È da tempo che avverto in me il disagio, l'apatia e l'insoddisfazione determinati da quest'epoca di chiacchiera imperante ad ogni livello.
Si ha davvero l'impressione, ascoltando le persone negli immancabili sermoni quotidiani, che la chiacchiera da Bar Mario, sdoganata nel bel paese quasi trent'anni fa dall'omonima canzone di Ligabue, sia ormai divenuta un vero e proprio codice di riconoscimento, similmente ai cori da stadio dei tifosi del calcio o alla danza maori dei rugbisti neozelandesi, per una categoria umana - i cosiddetti tuttologi - vasta come un'area di consenso maggioritario. E il bar il contesto naturale, l'habitat - dove detto codice si imprime e sviluppa, odierna e depauperata versione del caffè letterario.
Vi chiederete - si spera - perché qusto riferimento, alto, al caffè letterario: perché Alessandro Maria Carnelli, amico, direttore d'orchestra, musicologo e conferenziere del quale ho già avuto modo di scrivere in un precedente post, è esattamente il tipo di persona che avreste potuto incontrarvi all'interno, se solo il suo concepimento fosse avvenuto con anticipo di un secolo. Colto, appassionato, realista, attento alle avanguardie, e dotato di un senso dell'umorismo pronto e tagliente a protezione dagli incanti dei falsi profeti.
Pagato pegno all'italica pratica dell'inchino (che si spera possa tradursi in inviti a gratuitamente imbucarsi alle prossime stagioni sinfoniche che lo vedranno sul podio), quella di ieri sera con Alessandro Carnelli, la conferenza dal titolo 'Notte Trasfigurata: donna e società nella musica e nella cultura della mitteleuropa di primo '900. Conversazione con Alessandro Maria Carnelli', è stata l'equivalente di una vera e propria gita in montagna, dove gli intervenuti hanno potuto respirare a pieni polmoni, per un'ora e mezza abbondante, l'aria purissima di chi parla non per chissà quale imposizione, bensì per naturale vocazione: per scelta, competenza ed inossidabile cognizione di causa. Esattamente i tratti che molte (troppe) istituzioni, culturali e non, non riescono più a garantire.
Voluta dalla Consulta Femminile di Arona (alla quale va, come minimo, il plauso per il coraggio ed il gusto della scelta) in vista dell'8 marzo, la serata si è articolata in una esposizione a braccio inframmezzata dall'analisi di esempi dell'iconografia dell'epoca in analisi, e dagli ascolti - meravigliosi - da Tristano e Isotta di Richard Wagner e Notte Trasfigurata di Arnold Schönberg, interrotti con enorme sofferenza dal Maestro per questioni di tempo - argomenti, tutti, pescati a piene mani dal lavoro che, lungo questi ultimi anni, Alessandro Carnelli ha svolto sul tema, sfociato nel notevole ed apprezzato saggio 'Il labirinto e l'intrico dei viottoli: Verklärte Nacht, di Arnold Schönberg', e nel disco Towards Verklärte Nacht, registrazione di rara coerenza programmatica e particolare bellezza.
Alessandro Carnelli ha affrontato un argomento che nell'italietta 2019 può serenamente dirsi impopolare e difficile. Lo ha fatto con chiarezza espositiva, senza inciampi, con la propria personale volontà (da grande divulgatore) a mettersi sul piano degli intervenuti, così catturando l'attenzione anche dei più malmessi (io: ero morto di sonno).
Sui contenuti dell'esposizione non mi esprimerò, pena il rovinare il bel lavoro fatto dal Maestro: rimando tutti di cuore alla lettura del libro e all'ascolto della registrazione che non solo possono arricchire chiunque vi si accosti con un minimo di disposizione ad apprendere e doverosa umiltà, ma anche costituire un ottima idea per un regalo speciale, diverso, da darsi, possibilmente, a soggetti meritevoli di cotanta cura e raffinatezza.
Sulle conclusioni, invece, dirò, per trasparenza, a cosa sono giunto, visto che da un incontro di questo tipo si spera di tornare a casa almeno un po' scossi nelle proprie personali certezze.
Si fa un gran parlare, a livello politico, di quote rosa (termine villano e fuorviante) come fosse una scoperta scientifica di lor signori, bellamente ignorando come la grande cultura mitteleuropea della Vienna di fine secolo, per mezzo dei suoi migliori esponenti, avesse già inquadrato il problema esattamente negli stessi termini con cui si pone oggi a noi moderni - che con la definizione 'quote rosa' cerchiamo appunto di rivendicarne la paternità e financo la ricerca di una soluzione (!), in una sorta di buio anno zero, incapaci di riconoscere che senza una svolta genuinamente culturale questo paese, al massimo, passerà dalle quote rosa a quelle nere, nere come le camice che già marciarono per le strade della civilissima Europa quasi un secolo fa e che oggi si tingono magari di altri colori, ma che sotto sempre nere rimangono.
Si fa un gran parlare, a livello politico, di quote rosa (termine villano e fuorviante) come fosse una scoperta scientifica di lor signori, bellamente ignorando come la grande cultura mitteleuropea della Vienna di fine secolo, per mezzo dei suoi migliori esponenti, avesse già inquadrato il problema esattamente negli stessi termini con cui si pone oggi a noi moderni - che con la definizione 'quote rosa' cerchiamo appunto di rivendicarne la paternità e financo la ricerca di una soluzione (!), in una sorta di buio anno zero, incapaci di riconoscere che senza una svolta genuinamente culturale questo paese, al massimo, passerà dalle quote rosa a quelle nere, nere come le camice che già marciarono per le strade della civilissima Europa quasi un secolo fa e che oggi si tingono magari di altri colori, ma che sotto sempre nere rimangono.
La conversazione con Alessandro Carnelli mi ha ricordato due esempi che vado subito a riportare - e che spero non urtino la sensibilità del Maestro, quando si vedrà ad essi accostato senza previa autorizzazione.
Il primo è Aldo Carotenuto, defunto docente di Psicologia presso La Sapienza di Roma, quando sosteneva: "Per qualunque disciplina, nel momento in cui esponiamo un problema, per quanto complesso e oscura possa essere, se veramente ne abbiamo compreso il nucleo la relativa descrizione sarà necessariamente chiara ed esauriente.".
Il secondo è la figura del professore descritta da Massimo Recalcati ne L'Ora di Lezione. "L'insegnamento non dipende da una retorica o, come si dice oggi, da una capacità o da una tecnica di comunicazione, ma dal carisma di chi parla, ovvero da come sa rendere vivi, far vibrare gli enunciati che trasmette. Dipende dalla forza enigmatica della sua enunciazione.".
Ieri sera ho pensato che sarebbe stato bello, se avessi avuto, da studente ignorante quale sono stato, un insegnante così.
Poi, però, mi è tornata alla mente anche una frase che lo stesso Maestro riportò nel mentre io e lui si parlava seduti su una panchina, mesi fa. Mi diceva del giudizio lapidario che un commerciante della città (Arona) aveva espresso in sua presenza riguardo l'impatto sulla cittadinanza di alcune recenti iniziative culturali: "Certo che questi eventi, di lavoro, non ne portano.".
Ecco. In un'Italia culturalmente siffatta, che legge Fabrizio Corona ed è incapace di concepire la cultura svincolata da un bilancio di esercizio, serate come quella di ieri hanno l'efficacia di un vaccino esavalente.
Buon lavoro, Maestro. E grazie.