sabato 14 novembre 2015

MARKETTA (CON LA K). Andare in brodo per un singolo di Adele.

Ho trascorso più di metà della mia vita a coltivare ascolti di qualità, snobbando letteralmente tutto quanto recasse anche solo una lontana parvenza commerciabile, e sempre più rifugiandomi nelle nicchie – poche, ma eccellenti (non ultima quella rappresentata da Public Service Broadcasting, il mio prossimo live obbligatorio).
Per questo, mai avrei pensato che, di questi tempi, mi sarei trovato ad accostare la macchina al solo fine di prestare ascolto, incantato, ad una delle regine della vetusta, e relativissima, hit parade: Adele.

Come non poteva non essere, Hallo, il nuovo singolo di Adele, è in testa alle classifiche di diversi paesi. Quindi il tipo di ascolto che scarto di default da decenni e per il quale nutro un interesse paro a quello per la politica nostrana. Nullo.
Il fatto è che quando l'auto-tuning mi ha portato sull'attacco della canzone, su quel primo “Hallo” che giunge inaspettato come la telefonata narrata nel testo, non ho potuto far altro che obbedire all'incantesimo.

Hallo è una canzone perfetta. E bellissima.
Il soggetto è semplice. Adele è una ragazzaccia che ha spezzato il cuore ad un maschietto. Fine della storia. Ognuno per i fatti suoi, allontanamento, sensi di colpa, assenza di notizie. Fino a quando la nostra non trova il coraggio di comporre quel numero di telefono, segretamente conservato negli anni. E allora: “Hallo”. Pronto. Sono io.
La voce, calda e rotonda, priva di spigolature (al contrario di certe apprezzatissime urlatrici nazionali che non citerò); la dizione impeccabile (il modo in cui pronuncia e canta, tutto d'un fiato, “It's so typical of me to talk about myself I'm sorry”, è da scuola di canto, lezione di fraseggio, e vale l'acquisto su Itunes); le armonie semplici ed interamente asservite all'esaltazione della voce (magistralmente riuscita); la produzione attenta (il missaggio con la voce 'in avanti' da brivido); la quasi totale assenza di escandescenze (il brano prende ritmo solo sul finale, senza concessioni accattivanti, tipo virtuosismi, acuti o distorsioni). La sospetta banalità del pentimento della protagonista è fugata dal tono pacato e dalla grazia del cantato. Ma anche il femminismo psicologicamente maturo della canzone (non dimentichiamo che è la protagonista a prendere l'iniziativa e a riconoscere le colpe, e senza un Eros Ramazzotti che provvede al controcanto consolatorio e rassicurante – in culo a Tina Turner e a I Belong To 'Sto Cazzo'), contribuisce al risultato finale. Parla ad un cuore spezzato con grazia e garbo, come tante volte, forse segretamente, vorremmo vedere trattata la nostra più intima sensibilità.
Un classico, potenzialmente. Ed anche qualcosa di più, se si ha il coraggio di ammetterlo.

Oggi non crediamo a papa Francesco: figuriamoci al produttore e al manager di Adele.
Adele Adkins viene da un lungo periodo di assenza dovuto al blocco dello scrittore – o, almeno, così ci dicono. Il singolo giunge dunque a sorpresa un po' per tutti. E – guarda caso – di cosa parla? Di un evento inatteso. Ha venticinque (!) anni, ma la bellezza matura di una trentenne (afferrate? La sofferenza invecchia, e così la narrazione ne guadagna). Ha il vezzo – e la pigrizia – di intitolare i suoi albums con la cifra della sua età al momento della pubblicazione (ho già prenotato Fourty-seven, Adele: vedremo se ne avrai il coraggio). C'è l'arte del commercio, a sorreggere Adele, il suo singolo e l'album che seguirà. Eppure. . .
Anche intorno a Lionel Messi vi è una cura finalizzata al massimo risultato per sponsorizzazione, mantenimento dell'immagine, mantenimento dell'interesse mediatico ed alimentazione costante della leggenda. E questo, obiettivamente, non rende il suo calcio giocato meno spettacolare. Andrò oltre, per intenderci. Apple è il colosso mondiale del commercio, e nonostante tutto continua a produrre ottimi computers. Non necessariamente, quindi, ciò che è commerciabile deve essere carente nella qualità (vogliamo parlare dei Duran Duran?).

Adele è un'artista giovane e brava. Ha il successo che merita.

Ignoro se dal vivo sia in grado di riprodurre le magie sintetizzate in studio. Per questo motivo, non andrò al suo concerto: per non rovinare la bellezza ripetuta di questo ascolto.

In un'epoca come la nostra, dove tutto è urlato, dall'elemosina alla mestruazione, Hallo è davvero una canzone salvavita.

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