La prova provata del fatto che il panorama dei media, nel paese, al di là della puntuale indulgenza degli slogan di testate ed emittenti, abbia quale tratto distintivo un'innata propensione alla fellatio, al deep throat in tutte le sue innumerevoli sfumature, è data dal recente caso dell'intervista agli Inhaler, pop band irlandese passata il 23, 24 e 25 gennaio scorsi in Italia con finalità ordinariamente promozionali e capitanata dal giovane ed alquanto piacente Elijha Hewson.
- E chi è Elijah Hewson? - si chiederanno in molti.
Semplice: è il figlio di Paul Hewson.
- E CHI CAZZO È, Paul Hewson?
Nientemeno che Bono, leader e voce degli U2. (Tempo fa, un collega, coetaneo, di fronte a questo trito e ritrito giochetto retorico riuscì nell'impresa del tutto preterintenzionale di sgonfiare gli pneumatici del mio ego chiedendo, serio come la morte: - E chi sono, gli U2? -. Riposa in pace, amico mio. La terra ti sia lieve.).
Con questa memorabile performance, infatti, le maestranze della critica musicale e di costume presenti sul territorio nazionale attestano ufficialmente il comparto su quella che, a ragion veduta, può essere considerata la nuova frontiera del leccaculismo professionale: lo sbocchinamento con ingoio dei figli dei ricchi-e-famosi, meglio conosciuti come nepo boys.
(BLOW) JOB INTERVIEW.
Le
interviste a quelle che un tempo venivano indistintamente definite
rockstar e che oggi, quantomeno, grazie all'azione
beneficamente erosiva operata dal tempo, si comincia invece a vedere
sotto nuova luce (“una manica di stronzi”, direbbe il Drugo
Lebowski), sono sempre state affrontate dai conduttori di turno dei
network italiani piccoli e grandi in un inalterabile miscuglio
di prostrazione ed eccitazione. Quasi con l'intenzione a farne un
marchio di qualità, il rapporto non è mai stato del tipo
artista-critico, tra musicista, cioè, come portatore di una visione
e conduttore quale persona di lodevole cultura musicale e pertanto
legittimamente deputata a sondare personalità e produzione
dell'ospite. In anticipo di decenni su quelle che poi sarebbero
divenute le deviazioni d'ordinanza, è sempre stato solo del tipo
mistress-slave, con il primo avente, d'ufficio, carta bianca
quanto a comportamenti e contenuti, ed il secondo ben felice di
subirne ogni conseguenza. Qualche esempio? (cito a memoria): i
Depeche Mode con Mike Bongiorno, Damon Albarn a Radio Deejay, Bono e
The Edge a Che Tempo che fa, i Placebo a Quelli che il Calcio,
Quentin Tarantino dal solito Fazio (da noi o ti intervista Fazio o
vai a notte fonda da Vespa, nessuna via d'uscita) ed infine, ultimo
ma non ultimo, David Bowie intervistato da Adriano Celentano -
momento considerato dai più come il più cringe di tutti i
tempi.
Il linea con questa tradizione, quindi, Vanity Fair,
Rolling Stone Italia, Virgin Radio, Radio Freccia ed RTL 102.5,
alcune, cioè, tra le realtà maggiormente trainanti nei rispettivi
settori, sono riuscite - oggi, anno 2023 - nell'impresa, non di poco
conto quanto a conformismo, di dare vita a qualcosa come cinque
interviste-fotocopia nelle quali non una singola nota, parola o gesto
dei loro giovani ospiti è stato minimamente messo in
discussione.
“Cosa pensa, tua madre, di questa cosa?”
“Aprireste
mai un concerto degli U2?”
“Com'è, vivere a Dublino? È
cara?”
“Vi fa piacere, sapere di avere, in Italia, una fanbase
così entusiasta?”
“Sono uscita dal bagno, e chi c'era fuori?
Gli Inhaler.”
Non hanno neanche lontanamente accennato al fatto,
risaputo almeno delle menti meglio arredate, che quattro studenti
freschi di maturità non si vedrebbero contesi dai media di
mezza Europa ed ingaggiati per le tournée ed i festival
più importanti, come sta accadendo loro, senza un papà come Bono
alle spalle. Anzi.
L'atteggiamento, ad esempio, della conduttrice
di Radio Freccia, Cecilie B, testimone dell'apparizione
stile-Medjugorje degli Inhaler all'esterno della toilette,
lungi dell'essere quello che ci aspetterebbe per un intervista di
piccolo cabotaggio, è sembrato così sopra le righe da risultare
imbarazzante al limite del cringe. Più che una professionista
prossima ad un'intervista d'ordinanza, è sembrata una ragazzina in
preda ad eccitazione, una che, al risveglio, si è trovata in camera
– che so? - Brad Pitt intento a spogliarsi. (Qualcuno ricorda
Robert Smith alla premiazione della rock 'n Roll hall of Fame di
qualche anno fa? “ROBERT SMITH FROM THE CURE! Are you excited as
I am?” Risposta: “By the sound of it, no.”). È il
tipo di eccitazione che presumibilmente prendeva coloro che, negli
anni 60', si trovavano ad intervistare i Beatles o Miles Davis, per
intenderci, personalità che, nel bene e nel male, incutevano
soggezione. E l'incutevano, essenzialmente, per l'altissima caratura
artistica che li distingueva.
Ciò che dell'accaduto maggiormente
rattrista, però, è la palese – e, direi, invidiabile, -
condiscendenza, non colta da nessuno degli intervistatori, con la
quale i membri degli Inhaler, scafatissimi e già assai navigati,
hanno reagito agli orgasmi multipli di professionisti che per tre
giorni hanno premuto insistentemente, tutti, sulle loro parti intime.
