domenica 12 agosto 2018

CRIMINAL TOP 10. Dieci canzoni da perseguire penalmente.


Riconoscere un'opera di buona fattura, in musica, non è impresa facile. Richiede profonda conoscenza della materia, attenti, ripetuti ascolti e grande sensibilità.
In presenza di capolavori (evento raro), la ricognizione si fa ulteriormente complessa, sconfinando in un territorio destinato a pochi eletti.
È illusione tipica del principiante, credere una sinfonia di Brahms, per esempio, come formalmente più semplice, lineare, easy-listening, di una qualsivoglia opera di autore contemporaneo. Richiede, invece, lo stesso sforzo, lo stesso impegno ed altrettanta competenza, che, se assenti, rendono il suo l'ascolto – ogni ascolto - un semplice passatempo, un'assimilazione musicale passiva non dissimile a quella di supermercati, pubs ed altri luoghi pubblici.
Se debitamente affinata, però, una simile facoltà può elargire al singolo momenti di piacere, al limite con l'estasi, assai rari nella vita di tutti i giorni, ed inoltre dotarlo di una sorta di sistema immunitario supplementare in grado di opporsi alla fuffa musicale che la digitalizzazione ha reso dilagante – quando non addirittura imperante.
Ed è per potenziare quest'ultima caratteristica che SALA COLLOQUI ripropone, a due anni di distanza dalla prima top-ten, le...
DIECI CANZONI DA PERSEGUIRE PENALMENTE

10 - Come On To Me (Paul McCartney)

Qualcuno ha ricordato a Sir Paul che i Beatles si sono sciolti nel 1970, e che il mese scorso ha compiuto 76 anni? Perché a giudicare dall'ultimo singolo il nostro sembra essersi fermato, musicalmente e testualmente, ai tempi gloriosi che precedettero quel fatidico aprile. Ascoltare per credere. Capo d'imputazione: plagio.
9 - Learning To Fly (Pink Floyd)
Orfani dei padri fondatori, Syd Barrett e Roger Waters, ma legalmente determinati a sfruttarne il marchio, i fanalini di coda Gilmour, Wright e Mason pubblicarono un disco capace da solo di rovinare un'intera carriera. Learning To Fly, presentato come singolo rappresentativo dell'intero lavoro, era in realtà la Nemesi per l'allontanamento forzato del grande Waters. Il resto è cronaca giudiziaria. Capo d'imputazione: lesioni aggravate.
8 – Wind of Change (Scorpions)
Il muro di Berlino era appena crollato. Una band tedesca non poteva quindi che illudersi in tal senso più di noi tutti. Ma sfruttare l'evento in maniera così strumentale e pure con un fischio del cazzo alla Morricone è davvero troppo. Questi sono avanzi serviti à la carte, con i quali i membri degli Scorpions si comprarono le rispettive ville in contanti. Capo d'imputazione: circonvenzione d'incapace.
7 – Oh, Vita (Jovanotti)
Uno stronzo è una persona che tendenzialmente scherza sul dolore altrui. All'apice del successo, e non pago di averlo ottenuto nonostante i demeriti, 'il Lorenzo' celebra così quella stessa vita che tiene nella difficoltà milioni di italiani da anni. E lo fa con una bella strimpellata di chitarra e quattro parole improvvisate. Alla faccia vostra. Capo d'imputazione: appropriazione indebita.
6 – Voglio Andare A Vivere In Campagna (Toto Cutugno)
Desiderio condivisibile, ma inverosimile se espresso da un saltimbanco che in città ha realizzato lauti guadagni senza peraltro soffrirne mai. In un paese che ancora oggi registra una forte immigrazione interna, nulla ha più presa sull'ascoltatore imberbe di un inno ai campi. Senza omettere quel tocco latino che tanto fa presa su certi coattoni sudamericani. Capo d'imputazione: falso in atti d'ufficio.
5 – Le Canzoni (Jovanotti)
Se la ride e se la canta, il Lorenzo nazionale. Forte di un successo senza barriere, con questo brano ha persino l'ardire di prendere le difese dei propri, tanti limiti autorali. “Le canzoni non devono essere belle” è davvero un verso che tradisce tutta la stronzaggine del Jovanotti. Capo d'imputazione: apologia di reato.
4 – Il Ballo Del Qua-Qua (Al Bano & Romina Power)
Quando si resero conto che il loro pubblico si era ormai appropriato di Creep, i Radiohead smisero di eseguirla per oltre vent'anni. Questa coppia 'de noantri' ha invece dato prova di una mancanza di pudore che farebbe invidia a Rocco Siffredi, suonando questa merda in ogni momento – basta pagare – dall''82 ad oggi. Capo d'imputazione: crimini contro l'umanità.
3 – Se Mi Lasci Non Vale (Julio Iglesias)
Se ci si concentra un poco, cercando d'immaginare quale tipo di musica può ascoltare un pappone di Porto Cervo tra un lenocinio e l'altro, questa canzone ne rappresenta la colonna sonora perfetta. Bagnate tutte le mutandine della seconda metà dei '70, il suo successo terminò in una clonazione: Enrique Iglesias. Capo d'imputazione: molestia sessuale.
2 – Do They Know It's Christmas? (Band Aid)
Per fortuna gli italiani ancora oggi hanno problemi serissimi con la lingua Inglese. Figuriamoci nell''84! Avessero capito i contenuti di questa canzone, sarebbero probabilmente tornati tra le braccia di Sandy Marton. Con questo brano Band Aid inaugurò la grande tendenza planetaria del charity concert, mega-evento capace di sposare qualsiasi causa senza portare beneficio ad alcuna, aumentando però a dismisura la visibilità degli artisti coinvoltivi. Capo d'imputazione: traffico di esseri umani.
1 – We Are The World (USA For Africa)
Invidiosi come bambini viziati dei lauti guadagni realizzati oltreoceano, Michael Jackson e soci non si fecero attendere, pubblicando, un anno più tardi, questa ciofeca, di nuovo facendo leva sul ricatto della pietà. Anche questo consesso di benefattori della domenica riuscì nell'intento di godere della massima visibilità, senza dover rendere conto del fiume di soldi destinato ai poveri. L'Africa non è mai uscita dalla carestia. Neanche allora. Capo d'imputazione: truffa aggravata.

