domenica 21 gennaio 2018

L'ULTIMO JEDI. Il ritorno sulle scene di David Letterman.


È bastato visionare i primi cinque minuti del nuovo show di David Letterman (My Next Guest Needs No Presentation, With David Letterman) per rendersi conto del vertiginoso livello autorale espressovi – livello che ad occhi italici evidenzia pesantemente l'abisso tra questa televisione e quella nostrana, con personaggi come Maurizio Costanzo, Fabio Fazio e Paolo Bonolis che ancora sono visti come di-riferimento, pionieri, fari nella notte, professionisti dell'intervista.
In questo arco di tempo, Letterman è infatti riuscito ad ironizzare su: se stesso (“Mi chiamo David Letterman. Avevo uno show. Poi sono stato licenziato.”); la piattaforma Netflix (“Non ho capito cosa sia, ma so che quando è in funzione, il livello di inquinamento elettromagnetico di casa vostra aumenta esponenzialmente.”); una persona del pubblico offertasi di indovinare il nome dell'ospite della puntata (“Figlio di puttana...”).
Cioè, le tre cose più importanti per ogni personaggio televisivo: il proprio ego; l'emittente che ne produce il programma; il suo pubblico. Tutti trafitti, infilzati dalla spada dell'irriverenza, così, sul nascere, ancora prima che uno se ne renda conto. Letterman è un picchiatore alla Tyson che punta al KO al primo round e lo ottiene.
Traduzione. Vuoi essere credibile? Vuoi essere credibile nell'era della menzogna, del doppio gioco, della manipolazione e delle fake news? Abbi il coraggio di ridicolizzare te stesso, il tuo capo e persino chi ti ama, e da lì in avanti ogni tua sillaba sarà parola di vangelo. È questa la lezione di Letterman.
(L'equivalente, nella televisione italiana – imbarazza dirlo -, è senza dubbio Bruno Vespa che ospita Silvio Berlusconi a Porta A Porta. O Fazio con Matteo Renzi a Che Tempo Che Fa. Sulla caratura degli invitati e la qualità, rilevanza e formulazione delle domande, ognuno è grado di farsene un'idea semplicemente visionando il tutto con pazienza e molta tolleranza.)
Abbigliamento di Letterman per la puntata d'esordio: completo blu scuro con camicia bianca e cravatta blu chiaro a pois, e pantalone privo di orlo, intenzionalmente arrotolato al fine di esporre un emblematico calzino bianco. Ma, soprattutto: barba incolta stile senza-tetto – per intervistare il 44esimo presidente degli Stati Uniti d'America, Barack Obama,  proprio in un periodo di presidenziale 'caccia alle barbe' (spero di essermi spiegato).
Lo show è del tutto privo di orpelli. Niente scenografia, niente band, nessuna luce sgargiante, nessuna rubrica, nessuna scrivania né, tantomeno, tazze o bicchieri d'acqua, pieni o presunti tali, con logo del programma. Solo il suo conduttore, due poltrone, un ospite per puntata ed una grande disponibilità a mettersi in discussione secondo la tradizione tutta statunitense del talk show. Unica eccezione: l'inserto, girato in esterna, in compagnia di una personalità in qualche modo legata all'ospite della puntata. Nella prima, l'onore è toccato al delegato della Georgia John Lewis, ripreso insieme a Letterman nel mentre attraversa il ponte Edmund Pettus di Selma Ala., lo stesso lungo il quale, nel 1965, condusse, a rischio della propria vita, la marcia di protesta contro la segregazione dei neri. È un momento commovente, di grandissima passione civile, che Letterman affronta con la giusta umiltà, fornendo, in tal modo, il più politico dei messaggi. Consiglio a tutti di vedere questo frammento: parla ai nostri cuori di coraggio, dignità e diritti universali. Materia che va scarseggiando, di questi tempi.
All'ottavo minuto del primo tempo, Letterman pone fine ad una serie di quesiti sulla sua vita post Late Show che il Presidente Obama gli aveva simpaticamente e sinceramente posto, dicendo: “Ora, Le spiego come funziona: io Le faccio delle domande e Lei, Lei risponde.” (seguono risate divertite del pubblico). Esiste una possibilità anche remota, secondo voi, che un esponente della nostra inqualificabile classe politica, sia esso di piccolo o grande cabotaggio, risponda ad una simile sollecitazione semplicemente stando al gioco come ha fatto Obama, senza minimamente accennare alla polemica o alla fottuta par condicio?
Ci stiamo preparando all'ennesima campagna elettorale, ed è forse proprio questo il momento per dire le cose come stanno, almeno tra di noi. Provate a pensare: quando mai, noi italiani, sentendo annunciato a sorpresa uno Scalfaro, un Cossiga, un Napolitano o, checché se ne dica, un Mattarella, ci siamo sentiti infervorati, privilegiati e desiderosi di ascoltare le loro parole similmente a come il pubblico di Letterman ha fatto con Obama, quando questi è stato annunciato a sorpresa - accolto sul con un tale entusiasmo da provocare eccitazione persino in me, che ne salutai positivamente la nomina nel 2008 per poi gradatamente calmierare gli entusiasmi alla luce di risultati e politica estera Yankee? Quando mai abbiamo sentito uno di questi signori parlare con distacco, in maniera rilassata, di sé e della propria esperienza politica? Quando mettere in gioco la grazia e la misurata ironia impiegate da Obama per quella che, con molta probabilità, passerà alla storia come la sua più importante intervista - sorta di rovescio di quella più celebre di David Frost a Richard Nixon? Nel migliore dei casi, l'istinto è quello di alzarsi e lasciare la sala. In tutti gli altri si sconfina nel penale.
Eppure è di questo che dovremmo parlare, in questa tornata elettorale. Non dei programmi, che sono importanti, ma non spiegano l'assenza di interesse, la disaffezione, il poco rispetto e la totale mancanza di fiducia tributati alle persone della politica, di ogni posizione e tessera.
Che la nostra televisione, tutta, non sia in alcun modo capace di simili proposte, è certamente un segno dei tempi.

Nessun commento:

Posta un commento