domenica 25 novembre 2018

L'UOMO SENZA INCONSCIO. Rocco Siffredi e la sconcertante replica a Mario Adinolfi.


Un conoscente, incontratomi per caso, ha insistito affinché gli concedessi di mostrarmi un documento audiovisivo dai contenuti ritenuti - sembra di capire - di assoluta rilevanza critica.
Siccome mi interessa vedere fin dove si può arrivare quanto a vacuità, e dato il mio constante risultare, in questi frangenti, un inguaribile pusillanime, ho acconsentito alla richiesta.
Si trattava del recente scontro a distanza, avvenuto sulle frequenze dell'emittente radiofonica Radio24, tra Mario Adinolfi, esponente dell'imbarazzante partito politico Il Popolo Della Famiglia, e Rocco Siffredi, pornostar da tempo ufficialmente sdoganata dalla televisione pubblica e privata – che in Italia sono la stessa cosa –, in preparazione del grande passo storico del pornazzo in prima serata.
Sembra dunque che il primo (Adinolfi) abbia proposto, coerentemente con la propria posizione e ruolo politici, l'esilio forzato, il bando, del secondo (Siffredi), ritenuto (il secondo) moralmente riprovevole (dal primo), corruttore dei santi precetti per la costituzione e la conduzione di una famiglia che voglia dirsi (per il primo) degna di questo nome.
E la risposta di Siffredi a tale, becera provocazione non si è fatta attendere. Con un messaggio vocale inviato alla trasmissione La Zanzara, condotta dagli amabili furbacchioni Giuseppe Cruciani e David Parenzo, il pornoattore marchigiano ha difeso, con stile a dir poco personalissimo, le proprie posizioni.
Dopo infatti averlo ingiuriato per interposta persona (“... mi dicono: 'Rocco: ma rispondi a 'sto stronzo'), scoperto il ruolo politico di Adinolfi, Siffredi si è lanciato in una difesa a spada tratta della propria famiglia (“... fantastica, bellissima, ragazzi stupendi, tutti e due laureati.”) che avrebbe suscitato imbarazzo persino nel meridione degli anni '70. Corregge subito il tiro, tradendo una certa delusione nei confronti degli 'stupendi ragazzi' (“... nessuno dei due vuol fare il pornostar [sic], non so il perché.”), per poi scivolare allegramente in un lapsus sulla cui interpretazione si preferisce sorvolare (“... qui non hanno ripreso [sic] da me.”).
In un'ottica da Orsolina, la polemica poteva tranquillamente chiudersi qui. Invece è proprio a questo punto che a Siffredi scende la catena, come si suol dire, e l'autodifesa finisce con lo sconfinare pesantemente nel penale. Insinua che i travagliati trascorsi coniugali di Adinolfi siano da attribuirsi ad omosessualità repressa, e lo dice inciampando in un congiuntivo con il quale sembra non avere un rapporto facile (“... penso che Lei, nel Suo inconscio... sogni che io... ti incula [sic].”). Perso definitivamente il controllo, allora, il Rocco nazionale passa prima al 'tu' (“Sono convinto che tu vuoi essere inculato da me.”) e quindi alla stoccata finale (“... se mi piace il tuo culo, ti inculo. No problem.”).
Voglio sperare, a questo punto, che tra i lettori di questo disperato blog ve ne siano alcuni pienamente consapevoli delle assai dolorose conseguenze di natura correttivo-carceraria che, in alcuni luoghi del mondo, seguirebbero per direttissima a parole come queste.
Riassumiamo. Abbiamo una star del porno la quale, sebbene da anni risieda all'estero, combatte come un Savoia contro un improbabile esilio. Difende strenuamente la propria famiglia, trascurando però del tutto di citare la consorte, per concentrarsi esclusivamente sui due figli maschi. Considera il conseguimento della laurea da parte di questi un traguardo di cui andare orgoglioso, ma si dice stupito del totale disinteresse degli stessi per l'arte (!) paterna. Da prova di considerare l'omosessualità altrui con il massimo discredito, mentre per la sodomia praticata a fini risolutivi, come egli propone per il contenzioso con Adinolfi, sembra riservare una connotazione virile unita un certo tasso di sadico piacere – dovuto, quest'ultimo, all'umiliazione inflitta alla vittima dalla resa pubblica (radiofonica nello specifico) della minaccia.
Insomma, impiegato nella pornografia cinematografica da decenni, Siffredi sembra del tutto ignorare, quantomeno quando provocato sul piano personale, i comportamenti sociocriminali che la diffusione planetaria di quel materiale, da egli copiosamente prodotto, improntato ed interpretato, ha causato: mi riferisco al sexting, e più in generale all'odierna, concreta possibilità, da parte di qualsivoglia soggetto, di manipolare a fini ricattatori o squalificanti immagini di un privato dove, va da sé, ancora è possibile fare della propria persona ciò che si vuole. Esattamente il comportamento da egli tenuto nei confronti di Adinolfi. Ad occhi distaccati, Siffredi sembra proprio aderire al profilo di uomo senza inconscio teorizzato da Massimo Recalcati nel libro omonimo: completamente slatentizzato e pertanto sprovvisto di una sede psichica capace di accogliere gli aspetti oscuri della personalità. In parole povere, incapace a mentire. Condannato alla verità.
Siffredi si batte contro l'aggregato di stampo tradizionale proposto da Adinolfi e dagli altri fenomenali sostenitori del family day, ma ciò che in realtà sogna – e predica - è proprio una bella famiglia stile Mulino Bianco: esaltazione del fallo paterno, orgoglio smisurato per i figli maschi, ostentazione della consorte, incarnazione della propria persona nel modello comportamentale e professionale da imporre alla prole.
Vuoi vedere che la minacciata sodomizzazione di Adinolfi è in realtà l'ennesimo pensiero volato libero dalla testa di Siffredi?