sabato 28 luglio 2018

RE PER UNA NOTTE. Pat Metheny 'live' all'Arona Music Festival.


Su artisti del calibro di Pat Metheny, esibitosi mercoledì scorso (25 luglio) alla Rocca Borromea di Arona (location strepitosa, apprezzata sia dai musicisti ospiti che dal pubblico pagante), non c'è davvero nulla che un umile scrivano come me possa dire, a meno di scadere nell'ovvio, nel già-detto, nel già-sentito. Quarant'anni di carriera ed almeno due dischi che hanno rivoluzionato non solo e tanto lo stile chitarristico dominante al tempo della loro pubblicazione (Song X, del 1986, e Question And Answer, del 1990), quanto il modo con il quale coloro che fanno musica concepiscono l'approccio all'improvvisazione di matrice jazzistica, converrete non lascino ampio margine di manovra a chiunque si proponga di suggerire qualcosa di nuovo in questo comparto.
L'unico apporto, quindi, che possa dirsi improntato ad un minimo di pubblica utilità – per quanto provinciale, campanilistico e da cronaca di giornale locale -, risulta essere il tentare di contestualizzare quello che per Arona è stato l'evento dell'anno (per questo concerto sul lago, il chitarrista statunitense ha saltato a piè pari la potenziale ed attesa data milanese).
Completamente dimenticate, quando non addirittura ignorate, negli ultimi venti anni, sulla sponda cittadina hanno avuto luogo le esibizioni di – cito a memoria -: Billy Cobham, John Scofield, Chick Corea, Steve Grossman, Jason Moran, Carla Bley, Michel Petrucciani, Brad Melhdau, John Abercrombie, Peter Erskine. In parole povere, alcuni tra i musicisti più importanti del panorama jazzistico internazionale. Artisti senza il cui contributo – è utile dirlo – la nostra fruizione musicale sarebbe grandemente compromessa in termini qualitativi.
Ogni volta inseriti nei cartelloni di differenti rassegne, quasi tutte sorprendentemente defunte per questioni di bilancio, alcuni degli artisti citati hanno tenuto esibizioni divenute memorabili. Su tutte, quella di Petrucciani, nel 1999, che proprio alla Rocca Borromea suonò, nella quasi assoluta certezza del poco tempo che gli restava da vivere (sarebbe mancato di lì a pochi mesi), e quella di Mehldau con il suo trio storico, quattro anni più tardi, alla Punta Vevera, concerto di rara bellezza che i tre suonarono in un incessante – e snervante - andirivieni del pubblico, dovuto alla gratuità della serata.
Oggi le cose sembrano stare alquanto diversamente.
Il pubblico dell'altra sera, numerosissimo, è risultato composto, attento, ammirevolmente silenzioso. Ha compreso l'irragionevolezza della gratuità. Come si diceva in apertura, è rimasto estasiato dalla bellezza del parco, dalla sua posizione, dal panorama, dalla suggestiva illuminazione dei resti della fortezza, dall'ambiente acusticamente non inquinato (caratteristica, questa, assai rara, oggi).
Le persone – e, al di la degli ingaggi, gli artisti stessi – sembrano stanche di concerti lucrosissimi ed organizzati in luoghi squallidi, inadeguati, quali stadi, palazzetti, parcheggi convertiti in aree per piccoli e grandi eventi, impraticabili ed impersonali spianate di cemento.
Il potenziale dell'Arona Music Festival, e vengo al punto, sta qui: il disporre per i suoi appuntamenti della più bella sede all'aperto di tutto il Lago Maggiore.
Ma anche una sede che richiederà alle amministrazioni di oggi e di domani un impegno non di poco conto.
Si dovrà, anzitutto, trovare un modo per tutelare il verde, irrinunciabile per ogni città degna di questo nome, che il palco, le tensostrutture, i bagni chimici ed i tanti sederi che ne hanno assaporato la morbidezza, compreso il mio, hanno messo a dura prova.
Si dovrà fare il possibile per rendere la manifestazione un appuntamento con frequenza stabile, in modo da approntare e perfezionare, di anno in anno, un adeguato sistema di trasporto, culminante nell'ormai improcrastinabile parcheggio multipiano periferico alla città, e favorendone l'ambizione a divenire una grande isola pedonale del Lago Maggiore.
Infine andrà svolto un lavoro di integrazione del Festival con le altre realtà culturali già presenti ed attive da tempo: il Festival Organistico Internazionale, Il Festival Delle Due Rocche e La Primavera In Musica del Palazzo dei Congressi. Arona è una piccola realtà di provincia. La sua dimensione è il suo punto di forza. Essa non si presta alla concorrenza, bensì alla sinergia.
Il concerto di Metheny, alla fine, è risultato scontato. Mi spiego: era scontato che saremmo andati incontro ad una grande performance, ma priva di sostanziali sorprese. E così è stato.
Non era per nulla scontata, invece, la presenza alla batteria di Antonio Sanchez, musicista dal tiro nervoso, tendineo, una personalità musicale fortissima, capace, come ha dimostrato, di trarre a sé anche un mostro sacro come Metheny.
A fine-concerto, si sono esibiti in un duetto (Go Get It, dello stesso Metheny) con tanto di chitarra synth che ha portato entrambi fuori dagli schemi, in un territorio primitivo, poco battuto, dove la musica ha finalmente preso fuoco divampando.
È valso da solo l'intero biglietto.


