lunedì 11 marzo 2019

HOT FOR TEACHER 2. Vittorio Feltri e l'etica (mancante) della responsabilità.

Vediamo di capirci, senza grandi giri di parole.

Per Vittorio Feltri, giornalista e direttore di Libero, se un'insegnante da alla luce un figlio il cui concepimento ha avuto luogo in sede di ripetizioni con l'allievo tredicenne (è accaduto in quel di Prato), quest'ultimo, semplicemente, si è fatto una sana scopata, né più né meno, e può ringraziare il cielo per lo straordinario anticipo con cui ha avuto accesso alle gioie terrene rispetto alla media dei coetanei. Questo quanto scritto, in soldoni, nel suo editoriale della domenica.

Punto.

Pier Paolo Pasolini, che nella sua opera di poeta, scrittore, saggista, regista cinematografico e teatrale si confrontò spesso con il tema dello scandalo, visto sia come fenomeno sensibile che come oggetto di analisi, sosteneva che 'moralista' è colui che rifiuta non solo lo scandalo, ma anche, e soprattutto, il farsi scandalizzare, l'accettare di farsi scandalizzare.

Pertanto, in omaggio alla lezione pasoliniana, considerando me stesso come persona aperta allo scandalo, mi asterrò da un giudizio morale sull'uomo e sul professionista Feltri: se sono queste le fantasie che gli permettono di vivere l'esistenza come dotata di senso e foriera di gratificazioni, ben venga. La scelta e e ciò che ne consegue, umanamente e penalmente, sono affar suo e solo suo.

Dal punto di vista etico, invece, qualche giudizio va emesso.

Il nostro paese, è utile ricordarlo, è quello dove orge di lusso in stile Eyes Wide Shut hanno avuto luogo a livello governativo - e, più in generale, di potere - con una tracotanza ed una  reiterazione tali da portarne le gesta in sede giudiziaria (il processo Bunga-bunga) con le conseguenze che sappiamo (a meno che non si legga Libero o Il Giornale). (Avendo appena citato Pasolini, è anche utile ricordare come egli avesse profeticamente previsto ed analizzato nelle sue nefande conseguenze proprio questo tipo di degrado etico del potere e dei suoi rappresentanti, nel film Salò O Le 120 Giornate di Sodoma, del 1975.). Pertanto, un così ampio spostamento del confine del lecito da parte della categoria che, piaccia o no, è ancora, per tradizione, quella da cui deve venire l'esempio, ha comportato tutta una serie di assestamenti nel campo dei costumi civili e politici che l'editoriale di Feltri, debitamente intitolato 'Una prof ha un figlio dall'allievo 14enne. Scandalo? Non direi.', ben rappresenta.

Prova di questo nuovo assetto etico, la candida lettura fattane stamane (10 marzo), durante la rassegna-stampa, da Angela Mauro dell'Huffington Post nostrano: senza, cioè, fare la benché minima piega. Come leggendo un pezzo sulla Festa dell'Unità o sull'Isola dei Famosi. E, quando richiamata ai propri doveri etici da un radioascoltatore disgustato, intervenuto telefonicamente, con l'aggiunta: "Caro signore: siamo in democrazia.". Capite? Capite quale pasta umana l'Ordine dei giornalisti ritiene adeguato al ruolo? Quale sia il concetto di democrazia che abita la testa di una professionista regolarmente iscritta all'albo?

Nell'editoriale in questione, Feltri ha sparato ad alzo-zero. Oltre alla conclusione riportata in apertura di questo scritto, il direttore di Libero sostiene che, se proprio si vuole contestare la condotta della frizzante insegnante, le si dovrebbe imputare la mancata assunzione di un'anticoncezionale che avrebbe di certo evitato la seccatura del riconoscimento e del conseguente mantenimento del piccolo. Per il resto, non ha ucciso nessuno, dice il nostro (ed anche qui va sottolineato lo sconcertante silenzio di Mauro, sebbene la versione di Feltri sia palesemente sessista e pure a ridosso della giornata della donna). Non è, questo, un perfetto esempio di irresponsabilità?

