mercoledì 29 novembre 2017

UNA COSA A TRE. Starring: Lilli Gruber, Alessandro Di Battista e Riccardo Scamarcio.


Quando ieri sera (27 novembre), come da rituale, Enrico Mentana ha annunciato gli ospiti di Lilli Gruber a Otto & Mezzo, ho prorotto in una risata isterica.
Alessandro Di Battista e Riccardo Scamarcio sono stati infatti accomodati nello studio di La7, nella fascia oraria dedicata all'approfondimento, per discutere di...
DI BATTISTA CHE ANNUNCIA  L'INTENZIONE - UFFICIALIZZATA DALL'USCITA DEL SUO LIBRO - A NON RICANDIDARSI ALLA PROSSIMA TORNATA ELETTORALE.
Autoerotismo.
Un po' propaganda (ma chi ci crede, oggi, senza vedere, come San Tommaso, alle dichiarazioni d'intenti di un politico?), un po' marchetta (difficile che un ospite della Gruber non abbia con sé qualcosa da promuovere).
In quale veste fosse presente Scamarcio, invece, non si è capito fino quasi al termine della trasmissione, quando l'annuncio della sua partecipazione al film di Paolo Sorrentino su Silvio Berlusconi - dopo che si era prodotto per una decina di minuti buoni in analisi politiche vacue ed uno sproloquio su Alitalia - ha risolto ogni incomprensione.
Altra marchetta, quindi.
Ma non è nemmeno così.
Gruber, “pastore di suo fratello e […] ricercatore dei figli smarriti”, non era interessata né all'interpretazione di Scamarcio né al cinema di Sorrentino: intendeva scoprire come, in questa pellicola di prossima uscita, vi sia dipinto l'ex-premier. Punto. Indagine sotto copertura.
“Berlusconi come la prenderà? Gli piacerà o si arrabbierà?”.
(Domanda che vanta un sottotesto intimidatorio da grande cinema.)
Risposta di Scamarcio: “Secondo me gli piacerà. […] Io non posso dire molto: ho firmato una lettera di segretezza.”.
Agghiacciante.
Ma tutto torna.
Gruber non sembra proprio la signora alla quale ti puoi trovare seduto accanto, al cineforum. È la classica persona in carriera che al cinema – proprio - non ci va. La sua curiosita non è artistica. In nulla e per nulla. È l'ingaggio di Scamarcio nel ruolo di Gianpaolo Tarantini, il reclutatore di troie delle notti del bunga-bunga, ad averne attivato pavlovianamente l'istinto predatorio e famelico. 'Fanculo a tutto il resto, al cinema e al premio Oscar de La Grande Bellezza.
La conduttrice di Otto & Mezzo pretende di essere credibile anche quando, parlando sopra a Di Battista, che poco prima si era riferito ai politici “imbullonati alla poltrona”, prende le difese a tutto campo di sua santità Berlusconi – che invece, a 81'anni suonati, vuole correre alle prossime 'politiche', ma lui, no, non è di quelli imbullonati alla poltrona.
Berlusconi è una persona cui il seguito – più determinato persino dei papa boys - non consente la condanna alla condizione manzoniana di innominato. Quando Di Battista, parlando in studio, ne fa riferimento chiamandolo “il soggetto”, Gruber interviene con la prontezza di un cane pastore: “... che si chiama sempre Silvio Berlusconi...”. Berlusconi, per i suoi seguaci – e Gruber da la netta impressione di esserne parte -, è il nome del padre teorizzato da Massimo Recalcati. Non Ulisse, ma il padre autoritario senza la cui parola nulla può essere detto o fatto. Ed i suoi figli (l'elettorato, i sostenitori), ahinoi, non sono dei Telemaco.
Berlusconi, d'altronde, è un altro che al cinema sarà andato, l'ultima volta, per Gola Profonda. Da lì in avanti, i pompini non ha più voluto vederli su schermo: se li è fatti fare.
Dopo una siffatta puntata, in certe redazioni appartenenti a quel non meglio precisato estero che tanto sembra eccitare la nostra, otto e mezzo non sarebbe il titolo della trasmissione, ma il tempo massimo concesso a conduttore ed autore – coincidenti, nel caso in questione – per lasciare l'emittente senza più farvi ritorno.
L'impressione – lungi da quella dell'assistere ad un approfondimento giornalistico di prima serata - è stata quella di una triste assemblea condominiale, dove i condomini, dietro la facciata di cordialità e l'obbligo a parteciparvi, nutrono il più totale disprezzo: per l'amministratore e per gli intervenuti.
E poi: la smettano, quelli di Otto & Mezzo, di utilizzare i grandissimi Arcade Fire di Rebellion (Lies) come sigla d'apertura.
Era ora che qualcuno lo scrivesse – giusto?
Non ringraziatemi: lo faccio volentieri, per voi.