martedì 17 luglio 2018

20 ANNI IN OGNI ISTANTE. Elisa e il cattivo gusto dell'autocelebrazione.


- […] mi lasci parlare del mio accidentato, sofferto, ma indispensabile percorso d'artista.
- Indispensabile a chi? Santo cielo, signora […]
(Paolo Sorrentino & Umberto Contarello, La Grande Bellezza)
Parlando della sua infanzia, mia madre ha spesso ricordato di come l'immagine di Benito Mussolini, massicciamente presente sui frontespizi di libri e quaderni dell'epoca, incutesse in lei un timore generalizzato, pervasivo, dettato dall'incombere di quel voluminoso cranio pelato sugli spazi deputati all'iconografia di regime – cioè tutti.
A questo ho pensato, ieri sera, nel vedere l'immagine di Elisa incessantemente rimandata sul maxi-schermo del suo spettacolo.
Che non si dovesse avere dubbi, cioè, su chi fosse la stella, la primadonna, la festeggiata, la prescelta dal Signore, colei che appare alla Madonna, l'impavida condottiera.
Master and commander.
Colei cui la comunità canora nazionale rende doveroso omaggio per riconosciuti meriti artistici.
'Elisa – 20 Anni In Ogni Istante' è il titolo scelto per le celebrazioni canore dei vent'anni di carriera della cantante, celebrati lo scorso anno, il 12, 13, 14, 15 e 16 settembre, all'arena di Verona con quattro concerti a tema: pop-rock, acustica, orchestra, data aggiuntiva a grande richiesta, una ventina d'ospiti d'onore sul palco, da Ornella Vanoni (!) ad Ermal Meta (!), ripresi e mandati in onda da Canale5, in differita, sabato scorso.
Roba da giubileo di casa Windsor.
Ufficialmente Ogni Istante è il titolo del singolo che Elisa ha voluto presentare in esclusiva agli intervenuti. Ma senza privarsi del piacere del dirigerne lei stessa il videoclip, giusto per non farsi mancare nulla.

Se 'In Ogni Istante', però, sia da intendere in senso limitativo ('ho sempre 20'anni', molto femminile) o cronologico ('ora ti racconto ogni singolo momento', stile diapositive-del-matrimonio), non è dato sapere.
Probabilmente nemmeno Wolfgang Mozart, che fu un genio ed un enfant prodige, considerò mai se stesso in termini tanto megalomani o anche solo meritevoli della piaggeria vista in azione all'arena.
In nessun altro modo, infatti, credo si possa intendere l'imbarazzante sfilata dei V.I.P.s della canzone italiana che, di fronte all'invito della cantante friulana, hanno soggiaciuto non solo al gettone di presenza, ma persino al suo ottenimento previo inchino ed omaggio floreale a sua santità.
Ero rimasto alla consuetudine del compleanno a spese del festeggiato, retaggio delle feste delle medie e di quelle successive per il conseguimento della maggiore età.
Qui siamo di fronte, invece, ad oltre cinquantamila persone che, per prendere parte alla festa, hanno pagato tra i trentacinque ed i centonovantanove euri.
Poco ci mancava che dovessero pure portare il regalo.

