martedì 26 novembre 2019

RESPECT THE COCK. La capacità di motivare.


Tom Cruise in Magnolia, di P.T. Anderson.
Motivare significa, in un'ottica psicologica, adoperarsi ad attivare nell'altro quelle capacità che gli sono proprie, al fine di conseguire, nel migliore dei modi, l'obiettivo preposto.
Probabile che l'avvento del motivatore lo si sia avuto in ambito sportivo con la figura del moderno allenatore di stampo statunitense (da cui i termini, ottusamente mutuati dall'Inglese, di coach e mister), tecnicamente preparato, ma anche dotato di una filosofia, volgarmente detta vincente, e di una visione forte, persuasiva, della vita.
(Il tutor stesso può essere inteso come figura motivazionale in quanto, sorto nelle scuole di recupero, ancora oggi, ha il compito, ideale, di creare nell'allievo recalcitrante un meccanismo di autostima ed un metodo di apprendimento, più che di inculcare nozioni molto più facilmente apprendibili in autonomia una volta conseguite le condizione espresse  nei due precedenti punti.).
Si può quindi facilmente cadere nel tranello di credere l'insegnante un motivatore, con il consguente, pericoloso sbilanciamento della responsabilità dell'apprendimento dall'allievo  al docente. Da un punto di vista tecnico, è sicuramente sbagliato. Da quello psicologico (lo ha spiegato benissimo Massimo Recalcati ne L'Ora Di Lezione) l'insegnamento è un rapporto a due, e certo, se il fine è quello di innamorarsi del sapere, serve, in chi apprende, una buona dose di motivazione, sempre intesa come riconoscimento di capacità uniche attraverso le quali può svolgersi ogni trasmissione.
Detto questo, il motivatore può umiliare? No.
Di fronte ad un problema, il motivatore può sicuramente esprimere il proprio biasimo, le proprie riserve, la propria disapprovazione, sempre però vincolando il giudizio non al mancato raggiungimento del fine preposto (umiliazione), bensì al non aver impiegato quelle qualità personali che sono in ognuno (motivazione) e che solo se messe in campo possono portare a risultati caratterizzati da uno stile (gratificazione), non stupida ripetizione di gesti o parole.
Ad esempio. Il motivatore che affronta il soggetto riversandogli addosso voci e giudizi terzi, nel tentativo, si presume, di generare una reazione di orgoglio, confonde se stesso con il galvanizzatore, il cui compito è quello di attivare l'azione nel soggetto ad ogni costo e condizione, prestando, pertanto, un pessimo servizio alla causa motivazionale.
Nella fase iniziale, il rapporto motivatore/soggetto è sbilanciato a favore del primo. Qui lo sport, ancora una volta, è foriero di esempi. Vi sono molti atleti, specie negli sport di squadra, il cui potenziale fatica ad esprimenrsi in campo perché messi in difficoltà dal pubblico, dall'avversario, perché timorosi di essere pesantemente giudicati per un errore o per la propria giovane età. Ecco: in questi casi, la dipendenza da un buon motivatore (allenatore) è quasi totale. Ma è anche chiaro che un simile rapporto può avere solo una durata limitata, deve risolversi con la crescita del soggetto in direzione della massima autonomia.
Forse il peggior motivatore è proprio colui che, attraverso l'impiego delle cosiddette mezze verità, vincola a sé anziché liberare, impedendo in tal modo l'espressione di potenziali che potrebbero, invece, fare la differenza (come sempre accade con un apporto genuinamente personale).