Mi è venuto subito da pensare che con un articolo così, nel North Carolina, per dirne una, quasi sicuramente finisci in galera. Ma questa è solo una considerazione marginale. Da noi non solo non ci finisci, in galera, ma è anche probabile ti venga tributato un bell'applauso. Questa sì è la vera conseguenza di vent'anni di berlusconismo: la quasi totale corruzione dei costumi che ha interessato la nostra società nella sua interezza, dalla politica all'informazione, dai cosiddetti opinionisti alla pubblica opinione.

"Lascereste mai vostra figlia di quattro anni con quest'uomo?", ironizzava Charles Bukowski, quasi certamente riferendosi a se stesso.

No. Non la lasceremmo, caro vecchio Hank.

Come non lasceremmo una qualsiasi testata giornalistica in mano ad uno come Feltri.

Ma quella era la California. Questa la Padania.

In conclusione: se leggi Libero e ti ci riconosci, te lo meriti.

sabato 2 marzo 2019

COMBATTERE LA CHIACCHIERA. Una serata con Alessandro M. Carnelli.

È da tempo che avverto in me il disagio, l'apatia e l'insoddisfazione determinati da quest'epoca di chiacchiera imperante ad ogni livello.

Si ha davvero l'impressione, ascoltando le persone negli immancabili sermoni quotidiani, che la chiacchiera da Bar Mario, sdoganata nel bel paese quasi trent'anni fa dall'omonima canzone di Ligabue, sia ormai divenuta un vero e proprio codice di riconoscimento, similmente ai cori da stadio dei tifosi del calcio o alla danza maori dei rugbisti neozelandesi, per una categoria umana - i cosiddetti tuttologi - vasta come un'area di consenso maggioritario. E il bar il contesto naturale, l'habitat - dove detto codice si imprime e sviluppa, odierna e depauperata versione del caffè letterario.

Vi chiederete - si spera - perché qusto riferimento, alto, al caffè letterario: perché Alessandro Maria Carnelli, amico, direttore d'orchestra, musicologo e conferenziere del quale ho già avuto modo di scrivere in un precedente post, è esattamente il tipo di persona che avreste potuto incontrarvi all'interno, se solo il suo concepimento fosse avvenuto con anticipo di un secolo. Colto, appassionato, realista, attento alle avanguardie, e dotato di un senso dell'umorismo pronto e tagliente a protezione dagli incanti dei falsi profeti.

Pagato pegno all'italica pratica dell'inchino (che si spera possa tradursi in inviti a gratuitamente imbucarsi alle prossime stagioni sinfoniche che lo vedranno sul podio), quella di ieri sera con Alessandro Carnelli, la conferenza dal titolo 'Notte Trasfigurata: donna e società nella musica e nella cultura della mitteleuropa di primo '900. Conversazione con Alessandro Maria Carnelli', è stata l'equivalente di una vera e propria gita in montagna, dove gli intervenuti hanno potuto respirare a pieni polmoni, per un'ora e mezza abbondante, l'aria purissima di chi parla non per chissà quale imposizione, bensì per naturale vocazione: per scelta, competenza ed inossidabile cognizione di causa. Esattamente i tratti che molte (troppe) istituzioni, culturali e non, non riescono più a garantire.

Voluta dalla Consulta Femminile di Arona (alla quale va, come minimo, il plauso per il coraggio ed il gusto della scelta) in vista dell'8 marzo, la serata si è articolata in una esposizione a braccio inframmezzata dall'analisi di esempi dell'iconografia dell'epoca in analisi, e dagli ascolti - meravigliosi - da Tristano e Isotta di Richard Wagner e Notte Trasfigurata di Arnold Schönberg, interrotti con enorme sofferenza dal Maestro per questioni di tempo - argomenti, tutti,  pescati a piene mani dal lavoro che, lungo questi ultimi anni, Alessandro Carnelli ha svolto sul tema, sfociato nel notevole ed apprezzato saggio 'Il labirinto e l'intrico dei viottoli: Verklärte Nacht, di Arnold Schönberg', e nel disco Towards Verklärte Nacht, registrazione di rara coerenza programmatica e particolare bellezza.