Seduta al pianoforte; con la chitarra elettrica a tracolla o quella acustica sulle gambe; al bongo o semplicemente con il microfono in mano, Elisa è alternativamente circondata da ballerini che danzano intorno a lei non visti, come una schiera di angeli custodi; accompagnata da un coro di voci bianche femminili; messa in onda sul maxi-schermo o posizionata al centro di un'orchestra sinfonica. Elisa vuole essere la colonna sonora che precede la nostra resurrezione.
La musica di Elisa, vi piaccia o no, è christian pop.
Per tornare a noi, qui non è in discussione la bravura, la tecnica strumentale o l'esperienza nel saper calcare un palco, di certo conseguita dopo una dura gavetta.
Qui si discute l'assoluta mancanza di ogni senso del limite. Della percezione della propria persona artistica. Del peso specifico della propria produzione. Di artisti la cui missione sembra essere esclusivamente la messa in campo spudorata di ogni emozione. Canzoni altrui eseguite per il solo piacere di rubare la scena. Autoreferenzialità. Grandi certezze ed una quasi totale assenza di dubbi.
Tutto il resto è noia, avrebbe detto il sopravvalutato 'Califfo'.
Ma io, di questa 'rimanenza', mi sia concesso dirlo, mi sento parte integrante.
A questo punto, manca solo un comunicato dell'ufficio-stampa della cantante che informi noi tutti, figli smarriti, della natura divina della nostra, venuta al mondo non nella luce istituzionalizzata di un reparto-maternità, bensì in quella fioca di una mangiatoia, precariamente scaldata dalla presenza di un bove e di un asino.
Siamo onesti: questi non sono artisti. Sono, al più, intrattenitori e gente di spettacolo.
E questi, che vengono puntualmente, tutti, spacciati per eventi, non sono nemmeno concerti: sono enormi e perfettamente funzionanti meccanismi di marketing di massa.
Che noi ci si faccia persuadere, dice più della nostra vulnerabilità che della presunta diabolicità dei loro ideatori.

venerdì 6 luglio 2018

BICYCLE RACE. Arona inaugura, con qualche attrito, la nuova ciclabile.