giovedì 16 novembre 2017

UN GRAN BEL PEZZO DI FIFA. Considerazione sull'esclusione della nazionale dai mondiali 2018.


Si sa che agl'italiani piace un sacco, la FIFA (Fédération Internationale de Football Association). Ne sono innamorati. Farebbero davvero di tutto, per un po' di FIFA.
Lo si è visto nella giornata di ieri (13 nov). Di tre radiogiornali nazionali, non uno ha relegato la notizia dell'imminente partita della nazionale di calcio nella fascia deputata allo sport. E cioè in fondo alla scaletta, a termine programma. Macché: prima notizia a reti unificate. Probabilmente neanche un nuovo terremoto in centro Italia avrebbe persuaso le loro redazioni ad una revisione delle notizie di apertura.
Se qualcuno, quindi, nutriva ancora dubbi sul fatto che radio e tele-giornali non facciano informazione, quanto riportato li fuga senza lasciarne traccia alcuna.
Non paghi, però, di aver dato ad una simile notizia la massima prominenza, quelli della RAI si sono persino vantati di una non meglio specificata “diretta streaming dalla sala di Via Asiago”. Ma certo: come se gli italiani, dopo piazza San Carlo, avessero ancora voglia di abbandonare il divano di casa per una fottuta telecronaca a la Pizzul. Rinunciare a tutto quell'apparato di costumi fantozziani – “calze, mutande, vestaglione [...], frittatona di cipolle [...], […] Peroni gelata [...] e rutto libero” - per fare la fila in questa via che è da quand'ero bambino che la sento nominare più del quirinale e della casa bianca. Sicuro.
Va da sé che la RAI, la pancia degli italiani, la conosce eccome. Ieri sera, tra amici e conoscenti, è stato infatti tutto un ostentare auricolari, tablets, connessioni pirata e quant'altro artifizio praticabile, pur di essere connessi con San Siro. Spettatori virtuali di una partita il cui risultato persino un incompetente in materia come me già sapeva essere scritto nelle stelle. D'altronde quando il tuo capitano fa Buffon di cognome, ed uno che ti aspetti corra un bel po' è Immobile, abbiate pazienza: nomen omen.
Mi sembra che il calcio sia un'attività sportiva ottima per costruirsi un fisico da aperitivo. La preparazione atletica cui è sottoposto un calciatore professionista conferisce infatti quella prestanza che tanto fa ben figurare quando ci si mette in ghingheri passate le 19:00. Ma quanto a rendimento, a performance, con molta probabilità verrebbe giudicata insufficiente persino da una squadra di curling. Personalmente ho vissuto qualche stagione ricca di aperitivi ai quali mi sono presentato in eccellente forma fisica. Un bella sensazione, credete. Da qui ad una qualificazione mondiale, però...
Certo: mi sono imbattuto anche in molta indignazione, in seguito a questa sconfitta, gran parte della quale provocata dalle lacrime di Gigi Buffon - diffuse a reti unificate dalla televisione e, il giorno dopo, sulle prime pagine di tutte le principali testate giornalistiche. Coloro che se ne sono lamentati, le hanno giudicate fuori luogo, inaccettabili da parte di uno sportivo con il suo curriculum di vittorie, con un ruolo da capitano di nazionale ed uno stipendio a sei zeri.
C'è un rapporto stretto tra la percezione di sé stessi come professionisti dello sport – percezione delle proprie eccellenze – ed il ruolo simbolico che viene assunto alla convocazione in nazionale. È una questione che riguarda non solo gli azzurri – ai quali, per inciso, va tutto il nostro legittimo disprezzo. Riguarda ogni sportivo ed ogni compagine nazionale. Mi spiego. Siamo da tempo nell'era della fine delle ideologie. Le ideologie hanno spesso fatto leva su primati nazionali frutto di mitomania, leggenda e contraffazione. L'idea del suprematismo nazionale è evaporata con le ideologie che la propalavano, ed oggi rimane l'illusione di frange fuori dal tempo, frange neofasciste, che – guarda un po' – abitano gli stadi esattamente come i topi le fogne. Di quale primato siano quindi portatori i 22 fenomeni della nazionale di calcio, è presto detto: il peggio dell'italianità.
Un altro problema è quello dell'incapacità di riconoscere - e riconoscersi in - figure realmente vincenti. Vincenti per prestazione, mentalità e dignità (qualità che nelle lacrime di Gianluigi Buffon trovano la loro antitesi).
Ora in molti piangono al pensiero che, data l'esclusione, l'estate prossima saranno privati del loro “rito collettivo”.
Ecco: forse solo di questo si tratta, in fondo. Il bisogno di un rito collettivo: la messa, le partite della nazionale di calcio, la festa del partito, la setta, la gang.
Bisogni aggregativi fondamentali.
Ma tutti mal riposti.

