Si sa che agl'italiani piace un sacco, la FIFA
(Fédération Internationale de Football Association). Ne sono
innamorati. Farebbero davvero di tutto, per un po' di FIFA.
Lo si è visto nella giornata di ieri
(13 nov). Di tre radiogiornali nazionali, non uno ha relegato la
notizia dell'imminente partita della nazionale di calcio nella fascia
deputata allo sport. E cioè
in fondo alla scaletta, a termine programma. Macché: prima notizia a
reti unificate. Probabilmente neanche un nuovo terremoto in centro
Italia avrebbe persuaso le loro redazioni ad una revisione delle
notizie di apertura.
Se qualcuno, quindi, nutriva ancora
dubbi sul fatto che radio e tele-giornali non facciano informazione,
quanto riportato li fuga senza lasciarne traccia alcuna.
Non paghi, però, di aver dato ad una
simile notizia la massima prominenza, quelli della RAI si sono
persino vantati di una non meglio specificata “diretta streaming
dalla sala di Via Asiago”. Ma certo: come se gli italiani, dopo
piazza San Carlo, avessero ancora voglia di abbandonare il divano di
casa per una fottuta telecronaca a la Pizzul. Rinunciare a
tutto quell'apparato di costumi fantozziani – “calze, mutande,
vestaglione [...], frittatona di cipolle [...], […] Peroni gelata
[...] e rutto libero” - per fare la fila in questa via che è da
quand'ero bambino che la sento nominare più del quirinale e della
casa bianca. Sicuro.
Va da sé che la RAI, la pancia degli
italiani, la conosce eccome. Ieri sera, tra amici e
conoscenti, è stato infatti tutto un ostentare auricolari, tablets,
connessioni pirata e quant'altro artifizio praticabile, pur di essere
connessi con San Siro. Spettatori virtuali di una partita il cui
risultato persino un incompetente in materia come me già sapeva
essere scritto nelle stelle. D'altronde quando il tuo capitano fa
Buffon di cognome, ed uno che ti aspetti corra un bel po' è
Immobile, abbiate pazienza: nomen omen.
Mi sembra che il calcio sia
un'attività sportiva ottima per costruirsi un fisico da aperitivo.
La preparazione atletica cui è sottoposto un calciatore
professionista conferisce infatti quella prestanza che tanto fa ben
figurare quando ci si mette in ghingheri passate le 19:00. Ma quanto
a rendimento, a performance, con molta probabilità verrebbe
giudicata insufficiente persino da una squadra di curling.
Personalmente ho vissuto qualche stagione ricca di aperitivi ai quali
mi sono presentato in eccellente forma fisica. Un bella sensazione,
credete. Da qui ad una qualificazione mondiale, però...
Certo:
mi sono imbattuto anche in molta indignazione, in seguito a questa
sconfitta, gran parte della quale provocata dalle lacrime di Gigi
Buffon - diffuse a reti unificate dalla televisione e, il giorno
dopo, sulle prime pagine di tutte le principali testate
giornalistiche. Coloro che se ne sono lamentati, le hanno giudicate
fuori luogo, inaccettabili da parte di uno sportivo con il suo
curriculum di
vittorie, con un ruolo da capitano di nazionale ed uno stipendio a
sei zeri.
C'è
un rapporto stretto tra la percezione di sé stessi come
professionisti dello sport – percezione delle proprie eccellenze –
ed il ruolo simbolico che viene assunto alla convocazione in
nazionale. È una questione che riguarda non solo gli azzurri – ai
quali, per inciso, va tutto il nostro legittimo disprezzo. Riguarda
ogni sportivo ed ogni compagine nazionale. Mi spiego. Siamo da tempo
nell'era della fine delle ideologie. Le ideologie hanno spesso fatto
leva su primati nazionali frutto di mitomania, leggenda e
contraffazione. L'idea del suprematismo nazionale è evaporata con le
ideologie che la propalavano, ed oggi rimane l'illusione di frange
fuori dal tempo, frange neofasciste, che – guarda un po' –
abitano gli stadi esattamente come i topi le fogne. Di quale primato
siano quindi portatori i 22 fenomeni della nazionale di calcio, è
presto detto: il peggio dell'italianità.
Un
altro problema è quello dell'incapacità di riconoscere - e
riconoscersi in -
figure realmente vincenti. Vincenti per prestazione, mentalità e
dignità (qualità che nelle lacrime di Gianluigi Buffon trovano la
loro antitesi).
Ora
in molti piangono al pensiero che, data l'esclusione, l'estate
prossima saranno privati del loro “rito collettivo”.
Ecco:
forse solo di questo si tratta, in fondo. Il bisogno di un rito
collettivo: la messa, le partite della nazionale di calcio, la festa
del partito, la setta, la gang.
Bisogni
aggregativi fondamentali.
Ma
tutti mal riposti.
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