lunedì 7 settembre 2015

TUTTI I BAMBINI DEL MONDO. La tragica fine del piccolo Aylan Kurdi.

Dopo una crisi iniziale, ho riguardato le due foto di Aylan Kurdi con un po' più di distacco.
Mi sono così tornate alla mente le lezioni di Pier Paolo Pasolini ad un immaginario 'ragazzo di vita'. Quelle sull'estetica. Quando spiegava al giovane Gennariello di come le cose ci parlino.
Eccomi allora tornato sui banchi di scuola, a scrivere il tema: cosa ci dicono le foto del piccolo Aylan?

Nella prima, il piccolo Aylan è riverso sul bagnasciuga. La spiaggia dove giace il suo corpo, almeno nella porzione delle scatto, è deserta. È solo. Solo nella morte, con i suoi tre anni.
Il suo corpicino esangue, con ancora l'abbigliamento estivo fatto di scarpine, pantaloni corti e maglietta rossa, sembra quello di un bimbo esausto dopo una giornata ininterrotta di giochi. Ma non è così. È riverso in discesa, le braccia allineate lungo il corpicino, il viso mezzo affondato nella battigia. È la postura più innaturale che un bimbo possa assumere. Innaturale come la sua morte.
La magliettina rossa ci ricorda la bimba ebrea di Schindler's List e, paradossalmente, la bandiera del divieto di balneazione; ma sopratutto l'inadeguatezza dell'abbigliamento per una traversata notturna, il freddo terribile che Aylan avrà provato nelle sue ultime ore, nonostante l'abbraccio caldo e disperato della sua mamma.
La sabbia ha di sicuro invaso gli occhietti, le narici, la bocca ed ogni altro orifizio madre natura ha voluto rendere accessibile, luoghi nei quali, con i nostri figli, non permetteremmo la presenza di una singola briciola.
Sullo sfondo, la presenza di pattume ed altri detriti equiparano la restituzione del corpo di Aylan a quella di un tronco, di un pezzo di legno. La par condicio della natura.

Nello scatto successivo, un agente della guardia costiera turca, realizzato il compito che dovrà affrontare nella giornata di servizio, raccoglie le spoglie del povero Aylan.
Quanto può pesare un bimbo di tre anni in fuga dalla guerra e ramingo da giorni o settimane? Non più di tredici chili, il peso medio di un essere umano della sua età in salute. Il peso medio del bagaglio a mano che tutti noi portiamo senza fatica quando ci apprestiamo ad un viaggio aereo. Eppure il corpo del guardacoste è ricurvo come sotto il peso di decine di chili. Grava su questo uomo il peso morale, politico ed umano di un'intera comunità continentale. Non lo tiene saldo al petto – come faremmo tutti noi con un carico innocuo -: lo tiene a distanza. Come un collo radioattivo.
Nella versione video di questa tragedia, l'agente viene visto, però, condurre le spoglie di Aylan dietro uno scoglio poco distante, a dare cioè riparo ai resti di una creatura violata troppo presto nel diritto all'innocenza, alla felicità, alla sicurezza di una famiglia. Alla vita. Lo occulta alla vista, dietro a quello che diviene una camera mortuaria open air, ma dietro al quale sparisce anch'egli – e dove sono certo avrà praticato quei riti di decenza e pulizia che, sul corpo di un bambino, precedono la notifica all'autorità competente e l'arrivo del coroner. Un angelo, forse.


Non so se il fotografo dell'Associated Press abbia scattato queste foto d'stinto o razionalmente. Ma è certo che, come ha sottolineato Mario Calabresi, sono destinate a fare storia allo stesso modo di altre ormai abitanti il nostro immaginario collettivo. Risvegliano le coscienze assopite dal sapere che Aylan non è il primo a perire in simili circostanze e non sarà l'ultimo. Ci ricordano che in una comunità che si dice civile ed avanzata non si può morire a tre anni, solo, affamato, infreddolito, orfano, negli occhi l'orrore di una tragedia civile – la guerra - ed epica – il naufragio con la famiglia -, rinvenuti da un bagnino o da un turista, trasportati dalla corrente.
Quando la politica avrà trovato una soluzione “all'altezza della storia”, a noi tutti toccherà un compito di identica levatura: realizzare che, proprio per l'amore nei confronti dei nostri figli, a fronte di identica tragedia adotteremmo identica soluzione – certi che i nostri bimbi non meritino la fine toccata al piccolo siriano.
Sempre Calabresi, ha ricordato come la morte di Aylan Kurdi, tre anni, in fuga dalla guerra insieme alla sua famiglia, possa essere per ognuno “l'occasione per fare i conti sul senso ultimo dell'esistenza”.

Buona fortuna a tutti noi.

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