domenica 31 luglio 2022

'SPEAK UP!' La lingua morta della classe politica italiana.

 

Non ho titolo per discutere di alcunché, io. Figuriamoci di politica! Più passa il tempo e più me ne disinteresso.
È un universo parallelo, la politica. Checché ne dicano i suoi esponenti, rappresenta al momento quanto di più distante vi sia dalla vita vera.
Non vedo quindi in quale modo i miei problemi - intendendo con essi quelli del quotidiano, esperibili da chiunque avverta l'obbligo morale dell'arrivare onestamente a fine-mese - possano essere letti attraverso quest'ottica.

Da quando però ha avuto ufficialmente inizio l'ennesima crisi di governo, un aspetto che ha temporaneamente rinnovato in me l'interesse per 'gli affari interni', è il linguaggio con il quale la classe politica – che della crisi è l'artefice unico - ne ha dato comunicazione al paese.

Mi ha colpito per un semplice motivo: si tratta dello stesso con il quale sono state espresse tutte – dico 'tutte' – le precedenti crisi.

Come molti di voi forse sanno, sono prossimo ai 52. Sono cresciuto in una casa dove la lettura del Corriere della Sera e la visione delle principali edizioni del telegiornale nazionale erano un rito imprescindibile. In conseguenza di ciò, un'embrione di coscienza politica penso si sia andato formando in me intorno agli otto anni, in concomitanza con il caso Moro. In casa nostra, in quei giorni, non si parlava d'altro. Persino le questioni religiose, imprescindibili per una famiglia fortemente cattolica, erano passate in secondo piano, quando non addirittura sotto silenzio. Fu da allora che le parole della politica – quella già allora sprofondata nella crisi più nera - cominciarono a giungere me e ad imprimersi indelebilmente - e nocivamente - nella mia formazione di preadolescente. 'La crisi al buio', 'l'arco costituzionale', 'l'esecutivo balneare', 'la parola alle urne', 'il governo tecnico', 'le larghe intese', 'l'incarico esplorativo', 'l'agenda condivisa', 'l'unione programmatica', 'il dettato politico', 'la fiducia nelle istituzioni'; sono formule che i più attenti di voi avranno sentito in bocca a politici e giornalisti in questi giorni. E sono le stesse con le quali la politica italiana si è espressa nelle sue innumerevoli crisi dagli anni '70 ad oggi. Per capirci - e solo per citare due nomi conosciuti da tutti, anche dai più disincantati –, Giorgia Meloni e Matteo Salvini sfoggiano in questa crisi 2022 un linguaggio che non è di molto difforme da quello di Giulio Andreotti e Bettino Craxi ai tempi dei rispettivi mandati. Riflettiamo. Quanti rapporti sentimentali, di amicizia o semplice conoscenza giungono ad esaurimento con l'accusa di non poco rilievo che lui o lei, da troppo tempo, “dice sempre le stesse cose, ogni giorno”? Cosa pensereste, se mi rivolgessi a voi con il pensiero, il linguaggio e la visione di un ragazzino? Non trovereste imbarazzante ed insopportabile la mia frequentazione? Ecco: lo stesso vale per la politica. Una classe politica incapace di rinnovare il proprio linguaggio - e, conseguentemente, il proprio pensiero -, è inadeguata a rappresentare chiunque all'infuori di sé stessa. E questo spiega l'allontanamento via via crescente delle persone dall'impegno politico come dal voto.
“Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!”. È così sconfortante, la situazione, da non sentirmi nemmeno più obbligato a nominare la fonte della citazione: se nell'anno del Signore 2022 non hai ancora fatto tuo un concetto come quello appena riportato, è tardi, per rimediare. Imbarazzante quanto volete, ma la verità è che solo il Movimento 5 Stelle, con il 'vaffanculo' degli esordi, ha apportato un mutamento dialettico palpabile nella politica italiana. Per il resto, “cambiare tutto per non cambiare niente”, “Parole, parole, parole”, “Words don't come easy to me”.

Non parliamo, poi, della proposta, avanzata da Massimo D'Alema, a poche ore dalle dimissioni di Mario Draghi, di assegnare provvisoriamente l'incarico per la guida del governo a Giuliano Amato. Cioè: questa, è la politica italiana, la sua risposta irriflessa alla crisi. Giuliano Amato! Invocato da Massimo D'Alema! Un 84enne proposto con baldanza, a soluzione del difficile momento, da un politico in pensione, di dieci anni più giovane e formatosi al tempo del Partito Comunista Italiano - e a cui, naturalmente, la stampa italica tributa attenzione come si trattasse di persona in collegamento diretto e costante con Dio.

Sono 30'anni che il nome di Giuliano Amato viene invocato ad ogni crisi, al fine di riempire ad interim ogni vuoto creato dalla caduta – puntuale quasi quanto le stagioni – di tutti gli esecutivi succedutisi.
Non c'è rinnovamento, quindi, sul fronte linguistico, ma nemmeno sul quello generazionale (l'unica volta che lo si è tentato, è arrivato Matteo Renzi: le conseguenze della sua epifania sono sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vedere).
La politica è finita.