Alessandro Carnelli ha affrontato un argomento che nell'italietta 2019 può serenamente dirsi impopolare e difficile. Lo ha fatto con chiarezza espositiva, senza inciampi, con la propria personale volontà (da grande divulgatore) a mettersi sul piano degli intervenuti, così catturando l'attenzione anche dei più malmessi (io: ero morto di sonno).

Sui contenuti dell'esposizione non mi esprimerò, pena il rovinare il bel lavoro fatto dal Maestro: rimando tutti di cuore alla lettura del libro e all'ascolto della registrazione che non solo possono arricchire chiunque vi si accosti con un minimo di disposizione ad apprendere e doverosa umiltà, ma anche costituire un ottima idea per un regalo speciale, diverso, da darsi, possibilmente, a soggetti meritevoli di cotanta cura e raffinatezza.

Sulle conclusioni, invece, dirò, per trasparenza, a cosa sono giunto, visto che da un incontro di questo tipo si spera di tornare a casa almeno un po' scossi nelle proprie personali certezze.

Si fa un gran parlare, a livello politico, di quote rosa (termine villano e fuorviante) come fosse una scoperta scientifica di lor signori, bellamente ignorando come la grande cultura mitteleuropea della Vienna di fine secolo, per mezzo dei suoi migliori esponenti, avesse già inquadrato il problema esattamente negli stessi termini con cui si pone oggi a noi moderni - che  con la definizione 'quote rosa' cerchiamo appunto di rivendicarne la paternità e financo la ricerca di una soluzione (!), in una sorta di buio anno zero, incapaci di riconoscere che senza una svolta genuinamente culturale questo paese, al massimo, passerà dalle quote rosa a quelle nere, nere come le camice che già marciarono per le strade della civilissima Europa quasi un secolo fa e che oggi si tingono magari di altri colori, ma che sotto sempre nere rimangono.

La conversazione con Alessandro Carnelli mi ha ricordato due esempi che vado subito a riportare - e che spero non urtino la sensibilità del Maestro, quando si vedrà ad essi accostato senza previa autorizzazione.

Il primo è Aldo Carotenuto, defunto docente di Psicologia presso La Sapienza di Roma, quando sosteneva: "Per qualunque disciplina, nel momento in cui esponiamo un problema, per quanto complesso e oscura possa essere, se veramente ne abbiamo compreso il nucleo la relativa descrizione sarà necessariamente chiara ed esauriente.".

Il secondo è la figura del professore descritta da Massimo Recalcati ne L'Ora di Lezione. "L'insegnamento non dipende da una retorica o, come si dice oggi, da una capacità o da una tecnica di comunicazione, ma dal carisma di chi parla, ovvero da come sa rendere vivi, far vibrare gli enunciati che trasmette. Dipende dalla forza enigmatica della sua enunciazione.".

Ieri sera ho pensato che sarebbe stato bello, se avessi avuto, da studente ignorante quale sono stato, un insegnante così.

Poi, però, mi è tornata alla mente anche una frase che lo stesso Maestro riportò nel mentre io e lui si parlava seduti su una panchina, mesi fa. Mi diceva del giudizio lapidario che un commerciante della città (Arona) aveva espresso in sua presenza riguardo l'impatto sulla cittadinanza di alcune recenti iniziative culturali: "Certo che questi eventi, di lavoro, non ne portano.".

Ecco. In un'Italia culturalmente siffatta, che legge Fabrizio Corona ed è incapace di concepire la cultura svincolata da un bilancio di esercizio, serate come quella di ieri hanno l'efficacia di un vaccino esavalente.

Buon lavoro, Maestro. E grazie.