venerdì 10 novembre 2017

PANE E TULIPANI. Il mio panettiere chiude bottega prostrato dall'erario.


Claudio, il mio panettiere da oltre 20'anni, sta per chiudere.
Sono cresciuto al tempo delle botteghe, e il profumo del pane fresco, nella mia vita, non è mai mancato. Questo ha fatto di me un consumatore compulsivo di prodotti da forno.
All'idea che presto non potrò più godere del suo buonissimo pane, mi sento come il tossico che perde lo spacciatore di fiducia.
Colpa della tassazione troppo alta, insostenibile - dice. Parola di un'artigiano che emette lo scontrino anche per un seme di sesamo, che con tre euri ti consegna un bel sacchettone pieno di pane caldo, e che con la consorte costituisce l'intera forza-lavoro di questa impresa.
Consideriamo alcuni dati.
Ieri l'altro, alla radio si discuteva dei risultati delle elezioni regionali in Sicilia. Molto calore era prodotto dalla sottolineatura di una particolarità riguardante il suo status di regione autonoma, ovvero la possibilità di trattenere, senza versarne allo stato, il 100% delle tasse esatte. Nonostante tale straordinario privilegio, la Sicilia è prossima al default finanziario, con un debito ammontante a ben otto miliardi di euri (!). Una cifra da manovra finanziaria.
Sul drenaggio delle finanze pubbliche da parte delle regioni del sud si è detto fin troppo. Quando ho avuto il coraggio di parlarne, esponendomi in prima persona anche con amici e conoscenti siciliani, non ho mai avuto l'onore di un'argomentazione che mi vedesse vittorioso. La crisi occupazionale, la fortissima pressione da parte della criminalità, l'abbandono storico dell'isola da parte dello stato, il dovere morale del contribuire al risanamento delle aree del paese maggiormente arretrate, il debito morale dello sfruttamento dei lavoratori del sud al tempo del boom economico, insomma: argomenti molto persuasivi, ma nessuno spazio per una critica della gestione.
Aggiungiamo un altro frammento di attualità sul tema tassazione.
I colossi del web godono, in questo paese, di un regime fiscale da era del feudo, una tassazione così bassa da risultare inverosimile - ma agli effetti vera e reale. Una pressione fiscale che, esercitata nel giusto periodo e nei giusti settori, porterebbe ad una rinascita quasi immediata di tante piccole imprese. L'erario giustifica il tutto con l'alibi dell'immenso benessere generato (?), senza muovere un dito in direzione dei necessari adeguamenti.
Nonostante ciò, domattina queste imprese dagli utili miliardari e la generosa Sicilia proseguiranno indisturbate lungo la strada percorsa. Non se ne ha dubbio.
L'amico Claudio, invece, battuto l'ultimo scontrino da 50 centesimi per un grissino allo studente diretto in stazione, chiuderà baracca rifiutando persino di vendere la licenza (“Non sai mai chi trovi, oggi”), e sincerandosi di avere debitamente trascritto la transazione sul libro contabile, ond'evitare che un controllo lo privi degli ultimi soldi guadagnati con fatica.
Se andrà bene, venderà i macchinari che in questi 25 anni hanno diffuso nel quartiere quella irresistibile fragranza di pane fresco. Con il ricavato si concederà una bella vacanza con la famiglia, durante la quale ripercorrerà l'esperienza di “imprenditore di se stesso”, realizzando che questo davvero è un paese di merda.
Se andrà male, invece, il suo investimento risulterà a perdere; la partita IVA verrà chiusa nell'indifferenza delle strutture che attraverso essa ne hanno provocato la crisi; la politica non si occuperà di lui per il semplice fatto di non essersene mai occupata; gli amici siciliani - suppongo, forti del debito - si diranno impossibilitati a contribuire al risanamento di un'impresa in difficoltà; i soliti social networks decuplicheranno anche quest'anno il loro giro d'affari grazie a trattenute fiscali che, garantite ad un prestinaio come lui, avrebbero permesso l'acquisto di un attico in contanti.
Quanto a me, non saprò a chi rivolgermi, per un po' di pane fresco. Finirò nella rete dei grandi inculatori dell'imbustato e del trancio di pizza appesantito dall'olio, per il quale mi sentirò chiedere cinque euri e 60 – come è già successo. Litigherò con la commessa incolpevole e sottopagata; abbandonerò il trancio bisunto sul bancone e me ne tornerò a casa incarognito dalla fame.
Aprirò una birra seduto in poltrona. Guarderò annoiato uno dei nostri, tanti, vergognosi telegiornali e sentirò questa notizia:
I COLOSSI DEL WEB SBARCANO IN SICILIA. UN MILIONE DI POSTI DI LAVORO E SGRAVI FISCALI PER IMPRESE E NEO-ASSUNTI. IL PREMIER: UN SUCCESSO. IL GOVERNATORE DELL'ISOLA: ORA MAGGIORI AIUTI PER NOI.
Ma vaffanculo, vah...

