sabato 14 gennaio 2023

PALLE AL CAZZO DEL 21ESIMO SECOLO (“IT'S ALL BOLLOCKS”). Il fenomeno Yungblud.

Vi sono diverse ragioni di carattere personale, a spiegare la mia improvvisa infatuazione per Yungblud. L'aspetto esteriore, una certa qual tendenza al travestitismo, l'Inglese genuinamente brit, il fatto non trascurabile dell'essere un millenial con ancora del sangue nelle vene e, ça va sans dire, trattandosi di un artista pop, le sue canzoni.
L'incontro, se così si può dire, è avvenuto grazie ad un promo, propostomi dall'algoritmo della 'rete', per quella che è stata la sua apparizione a X Factor Italia di qualche mese fa.
- E chi cazzo è, questo belloccio carico a pallettoni? - mi sono detto.
A parte il fare diretto, spigliato, ma non sfacciato, mostrato nel videomessaggio, è stata principalmente la parlata northener (Yungblud è originario di Doncaster, 50km nord-est di Sheffield, il cuore duro dell'Inghilterra working class) a rendermelo simpatico fin da subito.
Yungblud, scopro, è un artista di conclamato successo commerciale.
Classe '97, comincia a scrivere canzoni all'età di diciassette anni. Appartiene a quella generazione di giovani inglesi che, all'esordio nella cabina elettorale, viene chiamata a decidere riguardo alla Brexit, il più grande evento nella storia moderna britannica dopo la decolonizzazione e lo scioglimento dei Beatles. Il suo primo singolo, King Charles, con qualche aggiustamento interpretativo, è facilmente riconducibile a questa esperienza generazionale.
Nel giro di soli quattro anni passa dalle serate nei “peggiori bar di Caracas” al tutto-esaurito alla Brixton Academy di Londra , strappando recensioni entusiastiche persino ad una rivista gloriosamente hard-edge come Kerrang. (Un tempo Kerrang, che non è esattamente Rolling Stone Italia, è stata la Bibbia dell'heavy metal a livello planetario. Oggi, cessata la diffusione cartacea e riconvertitasi ad una critica di costume più al passo con i tempi, non si fa problemi a recensire positivamente, con leggerezza, competenza e senso della misura, il concerto di un idolo pop quale Yungblud, a dimostrazione che a] è possibile cambiare, se lo si desidera davvero; b] c'è ancora fermento, nell'underground britannico.).
Nello stesso periodo della serata di Brixton, viene pubblicato il suo primo album, una raccolta di brani in cui l'eclettismo stilistico risulta perfettamente funzionale alla messa in risalto dei testi. (Questa, e solo questa, è la grande missione del pop. Non innovare, bensì comunicare attraverso l'impiego di forme e stili codificati.).
Da allora, il suo seguito è cresciuto in maniera esponenziale, e ad oggi sono poche le
venue in grado di contenere il richiamo esercitato dai suoi concerti.
Punto.
Ora, chi scrive di musica o di costume, in Italia, non può, suo malgrado, non tenere conto del contesto nel quale si trova ad operare. Il paragone con quanto sta fuori dai confini del paese è, come sempre, inevitabile, quasi fosse un atteggiamento ormai inscritto nei geni in ragione della sua infinita ripetizione.
A patto, beninteso, di non essere un nazifascista od un ottuso della prima ora – che è poi la stessa cosa.
Il successo di Yungblud, al di là dell'aspetto e dei meriti artistici, è da attribuirsi essenzialmente all'ironia, al disincanto; una certa trasparenza; una personalità inusuale per un
millenial, e alla capacità, sempre più rara, di non prendersi troppo sul serio, di ridere in faccia alle proprie sventure. È assai probabile che lo stesso suo seguito risulti sprovvisto di queste caratteristiche salvifiche, e che, comprensibilmente, veda in lui, né più né meno, ciò che vorrebbe essere una volta alzatosi la mattina. Scrive Spin Magazine, in un recente servizio: “Se Yungblud si mettesse a capo di una setta, è certo che lo seguirebbero in molti. Dispone di un'aura, di una visione e di un'affabilità davvero contagiose”.
Quale artista, da noi, è capace di un simile atteggiamento? Aprire il disco d'esordio con il discorso commemorativo delle tue esequie, ridere all'immagine che queste possano andare deserte, fantasticare una lobotomia all'A.S.L. pur di farla finita con certi pensieri e da lì muovere per parlare di disagio, di sedazione, di malinconia, di sogni che si pensano irrealizzabili, di stragi e di amori che non stanno né in cielo né in terra.
È importante ricordare che stiamo parlando, qui, di un giovane di appena 20'anni appartenente alla generazione più inetta e problematica mai vista.
Dite: chi sono, in ambito italiano, i coetanei di Yungblud?
Chi, di questi, avrebbe il coraggio di intitolare il proprio disco d'esordio
21st Century Liability anziché Teatro d'Ira Vol.1? (Traduco per i “poveri in ispirito”. Nella lingua di Sua Maestà, liability è termine che definisce sia la responsabilità penale della persona fisica, in ambito giuridico, sia, nel gergo famigliare, il peso metaforicamente inteso, duplicità che, conseguentemente, etichetta il nostro come qualcosa a metà strada tra il problema e la palla al cazzo, ma attraverso un lemma rubricato come tecnico e forbito dal Merriam-Webster Dictionary of standard English.).
Perché l'Inghilterra, con i tanti e non poco gravi problemi che l'affliggono, riesce comunque a partorire un giovane capace, con un verso, di definire un'intera generazione, nessuno escluso (“
In a place where they fail to inspire / I'm drinking the bleach so that I feel the fire” sembra scritto da uno che ha appena terminato la lettura di un saggio di Umberto Galimberti sul nichilismo), mentre noi tutto quello che sappiamo fare è andare in delirio per un brano come Beggin'?
Vi siete mai concentrati, per un secondo, sul testo di
Beggin''?
MA DI COSA STIAMO PARLANDO?