Su artisti del calibro di Pat
Metheny, esibitosi mercoledì scorso (25 luglio) alla Rocca Borromea
di Arona (location strepitosa, apprezzata sia dai musicisti ospiti che dal pubblico pagante), non c'è davvero
nulla che un umile scrivano come me possa dire, a meno di scadere
nell'ovvio, nel già-detto, nel già-sentito. Quarant'anni di
carriera ed almeno due dischi che hanno rivoluzionato non solo e
tanto lo stile chitarristico dominante al tempo della loro
pubblicazione (Song X, del 1986, e Question
And Answer, del 1990), quanto il modo con il quale coloro che
fanno musica concepiscono l'approccio all'improvvisazione di matrice
jazzistica, converrete non lascino ampio margine di manovra a chiunque si proponga di suggerire qualcosa di nuovo in questo comparto.
L'unico apporto, quindi, che possa
dirsi improntato ad un minimo di pubblica utilità – per quanto provinciale, campanilistico e da cronaca di
giornale locale -, risulta essere il tentare di contestualizzare
quello che per Arona è stato l'evento dell'anno (per questo concerto
sul lago, il chitarrista statunitense ha saltato a piè pari
la potenziale ed attesa data milanese).
Completamente dimenticate, quando non
addirittura ignorate, negli ultimi venti anni, sulla sponda cittadina
hanno avuto luogo le esibizioni di – cito a memoria -: Billy
Cobham, John Scofield, Chick Corea, Steve Grossman, Jason Moran,
Carla Bley, Michel Petrucciani, Brad Melhdau, John Abercrombie, Peter
Erskine. In parole povere, alcuni tra i musicisti più importanti del
panorama jazzistico internazionale. Artisti senza il cui contributo –
è utile dirlo – la nostra fruizione musicale sarebbe grandemente
compromessa in termini qualitativi.
Ogni volta inseriti nei cartelloni di
differenti rassegne, quasi tutte sorprendentemente defunte per
questioni di bilancio, alcuni degli artisti citati hanno tenuto
esibizioni divenute memorabili. Su tutte, quella di Petrucciani, nel
1999, che proprio alla Rocca Borromea suonò, nella quasi assoluta
certezza del poco tempo che gli restava da vivere (sarebbe mancato di
lì a pochi mesi), e quella di Mehldau con il suo trio storico,
quattro anni più tardi, alla Punta Vevera, concerto di rara bellezza
che i tre suonarono in un incessante – e snervante - andirivieni
del pubblico, dovuto alla gratuità della serata.
Oggi le cose sembrano stare alquanto
diversamente.
Il pubblico dell'altra sera,
numerosissimo, è risultato composto, attento, ammirevolmente
silenzioso. Ha compreso l'irragionevolezza della gratuità. Come si
diceva in apertura, è rimasto estasiato dalla bellezza del parco,
dalla sua posizione, dal panorama, dalla suggestiva illuminazione dei
resti della fortezza, dall'ambiente acusticamente non inquinato
(caratteristica, questa, assai rara, oggi).
Le persone – e, al di la degli
ingaggi, gli artisti stessi – sembrano stanche di concerti
lucrosissimi ed organizzati in luoghi squallidi, inadeguati, quali stadi, palazzetti, parcheggi convertiti in
aree per piccoli e grandi eventi, impraticabili ed impersonali
spianate di cemento.
Il potenziale dell'Arona Music
Festival, e vengo al punto, sta
qui: il disporre per i suoi appuntamenti della più bella sede
all'aperto di tutto il Lago Maggiore.
Ma anche una sede
che richiederà alle amministrazioni di oggi e di domani un impegno
non di poco conto.
Si dovrà,
anzitutto, trovare un modo per tutelare il verde, irrinunciabile per
ogni città degna di questo nome, che il palco, le tensostrutture, i
bagni chimici ed i tanti sederi che ne hanno assaporato la
morbidezza, compreso il mio, hanno messo a dura prova.
Si dovrà fare il
possibile per rendere la manifestazione un appuntamento con frequenza
stabile, in modo da approntare e perfezionare, di anno in anno, un
adeguato sistema di trasporto, culminante nell'ormai
improcrastinabile parcheggio multipiano periferico alla città, e
favorendone l'ambizione a divenire una grande isola pedonale del Lago
Maggiore.
Infine andrà
svolto un lavoro di integrazione del Festival con le altre realtà
culturali già presenti ed attive da tempo: il Festival Organistico
Internazionale, Il Festival Delle Due Rocche e La Primavera In Musica del Palazzo dei Congressi. Arona è una piccola realtà di provincia.
La sua dimensione è il suo punto di forza. Essa non si presta alla
concorrenza, bensì alla sinergia.
Il
concerto di Metheny, alla fine, è risultato scontato. Mi spiego: era
scontato che saremmo andati incontro ad una grande performance,
ma priva di sostanziali sorprese. E così è stato.
Non era per nulla
scontata, invece, la presenza alla batteria di Antonio Sanchez,
musicista dal tiro nervoso, tendineo, una personalità musicale
fortissima, capace, come ha dimostrato, di trarre a sé anche un
mostro sacro come Metheny.
A fine-concerto,
si sono esibiti in un duetto (Go Get It, dello stesso Metheny) con tanto di chitarra synth che ha portato entrambi fuori dagli
schemi, in un territorio primitivo, poco battuto, dove la musica ha
finalmente preso fuoco divampando.
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