domenica 4 novembre 2018

PRIMA DI EIACULARE ('BEFORE YOU COME'). I giovani italiani e l'Inglese.


Un'attenta classe di scuola superiore.
Due anni fa circa, una conoscente ha lasciato il cosiddetto 'posto fisso' per una carriera nell'insegnamento, avendo regolarmente passato il concorso per l'inserimento in ruolo. Materia: Inglese. Assegnazione: scuola superiore (istituto per geometri ed agrario).

La rivedo e subito chiedo come va, a scuola. Risponde di sentirsi molto giù, molto abbacchiata. Da diverso tempo ha la netta 'impressione di trovarsi di fronte a giovani che, per l'Inglese, non hanno interesse alcuno. Dice di passare quasi interamente il tempo assegnatole a riportare ordine all'interno di classi ingestibili. Ed ingestibili principalmente per il suo rappresentare una materia per la quale non è avvertito alcun tipo di trasporto.
Quindi anche la preparazione meticolosa delle lezioni, spesso effettuata a casa ed a scapito della famiglia (è coniugata e madre di due), si riduce ad un'ulteriore mortificazione intellettuale.
Condizione che non fa bene né a chi la subisce (il singolo docente) né a chi vi contribuisce direttamente (gli alunni) o indirettamente (la direzione scolastica): nulla è infatti più devastante per la scuola e per i suoi fruitori di un corpo docente umiliato nelle intenzioni.
Il marito, persona arguta e dai modi spicci che spesso mi fa dono di spunti ed osservazioni di notevole rilevanza, commenta anch'egli sconsolato. “Questi giovani del cazzo, proprio non li capisco. Mi chiedo cos'abbiano nella testa. Come è possibile, a diciotto anni, non capire che senza l'Inglese, oggi, sei un semianalfabeta anche se poi consegui una laurea? È come pretendere di praticare uno sport a livello agonistico disdegnando però la corsa. 'Sai, io non corro. Della corsa non me ne frega niente. Mi interessa solo giocare.' Nell'inconscio di questi ragazzi c'è Diego Armando Maradona, e non Samantha Cristoforetti. E se pensi così, sei un fallito. Sei un fallito già a diciotto anni.”
Ha ragione.
Devo a questo punto dichiarare, non senza imbarazzi, che, da tempo immemore, sono considerato alla quasi unanimità un ottimo parlante Inglese, sia per ciò che riguarda la forma sia per la pronuncia. Ad onore del vero va aggiunto che, in un paese che con l'Inglese ha non pochi problemi, godere di una simile considerazione non fa curriculum. Ma tant'è. In verità, a me sembra anzitutto di avere avuto la fortuna di una seconda lingua che amo, la cui imposizione è stata, quindi, sempre vissuta con gioia. E poi quella dell'avere sempre nutrito degli interessi per materie e discipline che nel mondo anglofono hanno conosciuto eccellenze di prim'ordine. Sto parlando del cinema e della musica. Ma, da qui all'essere considerato un buon parlante, ne passa.
