È bastato visionare i primi cinque
minuti del nuovo show di David Letterman (My
Next Guest Needs No Presentation, With David Letterman)
per rendersi conto del vertiginoso livello autorale espressovi
– livello che ad occhi italici evidenzia pesantemente l'abisso tra
questa televisione e quella nostrana, con personaggi come
Maurizio Costanzo, Fabio Fazio e Paolo Bonolis che ancora sono visti
come di-riferimento, pionieri, fari nella notte, professionisti
dell'intervista.
In questo arco di tempo, Letterman è
infatti riuscito ad ironizzare su: se stesso (“Mi chiamo David
Letterman. Avevo uno show. Poi sono stato licenziato.”); la
piattaforma Netflix (“Non ho capito cosa sia, ma so che quando è
in funzione, il livello di inquinamento elettromagnetico di casa
vostra aumenta esponenzialmente.”); una persona del pubblico
offertasi di indovinare il nome dell'ospite della puntata (“Figlio di
puttana...”).
Cioè, le tre cose più importanti
per ogni personaggio televisivo: il proprio ego; l'emittente che ne
produce il programma; il suo pubblico. Tutti trafitti, infilzati
dalla spada dell'irriverenza, così, sul nascere, ancora prima che
uno se ne renda conto. Letterman è un picchiatore alla Tyson che
punta al KO al primo round e lo ottiene.
Traduzione. Vuoi essere credibile?
Vuoi essere credibile nell'era della menzogna, del doppio gioco,
della manipolazione e delle fake news? Abbi il coraggio di
ridicolizzare te stesso, il tuo capo e persino chi ti ama, e da lì
in avanti ogni tua sillaba sarà parola di vangelo. È questa la
lezione di Letterman.
(L'equivalente, nella televisione
italiana – imbarazza dirlo -, è senza dubbio Bruno Vespa che
ospita Silvio Berlusconi a Porta A Porta. O Fazio con Matteo Renzi a
Che Tempo Che Fa. Sulla caratura degli invitati e la qualità,
rilevanza e formulazione delle domande, ognuno è grado di farsene
un'idea semplicemente visionando il tutto con pazienza e molta
tolleranza.)
Abbigliamento di Letterman per la puntata d'esordio: completo
blu scuro con camicia bianca e cravatta blu chiaro a pois, e
pantalone privo di orlo, intenzionalmente arrotolato al fine di esporre
un emblematico calzino bianco. Ma, soprattutto: barba incolta stile
senza-tetto – per intervistare il 44esimo presidente degli Stati
Uniti d'America, Barack Obama, proprio in un periodo di presidenziale 'caccia alle barbe' (spero di
essermi spiegato).
Lo show è del tutto privo di
orpelli. Niente scenografia, niente band, nessuna luce
sgargiante, nessuna rubrica, nessuna scrivania né, tantomeno, tazze
o bicchieri d'acqua, pieni o presunti tali, con logo del programma.
Solo il suo conduttore, due poltrone, un ospite per puntata ed una
grande disponibilità a mettersi in discussione secondo la tradizione
tutta statunitense del talk show.
Unica eccezione: l'inserto, girato in esterna, in compagnia di una
personalità in qualche modo legata all'ospite della puntata. Nella
prima, l'onore è toccato al delegato della Georgia John Lewis,
ripreso insieme a Letterman nel mentre attraversa il ponte Edmund
Pettus di Selma Ala., lo stesso lungo il quale, nel 1965, condusse, a
rischio della propria vita, la marcia di protesta contro la
segregazione dei neri. È un momento commovente, di grandissima
passione civile, che Letterman affronta con la giusta umiltà,
fornendo, in tal modo, il più politico dei messaggi. Consiglio a
tutti di vedere questo frammento: parla ai nostri cuori di coraggio,
dignità e diritti universali. Materia che va scarseggiando, di
questi tempi.
All'ottavo minuto del primo tempo,
Letterman pone fine ad una serie di quesiti sulla sua vita post
Late Show che il
Presidente Obama gli aveva simpaticamente e sinceramente posto,
dicendo: “Ora, Le spiego come funziona: io Le faccio delle domande
e Lei, Lei risponde.”
(seguono risate divertite del pubblico). Esiste una possibilità
anche remota, secondo voi, che un esponente della nostra
inqualificabile classe politica, sia esso di piccolo o grande
cabotaggio, risponda ad una simile sollecitazione semplicemente
stando al gioco come ha fatto Obama, senza minimamente accennare alla
polemica o alla fottuta par condicio?
Ci stiamo preparando all'ennesima
campagna elettorale, ed è forse proprio questo il momento per dire
le cose come stanno, almeno tra di noi. Provate a pensare: quando
mai, noi italiani, sentendo annunciato a sorpresa uno Scalfaro, un
Cossiga, un Napolitano o, checché se ne dica, un Mattarella, ci
siamo sentiti infervorati, privilegiati e desiderosi di ascoltare le
loro parole similmente a come il pubblico di Letterman ha fatto con
Obama, quando questi è stato annunciato a sorpresa - accolto sul
con un tale entusiasmo da provocare eccitazione persino in me, che ne
salutai positivamente la nomina nel 2008 per poi gradatamente
calmierare gli entusiasmi alla luce di risultati e politica estera
Yankee? Quando mai abbiamo
sentito uno di questi signori parlare con distacco, in maniera
rilassata, di sé e della propria esperienza politica? Quando mettere
in gioco la grazia e la misurata ironia impiegate da Obama per quella
che, con molta probabilità, passerà alla storia come la sua più
importante intervista - sorta di rovescio di quella più celebre di
David Frost a Richard Nixon? Nel migliore dei casi, l'istinto è
quello di alzarsi e lasciare la sala. In tutti gli altri si sconfina
nel penale.
Eppure
è di questo che dovremmo parlare, in questa tornata elettorale. Non
dei programmi, che sono sì
importanti, ma non spiegano l'assenza di interesse, la disaffezione,
il poco rispetto e la totale mancanza di fiducia tributati alle
persone della politica, di ogni posizione e tessera.
Che
la nostra televisione, tutta, non sia in alcun modo capace di simili
proposte, è certamente un segno dei tempi.