sabato 9 gennaio 2016

Bile

Quando ti cerco per le vie della città
A volte il cuore mi batte forte.
Se ti intravedo fra la gente
Vorrei dirti che sei
Almeno una piccola, forse una grande,
Parte di me.
(Il Teatro Degli Orrori, Mai Dire Mai)



Il Teatro Degli Orrori, nel panorama italiano, è tra i gruppi indie più interessanti e stimolanti. Riflettiamo. Cosa si vuole da un gruppo rock indipendente? Iperstimolazione sonora e presa di posizione politica – che è esattamente quanto il prodotto Teatro Degli Orrori fornisce all'acquirente, garanzia inclusa (molte dei loro brani sono di quelli che rimangono, credetemi). Mai Dire Mai viene dal loro secondo disco, un'incisione dalle sonorità lucidissime, artigianalmente prodotte nei laboratori milanesi del suono di Mauro Pagani, ed in netto contrasto con le sonorità volutamente grezze e cupe del disco d'esordio (capolavoro). Mi è sempre sembrata una salubre canzone noise dal piglio brutale, dove il parlato di Pierpaolo Capovilla trascina lo sprovveduto ascoltatore per il bavero, nel mentre gli viene somministrata una bella lezione di vita. Intro, strofa, strofa, ritornello, strofa, ritornello, chiusa. Ed è in quest'ultima che la canzone si trasforma in ballata, con il testo che vira dalla prepotenza del parlato al cantato dei versi citati in apertura. Dove capiamo che l'aggressività del protagonista è solo il paravento di una ricerca ossessiva della persona amata - prova di come noi si cerchi, ami, apprezzi e comprenda solo ciò che già conosciamo.
Passeggiavo “per le vie della città”, quindi, con mia figlia (tre anni e mezzo), in bicicletta, quando ho incrociato dei parenti (tre, in due differenti locations) i quali, non riconoscendoci (!), hanno tirato dritto. Ho realizzato, allora, quanto veritiere siano certe canzoni che da sempre mi ronzano nella testa. E quanto psicologicamente sia illuminante che proprio quelle – e non altre – abbiano scelto di abitare in me.
Cerchiamo chi già vive dentro di noi.
Riconosciamo solo chi già sentiamo di conoscere.
Ricordate Ask, degli Smiths? Meglio. Ricordate gli immensi Smiths di Morrisey e Johnny Marr? Ask fu, nel lontano '85 e quanto meno in Italia, il loro maggior successo commerciale. La rabbia fa sragionare. Ed è facile in simili momenti strumentalizzare delle parole, specie se profonde – come spesso sono quelle del Moz. “Se non è l'amore, allora sarà la bomba a metterci insieme” (If it's not love, then it's the bomb that will bring us together). Suona minaccioso, ma non lo è. Non ho intenzione di muovere un solo dito per riavvicinare persone di questa taglia, tantomeno di fare del male a chicchessia. Le parole di Morrisey servono solo a ricordare noi quanto sia estrema, a volte, la realizzazione di un'unione. Cazzi vostri.
Ciò che maggiormente mi disgusta della 'cultura' social dei giovani è la quasi assoluta inconsapevolezza delle conseguenze social – appunto - di tutto quanto viene, 'postato', 'tweettato', pubblicato, condiviso, 'taggato' e commentato (se mi state dando del vecchio che se la prende con i giovani, siete avvisati: è proprio così). Di queste merdine non so che farmene. Non accetto lezioni da gente così. Accetto di essere giudicato solo dai miei pari. Ed ecco allora, a riparazione dei danni di guerra, la definizione di cuginanza direttamente dal Sabatini-Colletti: vincolo di parentela esistente fra cugini. Ed ora la chiosa dal Parenzan-Camisa: è estendibile alle cugine di tre anni.
John Lennon, il grande, che aveva nei Beatles la sua famiglia, palesò ripetutamente come la gelosia e l'invidia di Harrison e McCartney – Ringo Starr fu l'unico a non mostrare ostilità – furono per lui e Yoko Ono fonte di imperdonabile dolore. Ma anche che tutto ciò non gli impediva di volergli bene – con grande coerenza per chi,a quel tempo, ci ricordava che “l'amore è la risposta”.

Non pretendo di scrivere, in futuro, canzoni del livello del grande John.
Spero solo di avere – qui sì come lui – la capacità di continuare a voler bene a quei tre bastardi che, con il loro atteggiamento, mi hanno fatto davvero male.

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