David, continuo a
chiedermi come da ragazzo innocente sia potuto diventare ciò che
sono.
Credo sia stata colpa di Harvard.
Già: non sai nemmeno di quello.
(Ted Kaczynski)
Credo sia stata colpa di Harvard.
Già: non sai nemmeno di quello.
(Ted Kaczynski)
Ricordo che da bambino, al tempo
della scuola, la maestra aveva l'abitudine di dare pubblica lettura
al migliore svolgimento del tema in classe. L'estensore veniva
nominato davanti ai compagni ed invitato in cattedra a leggere la
propria composizione.
Le tracce erano, chiaramente, quelle
proprie del genere: la vacanza al mare; la gita in biblioteca; il
compagno di banco; la mia città; il lavoro di papà; la visita alla
Collegiata; il parco cittadino (sic);
i vigili urbani; parla del tuo sport
preferito; scrivi il tuo pensiero sulla scuola che frequenti e
via dicendo.
Nonostante ritenessi già allora di
possedere doti di scrittura ben superiori a quelle dei compagni
pluripremiati e assunti a modello, ricordo che non ebbi mai l'onore
di essere chiamato a tenere il public reading alla
classe.
Il mio più grande insuccesso
editoriale, all'epoca, fu il tema con traccia libera che scelsi di
dedicare all'attentato al Papa. Avevo solo nove anni, ma già vantavo
diverse, dettagliate, compulsive letture del quotidiano di casa: il
'Corriere'. Il tema stava scritto in uno stile giornalistico di
maniera - l'unico che mi fosse dato di possedere. Al suo interno
erano riportati data, luogo, ora e contesto dell'attentato, più una
dissertazione di pura fantasia sui Lupi Grigi – il gruppo
terroristico turco indicato come mandante. Sognavo di raccontare i
fatti come fossi stato Paolo Frajese – allora, uno dei miei miti.
Quattro facciate formato A4 scritte fitte, accettabili, quanto meno,
per aderenza e fedeltà al modello assunto. Va da sé che neanche
ciò, il massimo dello slancio e dell'arditezza, fu sufficiente a
farmi rientrare nella selezione. 'Le torte di mele della nonna' e 'il
mio cane Bolfo' continuavano a conquistare puntualmente nomination
e statuetta – un po' come oggi la notizia futile, irrilevante,
quando non addirittura infondata (fake),
cattura più lettori dell'inchiesta o dell'elzeviro.
Ricordo inoltre
che non solo in occasione di questa eclatante esclusione (o forse
dovrei scrivere 'censura': teniamo presente che al tempo preti e
suore occupavano sistematicamente le cattedre di religione della
scuola dell'obbligo), ma anche di altre ben più modeste, non vi fu
mai, da parte dell'insegnante, una spiegazione che riguardasse il
criterio di selezione/esclusione, un'analisi condotta in presenza
dell'allievo delle inadeguatezze della propria composizione, o il
suggerimento di soluzioni narrative in grado di migliorare l'apporto
comunicativo. Allo stesso modo, erano assenti pure le motivazioni per
le nomine. Insomma: la maestra era, né più né meno, la mano di
Dio, colei che separava il bene dal male, i vincitori dai vinti.
Come sia
possibile che uno con questi trascorsi scolastici non si sia votato
ad un'anarchismo estremo, si spiega solo con un miracolo della
civilizzazione.
Mi
chiedo, a volte, quali possano essere stati i modelli di scrittura di
questi insegnanti, quali fossero le loro letture lontani dai testi
obbligatori, e a quanto ammontasse il rapporto con la parola scritta
che non fosse quella di un verbale d'istituto, di una nota
disciplinare, un giudizio di merito a fine anno o un concetto
preconfezionato. All'idea di una risposta, sono percorso da brividi
per ciò che potrei sentire e dedurre. Perché, checché se ne dica,
nessuno, nemmeno un genio, può permettersi il lusso
dell'originalità: tutti, per periodi più o meno lunghi della nostra
vita, ci rapportiamo ad un maestro, ad un modello.
Quando ho avuto l'idea di questo
blog, tre anni fa, il primo
compito è stato togliermi dall'impaccio di una scrittura che era
andata atrofizzandosi. Pesante, poco scorrevole, dotata di uno
slancio debole. Perché questo succede quando non si coltiva
debitamente la parola scritta. Poi, nel tempo, mi è sembrato di
ritrovare la forma. Più riacquistavo confidenza con la scrittura –
con la mia scrittura
-, più avevo l'impressione di riuscire a pensare meglio. Ricordate
lo sfogo di Nanni Moretti in Palombella Rossa, quando dice che chi
parla male “pensa male e vive male”? Beh: penso valga anche per
la parola scritta.
Forse vi state
chiedendo il perché di tutta questa analisi, indulgente come non può
non essere ogni azione autorefenrenziale.
Nutro un profondo
disprezzo per coloro che mi giudicano senza conoscermi (è successo
di recente).
Penso sia da
ricondurre a quella mancata gratificazione d'età scolare.