Detto ciò, il fatto che dei giovani mostrino, oltre ad una totale assenza di vergogna per i comportamenti messi in atto, un così manifesto disinteresse nei confronti di una materia che, almeno nelle loro vite, può fare la differenza, si iscrive, forse, all'interno di una problematica ben più vasta – e determinante – di quella del sapere: l'area del dsiderio.
È tempo che, personalmente, noto come i giovani, almeno nei miei confronti, risultino connotati da una totale assenza di manifestazione del desiderio. Sembrano davvero non desiderare nulla. Ma è chiaro che non è così, che non può essere così (a meno di tare mentali invalidanti). Ne ha parlato magistralmente Massimo Recalcati qualche settimana fa in un incontro dedicato proprio al desiderio. Ha molto a che vedere con il tipo di crescita vissuta, e quindi con l'apporto che in tal senso è stato fornito dai genitori. Mamma e papà ti hanno detto che, al mondo, conta solo una lingua e -guarda caso – è quella tua? Mi si lasci ricordare che anche il differenziarsi dal modello genitoriale può essere fatto oggetto di desiderio.
Qui non si tratta di stabilire il primato di una lingua – nel caso dell'Inglese già fortemente compromesso dagli attuali assetti geopolitici e dalla condotta morale delle nazioni che a tale primato hanno contribuito, e cioè Stati Uniti e Gran Bretagna. Si tratta di riconoscere, con opportunistica intelligenza, che l'Inglese è, e rimane ancora, la prima delle seconde lingue, quella obbligatoria. Quella dalla quale poi muovere verso un'esigenza linguistica più specifica, maggiormente legata alle proprie personali propensioni e competenze.
Non si spiega forse così lo sconcertante provincialismo dei giovani - per non parlare di quello del paese? Non comprendere, cioè, che esiste una conoscenza che esula dai confini nazionali nei quali si è stati catapultati a nascere, vivere od entrambe le cose? E che quindi è necessario un passe-partout in grado di consentire l'attraversamento quanto più agevole di detti confini, oltre i quali potrebbe trovarsi la vocazione di ognuno?
Suona come una patetica sferzata alla fuga dei cervelli, lo so. Ma lungi da me non solo il promuoverla: anche l'assumere il fenomeno ad esempio e soluzione. Resto convinto che i cervelli di questo paese non siano realmente in fuga, ma che risiedano, silenziosi, nei suoi confini, mortificati come la nostra insegnante d'Inglese, sostituiti politicamente, ai comandi, da intelligenze modestissime ed immeritevoli. Ugualmente, anche questo sommerso di intelligenza nostrana non può mostrarsi indifferente alla questione dell'Inglese, specie in un'ottica comunitaria linguisticamente composita come la nostra – e giusto per non allargare troppo il discorso.
Oggi ci vogliono più palle per rimanere che per andarsene.
Nessuna fottuta statistica potrà persuadermi del contrario.