Stamane mi sono alzato di buon'ora e,
guardatomi allo specchio dopo aver indossato l'amato grembiale da
massaia, ho notato quanto ormai il mio aspetto esteriore, in certe
fasce orarie, risulti sempre più simile a quello dei carnefici di
Hostel, la brutale – ma psicologicamente sottile –
pellicola di Eli Roth, datata 2005.
Pagato pegno al precetto della
confessione - che in un blog degno di questo nome, checché se
ne dica, non può mancare –, devo però riconoscere di essermi
anche subito ricordato, vuoi a seguito dell'immagine riflessa, vuoi
per dono di una cinefilia della quale sempre più vado fiero, che
quest'anno ricorre il 50º
anniversario dell'uscita nelle sale de La Notte Dei Morti Viventi
(Night Of The
Living Dead),
di George Romero.
In
verità, il rimando alla figura oggi sdoganata, istituzionalizzata e
abusata dello zombie credo non sia stato provocato tanto dalla
ragioni sopra esposte, quanto dalla visione – altrettanto
deprimente – che ogni santo giorno, dacché mia figlia ha
cominciato la scuola dell'obbligo - ed io, nella veste di
genitore-accompagnatore, ne assicuro la consegna alle cure
dell'istituzione - mi si para davanti, la mattina: una popolazione in
affanno nello sforzo di assolvere ai propri doveri lavorativi,
professionali, coniugali, sentimentali, genitoriali, ludopatologici,
pensionistici, monomaniacali e chi più ne ha più ne metta. Costumi
e malcostumi assunti ad aspetto distintivo: una massa che nella
postura, nell'andatura a volte scomposta, negli sguardi, nei messaggi
smozzicati, nell'aggressività spesso trattenuta a fatica, sempre
più somiglia ai 'ritornanti' di Romero – il quale non intendeva
certo profetizzare, al tempo, questa deriva mortifera della società,
ma il cui inconscio ebbe sicuramente la meglio.
Sta
di fatto che, come insieme antropologico, noi tutti si somiglia molto
più 'a li mortacci' che a valorosi combattenti olimpici. Anzi: con
la nostra più marcata mutazione, palesemente avvenuta nella
direzione di una crescita dell'aggressività e dell'ansia – e che,
nel caso di noi italiani, ha persino trovato dignità culturale
grazie al saggio cult
di Alberto Arbasino, Paesaggi Italiani Con Zombie, del 1998 -, si è
non poco contribuito alla caratterizzazione dello zombie seguìto al
prototipo proposto nella saga romeriana. La Casa (Evil
Dead),
Resident Evil,
Homecoming,
Rec,
Quel Treno Per Busan (Train
To Busan),
World War Z
, L'Alba Dei Morti Dementi (Shaun Of The Dead) e Planet
Terror
(ultimo, questo, ma non ultimo, lo zombie
movie più
straordinario mai realizzato da parte di un talento che, ad oggi,
ancora non gode di un apprezzamento proporzionato alla propria reale
grandezza: Robert Rodriguez), sono esempi forse non sempre lampanti,
ma significativi, della considerevole perdita di informazione –
culturale e genetica – del cosiddetto uomo-massa.
Di
recente, un marchio dell'industria dolciaria ha pubblicizzato in
televisione il proprio prodotto per la prima colazione per mezzo di
un spot
che vede protagonista proprio una famiglia nucleare dalle fattezze
post mortem,
disperatamente
intenta a mutare la propria condizione di disfacimento per mezzo del
magico frollino-antidoto. (Traduzione: la mattina, pucciate il
biscotto. Ma quante ne conoscono, 'sti pubblicitari?). A
dimostrazione di come la percezione di un certo malessere della
specie si sia ormai diffusa e stereotipata.
Quindi?
Quindi
siamo passati dallo sfottò al dato di fatto. Dal dire “mi sembri
uno zombie” al pensarlo per davvero. Nel tempo, dai mostri di
Romero – mostri che, ricordiamo, hanno le nostre esatte fattezze –
abbiamo mutuato tutta una serie di caratteristiche: dal muoversi in
massa all'assunzione di atteggiamenti aggressivi; dall'aspetto
sciupato alla sciatteria; dall'ossessione per l'alimentazione alla
frequentazione inconscia dei centri commerciali; dal vagare senza
meta quando soli alla pena suscitata in coloro che assistono a questo
andare ramingo.
Non
è mia intenzione dipingere la società tutta in maniera univoca –
via d'uscita semplicistica e scientificamente priva di ogni
fondamento -: mi permetto di osservare, semplicemente, come la grande
fatica del vivere quotidiano – quella che accomuna molti di noi –
sia per alcuni aspetti mirata ad arginare lo sfacelo che Romero e i
suoi epigoni, con risultati spesso alterni, hanno mostrato noi sugli
schermi in questi lunghi, travagliati cinquant'anni.
Voglio
pertanto chiudere con una nota di speranza.
Ho
recentemente rivisto il già citato Planet Terror,
film-capolavoro che solo un folle come il suo regista (Rodriguez) ed
un molestatore come il suo produttore (Harvey Weinstein) potevano
realizzare. Per tutti coloro che se ne infischiano o non hanno lo
stomaco per visionarlo, ma soprattuto per tutti coloro – e sono
tanti – che hanno apprezzato il post su Tartarughina Luz,
ecco, in breve, il finale della pellicola. Istruito a difendersi
dall'eventuale aggressione da parte del padre mutato in zombie, il
piccolo Tony (interpretato dal figlio di Rodriguez) rimane vittima di
un colpo accidentalmente partito dalla pistola affidatagli dalla
madre. Il regista ha sempre affermato che, dal punto di vista
personale, questa sequenza rappresenta l'elemento maggiormente
orrifico del film, e per tale motivo venne realizzata per mezzo del
solo montaggio. Al fine di tutelare ulteriormente la sensibilità del
figlio, comprensibilmente desideroso di vedersi finalmente proiettato
sul grande schermo, scelse allora di girare una seconda versione
della vicenda di Tony (visionabile, oggi, tra glie extras del
DVD), dove il piccolo è portato in salvo dalla madre e subito dopo,
in riprese incantevoli, è visto intento a giocare con una
tartarughina su una spiaggia dell'amato Messico.
Ecco.
Non si tratta di cedere all'evidenza: si tratta di riconoscere un
certo, raggiunto decadimento e di fare il possibile, come persone,
per opporvisi.
Non
servono forse a questo, i mostri?
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