sabato 9 giugno 2018

TORNARE HA SQUOLA. Il dilagare dell'ignoranza nell'era dell'iperconnettività.


A quale titolo posso io, modesto scrivano di provincia, ergermi a giudice dell'ignoranza altrui, costituente l'oggetto di questo scritto?
Come direbbe Adriano Celentano: perché sono il re degli ignoranti.
Per giudicare - facoltà sacrosanta - persone e cose, “parole, opere ed omissioni”, bisogna conoscere ed averne fatto esperienza.
Sono stato – e mi sento spesso ancor ora – un ignorante. Ho vissuto questa condizione, pagandone le conseguenze, quando ero ragazzo, ma sempre provandone vergogna. Sentimento, questo, che è stato, successivamente, il motore per una più sana e produttiva spinta alla conoscenza.
Mi è quindi da sempre assai facile riconoscere l'occhio bovino, la fuffa, la farina degli altrui sacchi, la voce spacciata per opinione, il plagio, la sparata e i tanti altri mezzucci impiegati dagli ignoranti per farsi belli (frustrazione, insicurezza, mancanza di autostima, senso di inadeguatezza fanno anche parte del loro bagaglio, ma senza che essi ne siano consapevoli). Li riconosco perché sono stato uno di loro.
Sia chiaro: ignorante non è tanto la persona che ignora la conoscenza (siamo e saremo sempre tutti carenti, da questo punto di vista), quanto quella che ignora il desiderio di conoscenza, che non ne avverte la spinta. Senza non si va da nessuna parte. Ed il desiderio di conoscenza, va ricordato, si manifesta per mezzo di un sintomo, di rado latente e quasi sempre manifesto, che è la lettura. Ci si guardi in giro. Escludendo gli studenti con il loro carico di letture obbligatorie (il nostro, piaccia o no, è divenuto un paese di laureati, e ciò dimostra che nemmeno l'università è più un argine all'ignoranza straripante): in quante persone vi imbattete, quotidianamente, impegnate nella lettura o dichiaranti di avere delle letture in corso? Le uniche sue manifestazioni sono oggi affidate ai portatori di readers, inganno culturale per eccellenza, con i quali si pretende di esibire una mole di letture da teologo medievale per il solo fatto di poterle tecnicamente stoccare in detto dispositivo. Sui titoli, sul numero di testi letti e sul loro livello di assimilazione, però, credo sia del tutto superfluo indagare: basta sentire i discorsi di questi dilettanti della lettura per rendersi conto dell'assoluta vacuità delle singole voci.
Detto questo, è da diverso tempo che mi imbatto quotidianamente in sacche di ignoranza da primi anni '60, diverse da quest'ultime solo per il lessico impiegatovi - che è quello imposto della rivoluzione digitale -, ma per il resto di una arretratezza deprimente per l'anno 2018, e che spiega, giustifica, i ripetuti allarmi sul livello di alfabetizzazione del nostro paese. Persone ignorantissime e ciarliere, totalmente prive di vergogna, senso del ridicolo, introspezione. Vittime certamente dell'orizzontalità elargita dalla rete, ma da questa mutate in carnefici (le argomentazioni anche di poco conto hanno infatti un loro grado di nocività). Abitazioni senza alcuna traccia di carta stampata, senza librerie; la formazione di un'opinione sentita solo come necessità di secondo grado, come un hobby. Impera la concezione – errata e del tutto inconscia – che noi si nasca geneticamente dotati delle giuste e sufficienti conoscenze per la sopravvivenza nel quotidiano. Fatto salvo, però, al primo dubbio, l'interrogare il telefono cellulare, sia per risalire ad un passo evangelico come al numero di veli della carta igenica.
Da qui la mia crescente difficoltà a relazionarmi senza esibire un'espressione da cerbiatto abbattuto.
Scopo dei libri dovrebbe essere quello di farci sentire un po' meno soli, sosteneva David Foster Wallace. Beh, con buona pace di colui che forse è stato il più grande, sembra che anche questa risorsa non stia dando i risultati sperati.
Sentirsi meno soli, in termini culturali, sta a significare condividere ed argomentare. E quanto questa pratica risulti sempre più difficile, lo si può tutti sperimentare ogni giorno di persona. Questo sgangheratissimo blog, nei suoi quasi tre anni di vita, ha fornito ripetuti, spiacevolissimi esempi di fraintendimento, da parte anche di lettori sinceramente affezionati ad esso, ma ai quali il messaggio è giunto in maniera pesantemente distorta rispetto ai propositi di partenza. Accetto la mia parte di responsabilità – che c'è ed è innegabile. Spesso, proprio nel rileggere queste pagine, sono posto di fronte ai loro limiti quanto a scorrevolezza e chiarezza sintattica. Ugualmente, non mi sembrano meritare giudizi di illeggibilità o di intenzionale, snobistica complessità. Può essere che io non sappia con esattezza a quale pubblico mi rivolga o da quale pubblico sia costituito primariamente il bacino dei lettori. Vero. E allora spingiamoci oltre.
Da una recente ricerca da parte dell'Associazione Italiana Editori è emerso che – udite, udite! - quasi il 40% dei managers italiani non legge. Dato, a mio parere, calmierato per difetto, a sentire gli imbarazzanti discorsi di molti della categoria. Traduco: significa che, dei tuoi capi – in costante proliferazione, nell'italietta 2018 -, una metà è costituita da perfetti ignoranti (le ormai celeberrime capre di Vittorio Sgarbi), con una zona di confine dove i più 'colti', visto l'accrescersi inarrestabile dei compensi spesso anche in assenza di risultato, potrebbero nottetempo optare per la via breve ed accrescere le fila dei colleghi illetterati.
Quale malsana presunzione si nasconde dietro il rifiuto intenzionale della lettura?
Non posso, a questo punto, non ricordare uno dei miei grandi amori letterari, Primo Levi, quando, nel gennaio 1945, abbandonato nel Lager di Auschwitz-Birkenau e certo di morirvi, prese a leggere un libro lasciatogli con ipocrita benevolenza da un medico in fuga insieme alle SS:
Il romanzo di Roger Vercel è un caso particolare: credo che abbia un suo valore intrinseco, ma è importante per me per ragioni mie private, simboliche e pregnanti, perché l'ho letto in un giorno (il 18 gennaio 1945) in cui aspettavo di morire. (La Ricerca Delle Radici, 1981)
E ancora:
Passai il pomeriggio a leggere il libro lasciato dal medico... Continuai a leggere fino a tarda ora. (Se Questo è Un Uomo, 1947)
È, a mio parere, il più grande, commovente emblema della resistenza dell'uomo inteso come essere culturale.
Leggere. Sperimentare nuovi mondi – questo lo scopo - persino nei luoghi dove la notte dell'umanità è stata più profonda. Si può leggere, e trovarne conforto, persino ad un passo dalla fine.
È ora di tornare a scuola. e di profondervi il massimo dell'impegno.
Le nostra generazione, per molta dell'ignoranza che la contraddistingue, non ha alibi.

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