sabato 26 dicembre 2015

I CAN Get No Satisfaction

Non è capace di riassumere ed appassionarsi ad un testo scritto.”
(da: Indagine OCSE su Facoltà del Mondo Adulto 2015)

“Ho letto qualcosa del tuo blog. . . era un po' lungo – oh no? E poi non capivo un cazzo. . . non so.”

Quando tieni un blog, ed uno dei tuoi lettori si avvicina, di persona, per dire te parole come queste, beh: son soddisfazioni. Non c'è che dire.

È di oggi (25 dicembre) la notizia dei risultati di uno studio OCSE, che vedono il nostro paese primeggiare nellla classifica dell'analfabetismo funzionale, con un tasso pari al 47%. Quando tieni un blog, son soddisfazioni anche queste. In conseguenza di ciò, tu, blogger, hai almeno un valido motivo (un alibi?) con cui replicare a cotanto 'complimento'. In più, il dato spiega in maniera esauriente per quale ragione, ogni santo giorno, noi si abbia a che fare con schiere di rincoglioniti.

Nel caso in questione – il giudizio sul blog -, le cose sono due. Partiamo dalla più rilevante, saluto delle armi con chi me le ha cantate per bene. Ritenendomi montanelliano in diverse scelte etiche di scrittura, aderisco alla tesi che segue: se il lettore non capisce, la colpa è di chi scrive, non di chi legge. Touché, amico: se, come comunicato, non hai “capito un cazzo”, colpa mia. Da domani solo posts con cuccioli d'animale e pietanze nostrane.

La seconda vede però i ruoli invertirsi con simmetrica proporzione. Sempre a seguito delle succitate scelte, cerco di calmierare i miei scritti con una basilare quanto antica regola della scuola giornalistica statunitense: una tesi deve vedere il proprio succo enunciato in non più di settecento parole. Se non sei in grado di produrti in un simile compito, il giornalismo non è il tuo mestiere – e la tua facoltà di comprensione necessita quanto meno di revisione. Tranne quando in preda alla logorrea, è questa una regola che mi riesce di rispettare. Quindi niente cuccioli né pietanze.

Se settecento caratteri o poco più (l'equivalente di due pagine di un qualunque tascabile in commercio) sono sufficienti per a) decretare la lunghezza del testo come eccessiva b) impedire di coglierne il senso – per quanto confuso ed inarticolato -, va da sé che l'indagine dell'OCSE un fondo di verità ce l'ha – e dichiarare di avere faticato di fronte a settecento o poco più parole, tradisce il fatto che o da tempo non si leggono più libri o non li si è mai addirittura letti (Un consesso di linguisti nerd [ma si può essere linguisti senza essere nerd?], ha calcolato, nel tempo libero, il numero di parole necessarie all'uomo sapiens per comunicare. Il vocabolario basic: seicento vocaboli.).

Si pensi che l'analfabetismo funzionale è tanto diffusamente riscontrabile nel campione medio della popolazione (l'esperienza è personale) da non consentire nemmeno più spontanei moti di spirito da innalzare a difesa (cfr. Senso dell'Umorismo. Woody Allen colse il dilagare del fenomeno vent'anni or sono, fissandolo in una battuta de La Dea Dell'Amore: “Sono del tutto superfluo.”, “Oh, ti senti poco bene?”). Tempo fa, nel corso di una conversazione formale – quella che segue i convenevoli, per intenderci -, il mio interlocutore si è definito 'lascivo' nel tentativo di sottolineare la propria scarsa propensione all'impegno (!). E va da sé che, considerata la natura di questo blog, calcolo e scrittura non vengono presi in considerazione: inseriti nell'equazione, alzerebbero le percentuali emerse dallo studio a livelli persino non credibili.

Questo spiega molte delle difficoltà, delle scocciature, dei disagi e delle nevrosi nei rapporti interpersonali occasionalmente intrattenuti nell'anno 2015 (vedi luoghi pubblici). La maggiore correttezza, grammaticale, sintattica e formale (stilistica) nella comunicazione incontra, quando non il riso, lo sguardo condiscendente dell'interlocutore e versioni non richieste.

Essendo appassionato alla lettura, sovente vengo colto da conoscenti impegnato in questa attività. È verificabile da chiunque come l'ignoranza comporti, nei soggetti che ne sono portatori, una strana forma di curiosità nei confronti dell'oggetto (libro) della loro repulsione – sorta di intellettuale flagranza di reato. “Che stai leggendo?” è il quesito unico e ricorrente. Sapendo per esperienza che, quantomeno delle mie letture, questi inquisitori sui generis sono del tutto all'oscuro, da tempo replico muto, rivolgendo all'interlocutore solo la copertina del libro. Che faccia da sé: l'analfabeta funzionale è comunque in grado di leggere. L'ultima volta è capitato con le Lezioni Preliminari Di Filosofia di Giuseppe Semerari. La reazione? “Oh, Signore: no, grazie.”

Faccio parte di quella schiera – nutrita - di persone che hanno vissuto il cosiddetto dramma scolastico. Bocciature, ripetizioni, sospensioni, assenze ingiustificate, squalifiche morali e psicologiche, bullismo, acne. Ma, raggiunta la maggiore età e la consapevolezza di una ignoranza imbarazzante, il rifugio è stato lo studio. E da Gutenberg in avanti, non mi risulta sia stato praticato per infusione. Tocca forse allo psicologo, più che all'intellettuale puro, tentare di spiegare, oggi, la natura di questa bibliofobia dalle conseguenze culturalmente devastanti.

Indro Montanelli, al culmine della carriera, concluse che “più si parla e più si è fraintesi”. In questi tempi di diffusa, ma latente, ignoranza, venire fraintesi potrebbe persino essere visto come un risultato in positivo.