"Giusto un piccolo ricordo di te, Claudio."

lunedì 6 novembre 2017

FUCK CHECKING. La mia esperienza delle 'fake news'.


Chi ha parlato?!
Chi cazzo ha parlato?!
(Full Metal Jacket, 1987)
Oggi, tutti hanno diritto di parola.
In conseguenza di ciò, in tempi recenti, mi è toccato sentire alcune delle seguenti asserzioni:
  • La terra è piatta;
  • Ci troviamo in una Matrix;
  • Viviamo all'interno di una calotta;
  • Siamo in un immenso Truman Show;
  • L'Airbus A380 ha 900 posti;
  • Hitler è vivo;
  • Lo sbarco sulla luna fu girato da Kubrick a Hollywood;
  • Si può vivere senza mangiare;
  • Si può bere la propria urina;
  • La polenta è cancerogena;
  • Il Grande Lebowski è un film sul bowling;
  • I Pink Floyd si drogavano sempre prima di suonare;
  • Flight è una storia vera;
  • I Nine Inch Nails agli esordi incidevano negli obitori;
  • Marylin Manson sacrificava bambini prima di ogni concerto;
  • Daniele Luttazzi copia le battute dai comici americani;
  • Montanelli era fascista, poi è diventato comunista;
  • Un aereo costa 400 miliardi di dollari;
  • Lagos è la capitale della Nigeria;
  • A Dubai non c'è il mare;
  • New York è la capitale dell'America;

E via di questo passo.