Passerò alla storia – sì, lo so: mi sopravvaluto – come quello che una volta l'anno, più o meno, si sente in dovere di polemizzare con l'amministrazione comunale sul tema dei percorsi ciclabili e della loro gestione.
In realtà, sono molto grato al sindaco di Arona, Alberto Gusmeroli, per avere mantenuto la promessa, strappatagli nel corso di uno scambio epistolare circa due anni fa, di dare ad Arona la sua agognata, meritatissima pista ciclabile, terminata proprio in questi giorni, a ridosso del ritorno sui cieli del lago delle Frecce Tricolori (a dimostrazione che i grandi eventi hanno il pregio di mettere quel tanto di pepe al culo che solo fa bene alla gestione della cosa pubblica).
Sta di fatto, però, che i problemi di una città vissuta per decenni in totale assenza di una visione di ecosostenibilità del trasporto, e quindi lacunosa per ciò che riguarda la formazione di quella cultura civica che consegue ad ogni importante cambiamento, ieri l'altro sono emersi in tutta la loro drammaticità.
In sequenza. Al tentativo di impegnare la nuova ciclabile, mi è stato chiesto dagli uomini della protezione civile, sebbene con educazione, di scendere dalla bicicletta e proseguire a piedi. Declinato rispettosamente l'invito, sono stato ugualmente costretto a scendere a causa delle migliaia di pedoni che passeggiavano su entrambe le carreggiate della pista con la stessa rilassatezza che metterebbero in campo sulla battigia di Bellaria Igea Marina. Al terzo, disperato tentativo di percorrere la pista ciclabile della MIA città, ho dovuto infine desistere, quando sulla carreggiata in direzione sud mi sono imbattuto in un grappolo di cessi chimici che la ostruivano per intero (interessante: una volta era il turista tipo ad intasare irrimediabilmente tutti i gabinetti della città; oggi invece è il water stesso ad occuparne, seppur parzialmente, gli spazi, quasi un tentativo di riappropriazione; Transformers, ma con le tazze).
Detto questo, lungi da me il voler puntare il dito contro chicchessia. Siamo agli esordi del nostro percorso verso standards già brillantemente fissati da realtà urbane europee, in molti casi superiori per risorse, popolazione e superficie.
Ho un amico domiciliato appena fuori Copenhagen. Posso affermare per esperienza diretta, conseguita nel corso di ripetute visite, che tutti i comportamenti in violazione del codice della strada, siano essi commessi da automobilisti, ciclisti o semplici pedoni, nella capitale danese sono esemplarmente – e spesso dolorosamente - sanzionati. Vorrei ricordare a tutti che qui si sta parlando di una città con quasi 100km di percorsi ciclabili, dove gli impedimenti esperiti ieri l'altro in Arona porterebbero ad una rivolta popolare.
Quindi, ben vengano questi problemi, a patto però di essere determinati nel risolverli.
Perché se così non dovesse essere, se cioè si scoprisse che la nuova ciclabile non è parte di una pianificazione a lungo termine per una viabilità sostenibile – irrinunciabile, per una città con vocazione turistica -, bensì semplice conseguenza delle tante pressioni ricevute in questi anni e non più sopportabili, si provveda allora ad informare tempestivamente la locale stazione dei Carabinieri del rischio concreto, a partire dai prossimi fine-settimana, di risse da festa della birra tra ciclisti e pedoni. Considerato il livello altissimo di aggressività dei primi e l'ottusità dei secondi, c'è da aspettarsi sangue.
Sangue che andrà a bagnare anche il locale pronto soccorso, dove i rappresentanti delle due categorie giungeranno lacerocontusi, traumatizzati, modestamente mutilati ed alleggeriti per bene nell'apparato circolatorio, in conseguenza delle rispettive invasioni di campo.
Accetto l'obiezione relativa all'eccezionalità della giornata. Arona ha ospitato oltre centomila presenze, in occasione del ritorno delle Frecce Tricolori, e certo non era il momento più adatto per farsi una bella passeggiata in bicicletta.
Sta di fatto che il mezzo è stato impiegato, oltre che per innegabile piacere personale, per non gravare ulteriormente la viabilità cittadina con l'ennesimo motore a scoppio, con tutto il suo portato di ingombro ed inquinamento, acustico ed ambientale.
E sentirsi dire, nel 2018, che non si può affrontare il percorso ciclabile con il mezzo ad essa deputato, perché “c'è il rischio che qualcuno vada a sbattere” (!!), mi sembra ci piazzi, come paese, anche in questo comparto, in fondo alla classifica.

sabato 30 giugno 2018

HOT FOR TEACHER. Con Il Supplente, Rai2 fa scempio del concetto di istruzione.


