David Bowie era un
esibizionista di ciò che egli creava.
Questi sono esibizionisti e basta.
Sono degli imitatori.
Non mi sono mai piaciuti gli imitatori.
(David Zard)
Questi sono esibizionisti e basta.
Sono degli imitatori.
Non mi sono mai piaciuti gli imitatori.
(David Zard)
Intro
A volte il vino volge in aceto.
Similmente la musica può volgere in tributo. Eccoli lì. Pittati,
sfigati, infreddoliti, illetteratissimi, a rompere i coglioni alla
piccola borghesia lavoratrice di Brixton con le loro chitarre
scordate e le voci disperate. “Ziggy plays guitar. . . Planet earth
is blue. . . Major Tom”. Quanto credete che dovremo aspettare per
veder intasato ogni locale con Spiders From Mars David Bowie Tribute
Band? Il tempo di imparare gli accordi. O nemmeno: 'il Liga' e 'il
Blasco' continueranno ad avere i loro imbarazzanti imitatori.
D'altronde David Bowie non è il primo artista a conquistare la vetta
della classifica una volta defunto – no?
Part 1
Penso non potessi scegliere momento
più inopportuno per scrivere di David Bowie. Ricorda l'erronea
scelta di tempo della sua casa discografica, quando pubblicò il
disco d'esordio nello stesso giorno di Sgt. Pepper's – con
la scusante che, in era pre-internet, non doveva essere così facile
essere aggiornati sulle mosse commerciali della concorrenza, tanto
più con quella di una band che sempre più mirava alla
rottura dei canoni di produzione, e che in risposta ad un successo
incessantemente crescente di pubblico era determinata a mutare anche
la fruizione della propria immagine.
Part
2
Ho
ricevuto la notizia della scomparsa in diretta, ancora assonnato, in
pigiama. Sono stato colto dalla commozione e da una immediata
tristezza. Hai un bel dire, quando persone così non ci sono più,
che basta seguire l'esempio, ora che tocca a noi andare al
supermercato con il tascabile che spunta dalla tasca ed il fulmine
pittato in volto.. Tutti a timbrare il cartellino - altroché. Più
che duca bianco, colletto blu. Sono venuto al mondo, e David Bowie
era già li. Ho tirato altri quarantacinque anni. Ancora li. Fino a
ieri mattina. David Bowie is.
David Bowie was.
Part
3
Mi
sono rinchiuso in una stanza – segreta –, ed ho posto fine al
chiacchiericcio post
mortem ascoltandone
l'ultimo disco, Blackstar, stella nera di oscuri presagi, e forse
destinata a mutare in buco ancor più nero. Insegna il suo
connazionale Stephen Hawking che il buco nero cessa di emettere luce,
trattenendo però in sé tutta l'energia del collasso. Ed è così
anche per la 'stella nera' di Bowie: densa di idee e spunti; piccola
(40 min., la durata), ma dalla massa infinita. Blackstar
è davvero un disco eccellente. È il prodotto di un fine artigiano
(Tony Visconti) che di cesello va a realizzare l'idea proposta dal
cliente (David Bowie), avvalendosi in questo dell'aiuto di maestranze
esperte e qualificatissime (il quartetto jazz di
Donnie McCaslin) – cui va il plauso per la strepitosa esecuzione in
Sue (Or In A Season Of Crime). Lo ritengo un disco genuinamente
fusion, con un tiro
rock, e quella
ambiguità armonica – serie d'accordi già sperimentate in passato
e sostituzioni estreme - perfettamente calzante con un artista che da
tempo era diventato un'icona di stile e sofisticatezza (fusione,
quindi, in senso letterale, differente da quella proposta da un certo
jazz bianco e stanco,
che con il termine ha solo disposto di un alibi per elettrificare i
discorsi musicali aperti - e sovente chiusi - dal blues
e dal jazz di
tradizione). Sfornare un disco così a sessantanove anni non è da
tutti. In più, stando alle notizie ufficiali, un lavoro che Bowie ha
realizzato in malattia (mi astengo, qui, dal dissertare sui benefici
di una esistenza realmente creativa). Si pensi ad un gruppo come gli
AC/DC, che, azzeccata la formula negli anni '70, continua a sfornare
dischi dalle sonorità identiche, dove le uniche differenze, ad un
orecchio vergine, sono rappresentate dalla trasparenza via via
crescente nella qualità dell'incisione. O agli Stones, che – come
dice l'amico Alessandro B. - “hanno smesso di fare musica vent'anni
fa. O trenta”. Blackstar è pertanto un disco destinato a rimanere,
come lo sono tutti quelli seguiti ad un decesso illustre (l'elenco è
nutrito). Il canto del brutto anatroccolo dei Konrads divenuto
bellissimo cigno.
Interlude
Quando
la tua vita è tutt'uno con le tue creazioni, sei un artista. Quando
sai suonare benissimo e fra una data e l'altra spaccare la legna, sei
un musicista.
Part 4
Come tanti della sua generazione,
anche David Bowie ha vissuto la squalifica, ottusamente giustificata
dai cosiddetti fans, di gran parte della discografia seguita
alla triologia di Berlino – similmente a quanto vissuto dai Floyd
dopo Dark Side, agli U2 dopo Rattle 'n Hum, e ai Radiohead da
Kid A in avanti. Cito a
memoria. Mi sembra la prima di queste sia giunta in occasione del
progetto Tin Machine (ho lasciato sul campo delle sinapsi, per quel
gruppo), e proseguita con il concept Outside ed il
successivo Earthlings. È difficile produrre musica.
Difficilissimo produrne di bella, di soddisfacente per chi la fa, in
primis. Certo: non sono stati anticipatori come le incisioni anni
'70. Ma per sfornare tre dischi così – credetemi! - come nel
Faust, si può davvero vendere l'anima al diavolo. È il
massimalismo di un pubblico frustrato, quello che pretende gli
artisti sempre all'avanguardia.
Reprise
Santo subito. È così che ormai
reagiamo alla morte di chi ci viene consegnato dai media come
un grande artista. Pier Paolo Pasolini diceva che la morte getta
sempre una luce retroattiva sull'esistenza del caro estinto. Vero.
Altra grande osservazione da parte dell'altrettanto grande Pier
Paolo. Non dimentichiamolo: David Bowie era uno stronzo, esattamente
come possiamo esserlo noi. Si guardi al proposito lo struggente
documentario di George Hickenlooper, Mayor
Of The Sunset Strip, dove è possibile vedere un Bowie,
preoccupato dagli effetti del jet-lag,
prestare scarsa attenzione al festeggiato Rodney Bingenheimer - il
leggendario DJ losangelino che per primo passò le musiche di
Bowie quando nessun altro sembrava riconoscerne la portata.
Finale
Ciò che di sicuro è destinato a
rimanere, è l'esempio di come, nato David Robert Jones in un
quartiere malfamato e periferico; in una città che solo pochi anni
prima era sotto il bombardamento aereo di una paese nemico, un uomo
comune, un absolute beginner, abbia reagito al tradimento di
una condizione imposta (vedi alla voce: nascita) facendo appello alla
propria creatività - e di conseguenza al proprio coraggio - al solo
fine di diventare: sé stesso. E per questo accettando in sé tutte
le contraddittorie trasformazioni che separano (forse, i famosi 'sei
gradi') ogni essere umano da tale, legittima meta.