“La filosofia non è competente di qualcosa... non insegna la verità, che è propria del religioso. La filosofia è la messa in discussione dell'opinione comune, la non accettazione dell'ovvio, perché se accettiamo quello che c'è siamo gregge, pecore.”
Sono parole del professor Umberto Galimberti, pronunciate proprio settimane addietro in apertura di un incontro al quale ho avuto l'onore di partecipare.
Forse questo non sarà il più brillante blog sul mercato, ma certo, all'”opinione comune”, non soggiace - o almeno non interamente.
Detto questo, un po' di tempo fa, a sparate come quelle in elenco avrei risposto con un tentativo di confutazione acido ed incontrollato.
Oggi mi ripeto che, se credi a quello che dici, e quello che dici è quanto sopra riportato, non meriti che vivere la tua misera esistenza a quattro zampe, senza alcuna correzione. E quindi va da sé che chi propala simili affermazioni altri non è che un debole, perduto nella valle delle tenebre, “ed io la tirannia degli uomini malvagi”. Ma sono stato educato ad essere il buon pastore che conduce il gregge attraverso la valle delle tenebre, e giuro: ci sto provando con tutte le mie forze ad essere un buon pastore.
Si parla molto, ultimamente, di fact checking, ennesimo assurdo anglismo, nell'era della Brexit, che pigramente – o forse servilmente – ci si rifiuta di tradurre con il più chiaro ed accessibile 'verifica'. Pensateci: oggi il livello di contraffazione delle notizie, delle affermazioni e delle dichiarazioni è tale da avere obbligato molte testate, anche prestigiose, ad istituire un reparto di fact checking all'interno delle redazioni. Si tengono corsi sul tema persino all'interno delle scuole, dove, nel luogo deputato a quell'educazione che proprio dal male della menzogna dovrebbe tutelare, si registrano casi di credulità, superiori per gravità al bigottismo dell'Italia pre-scolarizzazione.
Il fatto è che, checché ne dicano i sedicenti esperti, non c'è corso di fact checking che possa salvarti dall'inevitabile destino all'interno del gregge, se ad esso non ci si oppone strenuamente per mezzo della cultura. Senza cultura non si va da nessuna parte. L'uomo è un essere culturale. Nasce, anche quando concepito da ignoranti cronici, predisposto per una gestione dei propri istinti (compreso il parlare senza pensare a ciò che si dice), gestione che è sempre e solo di matrice culturale. Si tende a far credere che noi non si sia bestie perché con queste non abbiamo somiglianza (ma vedendo certe facce in circolazione, nemmeno questo è vero), subdolamente cioè, per una ragione esclusivamente morfologica. Ed infatti abbiamo schiere di elegantissimi laureati che spesso si rendono protagonisti delle sparate di cui sopra.
Ieri l'altro, terminato questo scritto, ho deciso che era il momento di festeggiare. Ho affittato una camera d'albergo e vi ho invitato mia moglie. Quando, all'ora stabilita, ha bussato alla porta, sono subito andato ad aprire. In solo accappatoio. In mano, un tubetto di olio all'arnica. Ho chiesto: “Ti va di farmi un massaggio?”.
Vero, falso o verosimile?

mercoledì 1 novembre 2017

GENERE 'OLDIES'. Le nuove frontiere della terza età.