È con assoluto sconcerto che constato a quale orrido livello è ormai giunto il servizio televisivo pubblico.
Nel corso del rituale zapping serale – pratica certo poco intellettuale, ma dettata dall'immancabile stanchezza fisica -, l'occhio non ha potuto non registrare la visione spaventosa di un'aula scolastica con tanto di alunni ed un tracotante J-Ax – sì, il rapper 'de noantri' - in veste di insegnante.
Per qualche istante ho mentito a me stesso, fingendo di non interessarmene, proseguendo quindi nella nevrotica ricerca di altri programmi o di maggiormente edificanti visioni. Ma più mi allontanavo da Rai2 – ultima enclave di quel centro-sinistra sterminato alle recenti amministrative - più la curiosità, l'interesse, si faceva assillante.
Il Supplente – mi rimetto per dignità alla descrizione fornita dall'ufficio-stampa dell'emittente - “è il nuovo factual di Rai2, ideato e prodotto da Palomar Entertaiment” (si noti l'assenza e del corsivo e delle alternative virgolette semplici ad adeguatamente soppesare l'aggettivo factual, come altri anglismi cooptato nell'italiano non ad arricchimento, bensì a sostituzione di un vocabolario-madre sempre meno ricco, efficace e posseduto). In che cosa consista il factual, lasciamo che sia lo quello stesso ufficio a spiegarcelo quando ne avrà voglia. Nomen omen, dicevano gli antenati della nostra cultura in disfacimento. E quanto avevano ragione... Quanta presunzione nel darsi, come casa di produzione, un nome così impegnativo. Italo Calvino, parlando del suo romanzo, ne diede succinta descrizione come di una ricerca del dettaglio letterario volta verso l'alto, suggerita dalle iperboliche innovazioni dell'osservatorio di Mount Palomar, allora in completamento. Si ha qui l'impressione forte, invece, di essere di fronte ad una ricerca rivolta verso il basso, trivellazione verso picchi abissali di spudoratezza ed ipocrisia che non meritano di essere spartiti con le vette letterarie di Calvino. Ma torniamo a noi.
Praticamente con la bava alla bocca, mi sono risintonizzato su Rai2, dove ho colto il rapper nazionale intento a profondersi, con un malcelato affanno espositivo, in una lezione – si fa per dire - su Alan Turing, il matematico britannico considerato dalla storiografia ufficiale il padre dell'informatica. Lo introduce con un coup de thèâtre, scoprendo per la supposta gioia e sorpresa dei ragazzi in aula un vecchio computer Apple. Parte quindi con la narrazione di come il talento logico di Turing venne scoperto in un frangente strategico per la guerra tra Inghilterra e Germania – comprovato storicamente, ma del tutto sommario per l'approfondimento della figura di Turing, mente ancora oggi accessibile da pochi. La grazia espositiva di J-Ax è quella di chi ha appreso quelle nozioni giusto la settimana prima, magari attraverso l'ascolto protratto in cuffia, tipo tecnica di condizionamento. “Per fortuna c'era Alan Turing”, dice il nostro. Fortuna? E in cosa sarebbe consistita, questa fortuna? Da quando J-ax si occupa di storiografia? Forse l'unica fortuna, se il pensiero di Turing avesse trovato maggiore diffusione ed applicazione tra le fasce non specialistiche della popolazione, è che uno come J-ax non avrebbe non solo potuto aspirare ad un ruolo di supplenza, ma nemmeno ad una carriera nello spettacolo.
Detto questo, scopro, sempre attraverso la pagina web del programma, che nel bacino dei supplenti certificati Rai si trovano, oltre al già citato J-ax: Mara Maionchi, Enrico Mentana, Flavio Insinna, Roberto Saviano. Una badessa, un egocentrico patologico, un arbitro di tombola ed un bravo giornalista d'inchiesta - sebbene visibilmente pentito delle troppe verità narrate, e pertanto costretto ad un'esistenza sotto scorta.
Insomma: siamo sicuri che, sapendo i nostri ragazzi in aula con questo corpo supplente, noi non si abbia nulla da ridire?
Sinceri. Questa visione della supplenza, a mio parere, tradisce purtroppo la visione che sia Rai sia Palomar Entertainment hanno del cosiddetto ruolo: la concezione, contributo di vent'anni di berlusconismo, che, se non appari, sei nessuno.
Ecco spiegata la mediocrità dilagante del nostro paese, i tanti talenti a passeggio per le vie del centro o – quando è peggio – chiusi in casa.
Chiusi in casa, magari, proprio a guardare Il Supplente.
E a domandarsi se quella raccomandazione che non hanno mai avuto il coraggio di chiedere avrebbe forse fatto la differenza.

giovedì 21 giugno 2018

KILL 'EM ALL (UCCIDETELI TUTTI). La sindrome di Taxi Driver.