Freddezza e distacco della migliore tradizione anglosassone.
Perché,
allora - quesito che aleggia ormai pesantemente su questo scritto -,
una band di tardo-adolescenti si ritrova con gli
addetti-stampa di mezzo mondo occidentale in coda fuori dalla propria
stanza d'albergo?
Non certo per l'allure, il talento o
l'originalità della loro compagine.
Ascoltate un brano qualsiasi
degli Inhaler.
Suonano tutti benissimo, tutto è al posto giusto.
C'è una cura del dettaglio, una pulizia dei suoni come dei testi,
una trasparenza nel loro missaggio, che fa pensare confezione di un
Mac quando viene spedito a casa. Essenziale, squadrata,
simmetrica.
Ma la sostanza, le sequenze di accordi, gli
arrangiamenti, le tematiche dei testi e, suo malgrado, il timbro di
voce stesso di Elijah, sono quelli degli U2. Gli U2 se avessero
20'anni oggi. Persino i videoclip che accompagnano molte loro
canzoni, realizzati con professionalità indiscutibile, risultano,
alla fine, cinepanettoni del 'cliché' più puro, del
visto-e-rivisto.
Perché?
NEPO BOYS.
Il
fenomeno dei nepo boys origina, con buona probabilità, da
quel momento epocale per la storia moderna del costume costituito
dall'omicidio, nell'ormai lontano agosto del 1980, di John Lennon,
quando il delirio fuori controllo del folle Marc Chapman fece del
giovane Julian, suo malgrado, l'unico e riconosciuto Lennon vivente
(il fratello Sean, era infatti, al tempo, piccolo di soli cinque
anni).
Da allora è stato tutto un lento susseguirsi di figli di
celebrità assurti di volta in volta, per censo e per motivi quasi
sempre extracurriculari, all'assai opinabile rango di V.i.P.
Oggi,
in una estremizzazione dei comportamenti che interessa ormai ogni
ambito del vivere, il fenomeno dilaga. Non solo i genitori, siano
essi attori, musicisti, top model, star del porno,
puttane d'alto borgo, personaggi senza arte né parte o fancazzisti
conclamati, fanno del loro meglio per far sì che la propria sfera di
influenza includa e promuova ogni attività vera o presunta la prole
si appresti a compiere.
Sono i pargoli stessi ad incentivare
tacitamente, furbescamente, questo tipo di atteggiamento,
opponendovi, in sostanza, zero-resistenza.
Molti anni fa, quando,
evidentemente, l'acume non aveva ancora ceduto il passo all'incedere
bellicoso del peggiore opportunismo, ricordo che Bono, nel corso di
un'intervista, si disse colpito dal fatto che le nuove generazioni, a
suo modo di vedere, sembravano sì ribellarsi ai genitori, ma
con i dischi di papà. (Il riferimento, esplicitato, era a Never
Mind the Bollocks dei Sex Pistols, 1977, e colpisce, di questa
dichiarazione che, per uno che oggi predica l'amore universale ad
ogni piè sospinto e poi va ospite dell'Economic Forum di
Davos, ha il rilievo di un ritrovamento archeologico, la cattiveria e
l'ironia tutt'altro che gratuite, tratti che il nostro, a seguito di
irreversibile mutazione antropologica non ha più presentato in
nessuna delle innumerevoli apparizioni radiotelevisive che lo hanno
di fatto reso famoso “più di Gesù Cristo”. E poi commuove il
candore, anch'esso sparito in sede di mutazione, con il quale ritiene
impossibile che la copia del disco dei Pistols possa appartenere a
mamma. Di questi tempi le valchirie del movimento Me
Too o le femministe sotto copertura di riviste come Vulture,
od entrambe, provvederebbero alla sua immediata crocifissione
mediatica.).
I tempi, quindi, cambiano. Per tutti. Incluso
Bono.
Noi italiani, per decenni, siamo stati bastonati, anche
giustamente, in ragione di un nepotismo troppo spesso ramificato in
ogni ambito del vivere civile (politica, istruzione, ricerca, sanità,
spettacolo), un gioco sporco che, al di là delle innumerevoli
dichiarazioni di intenti, ancora soffoca chiunque vi si trovi escluso
per censo.
Ora, però, che il nepotismo è sistematicamente
praticato dalla casta dei ricchi-e-famosi, e l'occasione per la tanto
attesa vendetta, per porre finalmente domande scomode e del tutto
legittime, è a portata di mano, sembra che nessuno dei tanti critici
del 'bel paese' voglia assumersi la responsabilità di rompere
l'armonia di famiglie plurimilionarie, titolari di posizioni
consolidate ed apparentemente in ansia per il futuro prossimo e
remoto dei rispettivi pargoli.
Bono si ritrova un casa un figlio
che con 'i dischi di papà' ha probabilmente già conquistato una
posizione di rendita, e i nostri che fanno? Srotolano il tappeto
rosso delle grandi occasioni - cui subito seguito quello di saliva
appartenente alla grande tradizione italica della leccata di culo.
Ecco
spiegato perché, da secoli, noi italiani siamo universalmente
riconosciuti come i migliori camerieri, i migliori ristoratori,
mozzi, cambusieri, segretari, assistenti e portaborse.
Siamo
abituati a servire, non a mettere in discussione.
Ad essere
asserviti e non affrancati.
A leccare il culo al potente di turno,
sia esso un politico, un oscuro faccendiere, un'assessore arrogante
od il capoufficio fresco di nomina.
Lecchiamo il culo,
sostanzialmente, perché più degli altri sappiamo come gira il
mondo.
Siamo giullari, interessati solo ed esclusivamente al
divertimento di Sua Maestà.
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