Non ho rispetto per gli anziani.
Non ne ho di default, voglio dire.
Penso se lo debbano guadagnare, questo atteggiamento che esigono quasi fosse una tassa, esattamente come tutti gli altri.
Stamane mi sono apprestato a prendere la macchina, lì dove l'avevo regolarmente ed accuratamente parcheggiata. La trovo ostruita da un'altra vettura lasciata accesa accanto ad essa nel bel mezzo della carreggiata – l'unica di una strada a senso unico. Capisco subito che si tratta o di un sequestro di persona o di un anziano ormai fuori dallo spazio-tempo. Il tempo di stoccare della spesa nel bagagliaio ed eccola uscire dalla ricevitoria di fronte, la proprietaria della macchina. Nella settantina, abbigliamento dimesso e pesante, sguardo apparentemente normale dietro ad occhiali neanche troppo spessi, passo sicuro. Okey, mi dico: è lei. Mi è risparmiata la ricerca e la polemica sul rispetto e sul codice stradale. Meglio. Le tengo istintivamente lo sguardo addosso. Non la voglio intimorire: voglio solo studiare le fattezze di un essere umano che nel 2017 ritiene naturale fare quello che ha appena fatto. Sto per salire in macchina quando, sentendo addosso i miei occhi, la vecchia spara a bruciapelo:
“ALLORA? LEI PARCHEGGIA DOVE VUOLE: IO PARCHEGGIO DOVE VOGLIO.”.
Parte, noncurante del fatto di avere intasato a tappo l'intera viabilità carraia. Tenta un'altro parcheggio abusivo pochi metri più avanti, ma il veicolo che la segue le impedisce la manovra. Il male è sconfitto.
Nel '700, probabilmente, mi sarei comportato come Barry Lyndon: ne avrei individuato il consorte chiedendogli soddisfazione in una sfida con la pistola. Nell'anno 2017 il senso civico prescrive rispetto.
Ho avuto la fortuna di avere due nonni: uno mancato quando ero molto piccolo, lasciandomi quasi all'asciutto di ricordi, l'altro molto più longevo, e quindi mio unico influencer quanto a testimonianze endogame. Campagna d'Albania, volontario nella leggendaria bonifica dell'Agro Pontino, dodici figli, una vita passata curvo sui campi, spina dorsale di ebano e scorza di roccia. Sebbene un padre padrone, sono certo parte della resistenza che mi riesce di mettere in campo nei momenti difficili la debba alla sua dotazione genetica e al suo esempio. Mai un gemito, mai una lamentela (e la sua fu una vita durissima), dignità estrema. Un Clint Eastwood ante litteram: se bussavi alla sua porta e chiedevi accoglienza, un pasto caldo - per bontà anche della dolcissima nonna - lo rimediavi, ma se violavi con prepotenza la proprietà, affrontavi la falce (non è leggenda: gliela vidi tirare).
Ora, so che è troppo facile santificare i propri congiunti: è un esercizio disgustoso, primariamente responsabile di quel familismo italico che ancora non ci è riuscito di debellare. Ma nonostante gli errori commessi (sfido chiunque a non commetterne con un curriculum vitae come fu il suo), molti dei quali imputabili a cause generazionali, in mio nonno posso ancora vedere un esempio, e con sforzo trarvi una testimonianza. Soprattutto rimane il ricordo di una persona per la quale non si provava imbarazzo. La sua condotta fu quella di un uomo classe 1911, delle cui scelte egli pagò sempre in prima persona (ed in alcuni frangenti, il conto fu salato).
Sebbene post mortem gli abbia riservato non poche critiche, penso però non sarebbe mai stato capace dell'aggressività, dell'arroganza e della prepotenza messa in campo dalla carampana che oggi mi ha chiuso in parcheggio.
David Foster Wallace, esprimendosi sulla visione degli anziani che bloccano le casse al supermercato, diceva che dovrebbe essere proprio la cultura ad aiutarci a capire che questo impedimento non è un complotto nei nostri confronti, bensì un gesto dovuto ad una serie di ragioni le quali tutte esulano dalla questione personale, quella che ci riguarda in prima persona.
Amo Foster Wallace, ma questo non basta a persuadermi del tutto. Ho la brutta impressione che noi si sia di fronte ad una nuova leva di anziani, potenzialmente arroganti e stronzi in gioventù, che con l'età hanno ulteriormente accentuato questi tratti. Per diventare un grande anziano serve una vita intera, ed il risultato ha a che fare con la modalità – lo stile – con la quale la si è condotta.
Questa generazione di anziani, la prima che rifiuti rabbiosamente di abdicare ad ogni ruolo assegnato loro dalla vita, non ha speranza di alcun lascito.

giovedì 26 ottobre 2017

PAURA E DELIRIO AD HADDONFIELD. Il 'remake' di una colonna sonora.