E al momento non si prospettano alternative praticabili al vivere civile.

lunedì 25 luglio 2022

'INTO THE VOID'. Fianco a fianco con i 'Millenial'.

Com'era inevitabile che accadesse, sono finito a lavorare con dei millenial.
Fino a poco tempo fa, sul fronte dell'anzianità aziendale, sono sempre risultato, mio malgrado, come 'quello giovane', il 'ragazzo', un Gianni Morandi dei poveri, per anagrafe ed esteriorità. Ora, invece, a poche settimane dal 52esimo compleanno, sembra proprio non vi siano altri numeri magici da mostrare al pubblico pagante: lo spettacolo è finito, “Elvis has just left the building”. Sul posto di lavoro ha avuto inizio l'ineluttabile – e, da parte di alcuni, temutissimo - cambio generazionale. E così, per la prima volta nel mio percorso lavorativo, mi ritrovo ad avere accanto persone delle quali potrei benissimo essere il padre (tesi, questa, assai compromettente, ma tant'è). Tecnicamente, si tratta di figli della Generazione X, gente fresca di laurea (triennale) o di licenziamento da una delle innumerevoli realtà del precariato italico. Giovani che, anche quando nati sul finire dei '90, hanno comunque subìto in maniera forte sia l'arrivo che il successivo imporsi della millenial attitude, e sono quindi da considerarsi, a tutti gli effetti, dei nativi digitali.

Sono determinati, i colleghi. Entusiasti, svegli e migliori di quanto io fossi alla loro età. Vivono l'incanto del nuovo impiego. La mia ipercordialità (strette di mano, formule di rito, parvenza di interessamento alle condizioni pregresse ed attuali del nuovo arrivato), roba da vero piemontese falso cortese, ha contribuito non poco ad una accoglienza con i fiocchi. Se avessi avuto un po' più di coraggio, li avrei probabilmente trattati con freddezza e distacco, senza alcun tipo di coinvolgimento. Scostante, certo. Ma sicuramente più in linea con un certo mio sentire. Però si sa: noi della Generazione X - figli legittimi di boomer veri, non quelli della costante e deliberata travisazione a tutto tondo operata dal mondo millenial -, con tutti i nostri difetti, un'educazione l'abbiamo ricevuta. Ed il nostro super-io (il genitore-boomer) ci impone di usarla ad ogni piè sospinto.
Lavorando fianco a fianco con i nuovi colleghi, ho ricavato l'impressione di non piacere:
loro vedono in me 'il matusa'; io, in loro, la generazione più a secco di contenuti di sempre. È cioè in azione il pregiudizio. Da entrambe le parti. I sociologi più arditi sostengono che il punto di forza millenial stia nel saper vivere, sostanzialmente, senza avvertire in alcun modo l'urgenza di un nesso tra le cose. Un'urgenza 'boomer' , quella del senso delle cose. Ordine e logicità ad ogni costo rappresentano effettivamente un'ossessione che la Generazione X ha coltivato come si trattasse di una specie rara, da preservare. Prova ne è il rapporto che essa ha avuto con la psicoterapia, facendo outing e sdoganando il tabù dello strizzacervelli. Sinceri: riuscite, voi, ad immaginarlo, un millenial in terapia? Che vada bene, alla terza seduta di risposte vaghe o mancate e di consultazione occasionale del cellulare, lo 'strizza' lo manda a fare in culo, e se ne torna a trattare nevrosi maggiormente gratificanti e codificate. Giusto oggi mi è capitato di sentirne uno in rete fare della critica di costume (evento quanto mai raro, ma che dimostra come sotto sotto anche ai nostri piccoli 'sorcini' piaccia dire la propria). Ad un certo punto, il giovane amico istituisce un paragone con Blob - Di tutto di più. Dice: “Per chi non lo sapesse, Blob è un programma che – spero sia ancora in onda su Rai 3 -, parecchio strano, effettivamente. Perché sono tanti spezzoni di tanti programmi diversi, tutti quanti slegati tra loro. Solo così: un meshup” (sic). Ecco: è questa incapacità di lettura mista ad indolenza a risultarmi davvero intollerabile.
Esperienza insegna, però, che quando si è genitori di
millenial e ci si atteggia in questo modo, oscuri presagi sono destinati ad addensarsi all'orizzonte. Indro Montanelli, riflettendo sull'opportunità di mettere al mondo dei figli, sottolineava come questi, al di la delle migliori intenzioni genitoriali, siano sempre e solo figli del tempo che li vede nascere.
Penso avesse ragione. Probabile, quindi, che anche mia figlia, molto presto, si disferà agilmente del dettato materno e paterno per seguire – che so? - delle lezioni di 'corsivo', diventare una
influencer, una tiktoker o, peggio, uno dei tanti 'disposable teens' che ad oggi intasano il Web con il loro vuoto pneumatico.
Perché QUESTA, alla fin fine, è la grande colpa della generazione
millenial: avere fatto virtù del nulla.