Mi è capitato, qualche mese fa, di sentire entusiasticamente descritto questo blog come giustizialista (!): “Lui (io, n.d.r.), vede qualcuno che non attraversa sulle strisce pedonali, scrive e gli fa il culo.”.
Giustizialista e permaloso.
Dovessi basare l'attività l'attività di redazione di Sala Colloqui sul livello di comprensione di certi suoi lettori, potrei chiudere seduta stante.
Diceva il grande Indro Montanelli che più si parla e più si è fraintesi. E se lo diceva il maestro...
Sta di fatto che, nel continuo scansare questi giudizi imbarazzanti, una certa sete di giustizialismo ed una crescente insofferenza per lo sfregio quotidiano del codice della strada mi hanno fatto visita.
Arona. Lunedì 11 luglio. Ore 10:12. Centro città. Sono parcheggiato in attesa che mia moglie termini una serie di improcrastinabili commissioni. Essendo ormai insofferente, per deformazione professionale, nei confronti di qualsivoglia forma di attesa, impiego il tempo leggendo un libro. Il volume: La Parola Ai Giovani, di Umberto Galimberti - testo notevolissimo, paradossalmente, proprio per le osservazioni dello stesso Galimberti, che di anni, però, ne ha 76. Ecco il passo nel quale sto immerso: “Quanto all'esempio, che è l'unica cosa che serve dai dodici anni in poi quando le parole dei genitori diventano ininfluenti, vedendo i genitori di oggi, non mi pare ce ne siano di molto edificanti.”.
Il tempo di leggere queste poche, ma severe, righe ed ecco materializzarsi davanti a me una lussuosissima macchina famigliare. Indugia. Si ferma. Le sue intenzioni, quanto a manovre, risultano subito incerte. Nessun segnale di direzione che venga in aiuto agli altri automobilisti. Pochi secondi e il traffico è bloccato. Altri indugi e, all'improvviso, la manovra risolutrice: retromarcia alla vigliacca e parcheggio su strisce pedonali, con assoluta noncuranza di coloro che proprio in quell'istante si apprestano ad impegnarle.
Dalla macchina scende una donna nella sessantina: scarpe da ginnastica, jeans e camicia. I capi d'abbigliamento sono intonsi. Dai sedili posteriori fanno la loro apparizione due bambini, età tra 8 e 10. Se ne deduce sia la nonna (ad altre, mostruose eventualità non voglio nemmeno pensare). Ora la cura della donna è tutta per i marmocchi: li guida sul marciapiede, occupato parzialmente da uno degli pneumatici, ond'evitare loro gli sfioramenti da parte delle vetture che lei stessa ha contribuito a bloccare. Dell'ingorgo creato, degli impedimenti ai pedoni, delle infrazioni plurime commesse in simultanea, nemmeno l'ombra di un pensiero. “Dai, su: andiamo a prendere la focaccia”, dice. Destinazione: panetteria downtown da cinque euri (!) al trancio.
Vorrei chiamare la Municipale, ma destino vuole che il telefono sia scarico. Quand'ecco giungere alle mie spalle una macchina dei Carabinieri, che rallenta, svolta e...
Se ne va.
nessuna delle stramaledette cose che hai fatto in questi ultimi quattro anni, compresa quella di farti ingravidare, cambierà la situazione...
Un amico dell'Arma non perde occasione, quando ci incontriamo, di ricordarmi che, se i Carabinieri si riducono a dirigere il traffico, allora è davvero finita. Certo è, però, che una bella rimozione per intervento della pattuglia avrebbe dato vita ad esultanze da stadio.
Ecco. Come ho detto in apertura, è certo che io predichi al vento e che, con molta probabilità, me lo meriti. Ma consola constatare che questo desolante destino è condiviso anche da una mente eccelsa quale quella del professor Galimberti.
Ancora. È probabile che i marmocchi scarrozzati da nonnina siano esseri superiori che, vuoi per evoluzione psicologica vuoi per il coraggio di una seria psicoterapia, in età adulta saranno in grado di scostarsi radicalmente da questi aberrazioni del comportamento civico. Ma è anche vero che dal banano fioriscono banane, ed è impresa ardua modificarli affinché diano mele.
Certe figure parentali, a volte è meglio perderle che trovarle.
...non era mia intenzione farlo davanti a te. E questo mi dispiace. Ma puoi credermi sulla parola, tua madre se l'è cercata. Quando sarai grande, se la cosa ti brucerà ancora e vorrai vendicarti, io ti aspetterò...
P.S. Le citazioni in corsivo sono tratte da Kill Bill Vol. 1, di Quentin Tarantino;

sabato 9 giugno 2018

TORNARE HA SQUOLA. Il dilagare dell'ignoranza nell'era dell'iperconnettività.


