mercoledì 10 ottobre 2018

LI MORTACCI TUA. I 50'anni de La Notte Dei Morti Viventi.



Stamane mi sono alzato di buon'ora e, guardatomi allo specchio dopo aver indossato l'amato grembiale da massaia, ho notato quanto ormai il mio aspetto esteriore, in certe fasce orarie, risulti sempre più simile a quello dei carnefici di Hostel, la brutale – ma psicologicamente sottile – pellicola di Eli Roth, datata 2005.
Pagato pegno al precetto della confessione - che in un blog degno di questo nome, checché se ne dica, non può mancare –, devo però riconoscere di essermi anche subito ricordato, vuoi a seguito dell'immagine riflessa, vuoi per dono di una cinefilia della quale sempre più vado fiero, che quest'anno ricorre il 50º anniversario dell'uscita nelle sale de La Notte Dei Morti Viventi (Night Of The Living Dead), di George Romero.
In verità, il rimando alla figura oggi sdoganata, istituzionalizzata e abusata dello zombie credo non sia stato provocato tanto dalla ragioni sopra esposte, quanto dalla visione – altrettanto deprimente – che ogni santo giorno, dacché mia figlia ha cominciato la scuola dell'obbligo - ed io, nella veste di genitore-accompagnatore, ne assicuro la consegna alle cure dell'istituzione - mi si para davanti, la mattina: una popolazione in affanno nello sforzo di assolvere ai propri doveri lavorativi, professionali, coniugali, sentimentali, genitoriali, ludopatologici, pensionistici, monomaniacali e chi più ne ha più ne metta. Costumi e malcostumi assunti ad aspetto distintivo: una massa che nella postura, nell'andatura a volte scomposta, negli sguardi, nei messaggi smozzicati, nell'aggressività spesso trattenuta a fatica, sempre più somiglia ai 'ritornanti' di Romero – il quale non intendeva certo profetizzare, al tempo, questa deriva mortifera della società, ma il cui inconscio ebbe sicuramente la meglio.
Sta di fatto che, come insieme antropologico, noi tutti si somiglia molto più 'a li mortacci' che a valorosi combattenti olimpici. Anzi: con la nostra più marcata mutazione, palesemente avvenuta nella direzione di una crescita dell'aggressività e dell'ansia – e che, nel caso di noi italiani, ha persino trovato dignità culturale grazie al saggio cult di Alberto Arbasino, Paesaggi Italiani Con Zombie, del 1998 -, si è non poco contribuito alla caratterizzazione dello zombie seguìto al prototipo proposto nella saga romeriana. La Casa (Evil Dead), Resident Evil, Homecoming, Rec, Quel Treno Per Busan (Train To Busan), World War Z , L'Alba Dei Morti Dementi (Shaun Of The Dead) e Planet Terror (ultimo, questo, ma non ultimo, lo zombie movie più straordinario mai realizzato da parte di un talento che, ad oggi, ancora non gode di un apprezzamento proporzionato alla propria reale grandezza: Robert Rodriguez), sono esempi forse non sempre lampanti, ma significativi, della considerevole perdita di informazione – culturale e genetica – del cosiddetto uomo-massa.
Di recente, un marchio dell'industria dolciaria ha pubblicizzato in televisione il proprio prodotto per la prima colazione per mezzo di un spot che vede protagonista proprio una famiglia nucleare dalle fattezze post mortem, disperatamente intenta a mutare la propria condizione di disfacimento per mezzo del magico frollino-antidoto. (Traduzione: la mattina, pucciate il biscotto. Ma quante ne conoscono, 'sti pubblicitari?). A dimostrazione di come la percezione di un certo malessere della specie si sia ormai diffusa e stereotipata.
Quindi?
Quindi siamo passati dallo sfottò al dato di fatto. Dal dire “mi sembri uno zombie” al pensarlo per davvero. Nel tempo, dai mostri di Romero – mostri che, ricordiamo, hanno le nostre esatte fattezze – abbiamo mutuato tutta una serie di caratteristiche: dal muoversi in massa all'assunzione di atteggiamenti aggressivi; dall'aspetto sciupato alla sciatteria; dall'ossessione per l'alimentazione alla frequentazione inconscia dei centri commerciali; dal vagare senza meta quando soli alla pena suscitata in coloro che assistono a questo andare ramingo.
Non è mia intenzione dipingere la società tutta in maniera univoca – via d'uscita semplicistica e scientificamente priva di ogni fondamento -: mi permetto di osservare, semplicemente, come la grande fatica del vivere quotidiano – quella che accomuna molti di noi – sia per alcuni aspetti mirata ad arginare lo sfacelo che Romero e i suoi epigoni, con risultati spesso alterni, hanno mostrato noi sugli schermi in questi lunghi, travagliati cinquant'anni.
Voglio pertanto chiudere con una nota di speranza.
Ho recentemente rivisto il già citato Planet Terror, film-capolavoro che solo un folle come il suo regista (Rodriguez) ed un molestatore come il suo produttore (Harvey Weinstein) potevano realizzare. Per tutti coloro che se ne infischiano o non hanno lo stomaco per visionarlo, ma soprattuto per tutti coloro – e sono tanti – che hanno apprezzato il post su Tartarughina Luz, ecco, in breve, il finale della pellicola. Istruito a difendersi dall'eventuale aggressione da parte del padre mutato in zombie, il piccolo Tony (interpretato dal figlio di Rodriguez) rimane vittima di un colpo accidentalmente partito dalla pistola affidatagli dalla madre. Il regista ha sempre affermato che, dal punto di vista personale, questa sequenza rappresenta l'elemento maggiormente orrifico del film, e per tale motivo venne realizzata per mezzo del solo montaggio. Al fine di tutelare ulteriormente la sensibilità del figlio, comprensibilmente desideroso di vedersi finalmente proiettato sul grande schermo, scelse allora di girare una seconda versione della vicenda di Tony (visionabile, oggi, tra glie extras del DVD), dove il piccolo è portato in salvo dalla madre e subito dopo, in riprese incantevoli, è visto intento a giocare con una tartarughina su una spiaggia dell'amato Messico.
Ecco. Non si tratta di cedere all'evidenza: si tratta di riconoscere un certo, raggiunto decadimento e di fare il possibile, come persone, per opporvisi.
Non servono forse a questo, i mostri?

Un gruppo di allegri genitori al parco cittadino (foto AP).

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