Come spiego a mia figlia che la festa per la quale scalpita da settimane non ha nulla a che fare con la nostra cultura, che è frutto di importazione, di becera sudditanza agli Yankees? Che noi importiamo festività rendendole nazionali seduta stante, ma gli esportatori di queste si guardano bene dal fare altrettanto con i santi e i beati di casa nostra? Che in questo momento suo padre parla come Salvini, ma è ben lungi da assumerlo a modello di condotta politica? Forse, semplicemente, non le devo spiegare un bel niente. Anche quel vecchio babbione di Santa Klaus, alla fine, non sta domiciliato a Grosseto, eppure nessuno, me compreso, si preoccupa di fornire spiegazioni di alcun tipo. Quanto a Salvini... La Lega è già morta e sepolta: quando mia figlia sarà grande, tra le maschere di Halloween ci sarà sicuro anche quella del leader leghista, rievocazione di uno spirito da regno dei morti, e allora capirà da sé.
Personalmente, l'unica ragione per la quale provo eccitazione all'avvicinarsi della festa di Halloween è il rito della visione del film omonimo di John Carpenter, giunto oggi al suo trentanovesimo compleanno ed ormai stabilmente nella top ten delle pellicole-culto di tutti i tempi.
Quest'anno, in particolare, la sua visione si annuncia ancora più eccitante del solito grazie al valore aggiunto conferitogli dalla rivisitazione della colonna sonora da parte di Trent Reznor e Atticus Ross, duo attivo nel comparto del commento sonoro dal 2010, quando firmarono le musiche per The Social Network di David Fincher, vincitrici di un premio Oscar nella categoria Colonna Sonora Originale.
In questo ultimo decennio, lo sconfinamento dell'immagine in ogni comparto del vivere umano ha radicalmente modificato il processo creativo. La stragrande maggioranza delle immagini in circolazione è frutto di occhi inesperti, per nulla talentuosi, incapaci di cogliere l'essenza delle cose, privi di qualsivoglia cultura (i selfies, le pietanze, i panorami marini, i particolari feticistici, l'amatoriale come genere, il porno). Per dirla con Sebastião Salgado: se non hai studiato e non conosci ciò che fotografi, il risultato è nullo. Non è perciò facile trarre ispirazione, da una simile massa informe. Non c'è commento, né sonoro né verbale, che possa scaturire da una quasi totale assenza di contenuti.
Penso per questo motivo Reznor e Ross abbiano attinto ad un cinema risalente a tempi non sospetti, quando la creazione dell'immagine ancora era finalizzata, molto più di oggi, a convogliare, oltre ad una visione, dei contenuti narrativi. E dove anche la materia sonora, vuoi per questioni di budget vuoi per tradizionalismo, era ancora trattata in maniera convenzionale (l'orchestra sinfonica). Più di una buona ragione, quindi, per rivisitarne la colonna sonora, composta ed eseguita, al tempo, dallo stesso John Carpenter.
Se è vero – e lo è – quanto asserito nel principio di indeterminazione, il regista statunitense non fu quindi nella possibilità di cogliere le molte implicazioni insite nella sua creatura. Il suo sguardo di compositore era troppo prossimo a quello registico per non informare la colonna sonora in direzione di un'approssimazione – per quanto efficace. Ed è in questo scarto che si inserisce l'operazione di remake in oggetto.
Questo rifacimento cela un doppio omaggio. Il primo è quello che svincola il progetto dall'ennesimo remake cinematografico, eliminando così ogni logica commerciale. Il secondo, consequenziale, è il riconoscere, da parte del duo, la validità un'opera che sembra parlare al pubblico molto più oggi di quando esordì nelle sale cinematografiche, e che quindi necessita di qualche ritocco estetico solo nel comparto musicale – ambiente dove le due schegge dei mitici Nine Inch Nails (il gruppo dove militano Reznor e Ross) figurano come inquietanti ed esoterici manipolatori.
La scioccante definizione sonora - che, rispetto all'originale, rende maggiormente la bipolarità del male incarnato nel protagonista maschile, per mezzo di sovraincisioni nettissime e diversificate nel missaggio; la forma - divisa tra il prologo rumoristico ed accordale (associabile alle sequenze di stalking), una parte centrale ripetitiva ed in crescendo (i primi omicidi), ed il finale, dove il tema è ripreso e trattato sullo sfondo di un beat elettronico (il climax della violenza omicida con l'assunzione della protagonista femminile a vittima predestinata)...
Insomma, più di un buon motivo, a mio parere, contribuisce a fare di Halloween, Trent Reznor & Atticus Ross Version l'ascolto maggiormente adatto a questi giorni indecifrabili.

martedì 17 ottobre 2017

MERAVIGLIOSE CREATURE. Il video di 'Creature Comfort' degli Arcade Fire.