A quale titolo posso io, modesto scrivano di provincia, ergermi a giudice dell'ignoranza altrui, costituente l'oggetto di questo scritto?
Come direbbe Adriano Celentano: perché sono il re degli ignoranti.
Per giudicare - facoltà sacrosanta - persone e cose, “parole, opere ed omissioni”, bisogna conoscere ed averne fatto esperienza.
Sono stato – e mi sento spesso ancor ora – un ignorante. Ho vissuto questa condizione, pagandone le conseguenze, quando ero ragazzo, ma sempre provandone vergogna. Sentimento, questo, che è stato, successivamente, il motore per una più sana e produttiva spinta alla conoscenza.
Mi è quindi da sempre assai facile riconoscere l'occhio bovino, la fuffa, la farina degli altrui sacchi, la voce spacciata per opinione, il plagio, la sparata e i tanti altri mezzucci impiegati dagli ignoranti per farsi belli (frustrazione, insicurezza, mancanza di autostima, senso di inadeguatezza fanno anche parte del loro bagaglio, ma senza che essi ne siano consapevoli). Li riconosco perché sono stato uno di loro.
Sia chiaro: ignorante non è tanto la persona che ignora la conoscenza (siamo e saremo sempre tutti carenti, da questo punto di vista), quanto quella che ignora il desiderio di conoscenza, che non ne avverte la spinta. Senza non si va da nessuna parte. Ed il desiderio di conoscenza, va ricordato, si manifesta per mezzo di un sintomo, di rado latente e quasi sempre manifesto, che è la lettura. Ci si guardi in giro. Escludendo gli studenti con il loro carico di letture obbligatorie (il nostro, piaccia o no, è divenuto un paese di laureati, e ciò dimostra che nemmeno l'università è più un argine all'ignoranza straripante): in quante persone vi imbattete, quotidianamente, impegnate nella lettura o dichiaranti di avere delle letture in corso? Le uniche sue manifestazioni sono oggi affidate ai portatori di readers, inganno culturale per eccellenza, con i quali si pretende di esibire una mole di letture da teologo medievale per il solo fatto di poterle tecnicamente stoccare in detto dispositivo. Sui titoli, sul numero di testi letti e sul loro livello di assimilazione, però, credo sia del tutto superfluo indagare: basta sentire i discorsi di questi dilettanti della lettura per rendersi conto dell'assoluta vacuità delle singole voci.
Detto questo, è da diverso tempo che mi imbatto quotidianamente in sacche di ignoranza da primi anni '60, diverse da quest'ultime solo per il lessico impiegatovi - che è quello imposto della rivoluzione digitale -, ma per il resto di una arretratezza deprimente per l'anno 2018, e che spiega, giustifica, i ripetuti allarmi sul livello di alfabetizzazione del nostro paese. Persone ignorantissime e ciarliere, totalmente prive di vergogna, senso del ridicolo, introspezione. Vittime certamente dell'orizzontalità elargita dalla rete, ma da questa mutate in carnefici (le argomentazioni anche di poco conto hanno infatti un loro grado di nocività). Abitazioni senza alcuna traccia di carta stampata, senza librerie; la formazione di un'opinione sentita solo come necessità di secondo grado, come un hobby. Impera la concezione – errata e del tutto inconscia – che noi si nasca geneticamente dotati delle giuste e sufficienti conoscenze per la sopravvivenza nel quotidiano. Fatto salvo, però, al primo dubbio, l'interrogare il telefono cellulare, sia per risalire ad un passo evangelico come al numero di veli della carta igenica.
Da qui la mia crescente difficoltà a relazionarmi senza esibire un'espressione da cerbiatto abbattuto.
Scopo dei libri dovrebbe essere quello di farci sentire un po' meno soli, sosteneva David Foster Wallace. Beh, con buona pace di colui che forse è stato il più grande, sembra che anche questa risorsa non stia dando i risultati sperati.
Sentirsi meno soli, in termini culturali, sta a significare condividere ed argomentare. E quanto questa pratica risulti sempre più difficile, lo si può tutti sperimentare ogni giorno di persona. Questo sgangheratissimo blog, nei suoi quasi tre anni di vita, ha fornito ripetuti, spiacevolissimi esempi di fraintendimento, da parte anche di lettori sinceramente affezionati ad esso, ma ai quali il messaggio è giunto in maniera pesantemente distorta rispetto ai propositi di partenza. Accetto la mia parte di responsabilità – che c'è ed è innegabile. Spesso, proprio nel rileggere queste pagine, sono posto di fronte ai loro limiti quanto a scorrevolezza e chiarezza sintattica. Ugualmente, non mi sembrano meritare giudizi di illeggibilità o di intenzionale, snobistica complessità. Può essere che io non sappia con esattezza a quale pubblico mi rivolga o da quale pubblico sia costituito primariamente il bacino dei lettori. Vero. E allora spingiamoci oltre.
Da una recente ricerca da parte dell'Associazione Italiana Editori è emerso che – udite, udite! - quasi il 40% dei managers italiani non legge. Dato, a mio parere, calmierato per difetto, a sentire gli imbarazzanti discorsi di molti della categoria. Traduco: significa che, dei tuoi capi – in costante proliferazione, nell'italietta 2018 -, una metà è costituita da perfetti ignoranti (le ormai celeberrime capre di Vittorio Sgarbi), con una zona di confine dove i più 'colti', visto l'accrescersi inarrestabile dei compensi spesso anche in assenza di risultato, potrebbero nottetempo optare per la via breve ed accrescere le fila dei colleghi illetterati.
Quale malsana presunzione si nasconde dietro il rifiuto intenzionale della lettura?
Non posso, a questo punto, non ricordare uno dei miei grandi amori letterari, Primo Levi, quando, nel gennaio 1945, abbandonato nel Lager di Auschwitz-Birkenau e certo di morirvi, prese a leggere un libro lasciatogli con ipocrita benevolenza da un medico in fuga insieme alle SS:
Il romanzo di Roger Vercel è un caso particolare: credo che abbia un suo valore intrinseco, ma è importante per me per ragioni mie private, simboliche e pregnanti, perché l'ho letto in un giorno (il 18 gennaio 1945) in cui aspettavo di morire. (La Ricerca Delle Radici, 1981)
E ancora:
Passai il pomeriggio a leggere il libro lasciato dal medico... Continuai a leggere fino a tarda ora. (Se Questo è Un Uomo, 1947)
È, a mio parere, il più grande, commovente emblema della resistenza dell'uomo inteso come essere culturale.
Leggere. Sperimentare nuovi mondi – questo lo scopo - persino nei luoghi dove la notte dell'umanità è stata più profonda. Si può leggere, e trovarne conforto, persino ad un passo dalla fine.
È ora di tornare a scuola. e di profondervi il massimo dell'impegno.
Le nostra generazione, per molta dell'ignoranza che la contraddistingue, non ha alibi.