Allo stesso modo, erano assenti pure le motivazioni per le nomine. Insomma: la maestra era, né più né meno, la mano di Dio, colei che separava il bene dal male, i vincitori dai vinti.
Come sia possibile che uno con questi trascorsi scolastici non si sia votato ad un'anarchismo estremo, si spiega solo con un miracolo della civilizzazione.
Mi chiedo, a volte, quali possano essere stati i modelli di scrittura di questi insegnanti, quali fossero le loro letture lontani dai testi obbligatori, e a quanto ammontasse il rapporto con la parola scritta che non fosse quella di un verbale d'istituto, di una nota disciplinare, un giudizio di merito a fine anno o un concetto preconfezionato. All'idea di una risposta, sono percorso da brividi per ciò che potrei sentire e dedurre. Perché, checché se ne dica, nessuno, nemmeno un genio, può permettersi il lusso dell'originalità: tutti, per periodi più o meno lunghi della nostra vita, ci rapportiamo ad un maestro, ad un modello.
Quando ho avuto l'idea di questo blog, tre anni fa, il primo compito è stato togliermi dall'impaccio di una scrittura che era andata atrofizzandosi. Pesante, poco scorrevole, dotata di uno slancio debole. Perché questo succede quando non si coltiva debitamente la parola scritta. Poi, nel tempo, mi è sembrato di ritrovare la forma. Più riacquistavo confidenza con la scrittura – con la mia scrittura -, più avevo l'impressione di riuscire a pensare meglio. Ricordate lo sfogo di Nanni Moretti in Palombella Rossa, quando dice che chi parla male “pensa male e vive male”? Beh: penso valga anche per la parola scritta.
Forse vi state chiedendo il perché di tutta questa analisi, indulgente come non può non essere ogni azione autorefenrenziale.
Nutro un profondo disprezzo per coloro che mi giudicano senza conoscermi (è successo di recente).
Penso sia da ricondurre a quella mancata gratificazione d'età scolare.

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