Un critico di Time Magazine ha una volta definito gli Arcade Fire un incrocio tra i Clash e il Cirque Du Soleil. Centro perfetto.
Per Terry Gilliam, che ne ha curato la regia dal vivo in occasione di un concerto, si tratta di “ musicisti giovani e talentuosi”. E detto dall'ex Monthy Python...
E poi c'è Tarik Minou, visual artist con collaborazioni al fianco di Moment Factory, i geniali super-nerds ideatori di allestimenti di metafisica bellezza come Lights In The Sky e Tension 2013, creazioni al cui confronto le megalomanie di bands come U2 e Coldplay si riducono a giocattoli per bambini.
Ma cosa accomuna questi nomi: Arcade Fire, Tarik Minou, Moment Factory? È presto svelato: tutti loro sono canadesi dell'area di Montreal.
Dalla notte dei tempi, i circoli intellettuali ed artistici sono risultati essere frutto di germinazioni che, originanti dalla figura del cosiddetto padre fondatore, sono concresciute in loco, conferendo loro una precisa connotazione e collocazione geografiche. Classicismo, romanticismo, impressionismo, circolo di Vienna, gruppo dei sei, dadaismo, modernismo, jazz. Salisburgo, Vienna, Parigi, Zurigo, Trieste, Chicago.
Ed oggi, anno 2017, Montreal, Québec.
Questa comunanza, per tornare ai protagonisti del post, non può essere un caso. Siamo di fronte ad un movimento di arte video-grafica senza – o con pochi – precedenti. I nomi che ruotano intorno a quest'area, e quelli che ad essi si affiliano, producono da anni vere e proprie opere che, ibridando musica, immagine e danza moderna, si pongono come e veri e propri fulcri di influenza ed avanguardie di comunicazione.
Esattamente le caratteristiche di Creature Comfort, il bellissimo videoclip degli Arcade Fire per la regia di Tarik Minou.
La location è al chiuso, un non luogo dove i nostri appaiono in tenuta da concerto. Siamo in assenza di pubblico, ma l'illuminazione (rigorosamente luce bianca a rompere un buio altrimenti totale) è quella tipicamente stroboscopica impiegata negli spettacoli dal vivo. Quattro di loro stanno ordinatamente disposti in campo, li vediamo cioè impegnati a suonare. Il cantante, in primo piano, impalla invece sistematicamente la visuale per l'intero brano, camminando dentro e fuori campo. In mano non ha un microfono, bensì una torcia led, accesa, impiegata a guisa. Giungono i primi versi, e con essi i sottotitoli a scorrimento, stile Times Square, con il testo della canzone. Si va avanti così per cinque minuti scarsi, fino a quando il brano non termina in quello stesso buio totale rotto agli inizi dal martellare del sintetizzatore. Fine.
Il testo di Creature Comfort - titolo di difficilissima traduzione - si incentra sul tema del narcisismo dell'apparire (Stand in the mirror and wait for the feedback). E dell'apparire non per come ognuno di noi è o sente di voler essere, ma per come entità terze ci vogliono vedere (il web, la televisione, i conoscenti, la famiglia, a volte persino la scuola). La sofferenza, da parte della protagonista del brano, nell'apparire corrispondente alla visione altrui (God make me famous / if you can't just make it painless), è qui accentuata dall'incapacità, dalla mancanza di sensibilità, di coloro a lei più vicini, a comprenderne i segnali (She told me she came so close): il grido disperato, il bisogno di trovare l'alternativa a questa eterodirezione della propria persona ed il 'conforto' di una presenza amica (it's not painless / She was a friend of mine), di una persona in carne ed ossa.
Rancori, suicidio, conformismo, cecità ai valori che ci circondano (Born in a diamond mine); ma anche speranza, ricerca della propria identità. Sono temi di rilevanza assoluta. Tutti.
La camminata nevrotica ed incessante di Win Butler, cantante degli Arcade Fire, è la chiave di lettura di questo videoclip. Trasmette un'urgenza comunicativa di assoluta efficacia e genialità. Trascende ogni forma proprio di quel doloroso apparire narrato nel testo (osservate:i primi versi sono cantati fuori inquadratura). I sottotitoli evidenziano nello spettatore l'incapacità di noi moderni ad ascoltare e comprendere le parole che ci sono rivolte. Come in molta dell'odierna informazione, lo scorrere della notizia nella notizia sembra l'unico modo per attivare la nostra attenzione e la nostra sopita sensibilità.
Ma in questo video – prestate attenzione – i due messaggi, il testo ed il sottotitolo, coincidono.
Penso non si possa pretendere, da un'opera d'arte, maggiore speranza – e bellezza - di questa.