domenica 1 novembre 2015

TROPPO POLITICO. Riflessione sulla malsana concezione della politica da parte degli italiani.

Sono politico, che c'è di strano?
Ho il nome di Santoro e il cognome di Gaetano
(Caparezza)

Ho consigliato un libro di Marco Travaglio ad una conoscente che mi ha consultato per una lettura su fatti di attualità recente. “Ma Travaglio. . . come dire: è troppo politico”, replica lei.

Onore al Caparezza – comunista – per avere anche questa volta anticipato e codificato l'ennesimo episodio di ignoranza dilagante, della quale ormai ci si può solo prendere gioco.

Come ci si convince, in regime di totale assenza di letture, che qualcosa è troppo politico? Meglio: chi può indurre una simile opinione? Risposta: Silvio Berlusconi, Laura Pausini, Il Volo, Carlo Conti, Fiorello, il Festival di Sanremo, One Direction, Alessia Marcuzzi, Jovanotti.

Non voglio in questa sede prendere le difese di Marco Travaglio. Non lo conosco di persona e penso non abbia bisogno della mia assistenza. Possiedo un solo suo libro – Montanelli & Il Cavaliere –; ho letto la prefazione – brillante – a quello di Bruno Tinti – Toghe Sporche -, e leggo di frequente i suoi editoriali su Il Fatto Quotidiano.
Ho riletto Montanelli & Il Cavaliere proprio per verificare, a debita distanza temporale, quanto di politico vi sia, effettivamente, nei lavori di Marco Travaglio.
Cerchiamo di capirci. Questo libro, che ricostruisce la vicenda italianissima del classico siluramento di chi si è opposto alla prepotenza del padrone, è quanto di meno politico vi sia in circolazione. Travaglio scrive ed enuclea i fatti con stile e rigore da verbalizzante di Polizia. In quattrocento e più pagine, poche chiose ai paragrafi fanno trasparire il giudizio estremamente negativo che l'autore ha dell'ex-premier. L'intento di tanta asciuttezza sembra essere quello di testare il lettore attraverso una presentazione del materiale tale da metterlo di fronte ad un atto di responsabilizzazione, consistente nel giudicare da sé fatti che, se non suscitano alcun moto di indignazione od un sano interrogativo, sono segno di taciuta connivenza. Al tempo dell'uscita dell'interessante documentario di Erik Gandini, Videocracy, venne scritto sulle pagine del 'Corriere' che se la popolazione italiana non è in grado, da sé, di immunizzarsi da simili storture, non si poteva certo pretendere che igiene e profilassi civili venissero operate da una pellicola. È vero. Siamo in grado di vedere e riconoscere solo ciò che già conosciamo. Quindi perché in assenza di cultura democratica si ritiene un autore come Travaglio troppo politico? Per i più, la colpa – tutta italiana – di Marco Travaglio è quella di prendere posizione in maniera appassionata, al punto da risultare, come si è detto, troppo politico persino a chi di politica non si è mai occupato.
Noi esseri civilizzati (mi si conceda la definizione) siamo politici a prescindere. Quando ci accusano di fare troppo i filosofi, si è di fronte ad una mezza menzogna. “Non si può che filosofare”, diceva Kant. Piaccia o no, persino il tuo parere sul truzzo eliminato al televoto del Grande Fratello ha una valenza politica. Il giudicare senza pregiudizi è una stronzata che la scuola – per citarne una – sembra non avere ancora arginato.

Troppo politico è in realtà un'accusa che rivela una propria, intima paura: quella del vedere mortalmente attaccata da un'opinione o un parere la sicurezza piccolo borghese di chi il culo lo ha sempre avuto al caldo e ben impomatato. Di chi in una verità appurata da un collettivo vede solo la minaccia alla propria ereditata serenità. Di chi non ha il coraggio di una presa di posizione, ignorante al punto da non rendersene conto.

I danni del berlusconismo - giusto per esprimere un parere politico -, operati su vasta scala da coloro che dall'ex-cavaliere si sono sentiti ispirati, e maggiormente sul piano culturale, vanno oltre gli aspetti monetari denunciati da Marco Travaglio in tempi non sospetti. Il danno consiste nell'avere convinto una fetta considerevole della cittadinanza della pericolosità e del sospetto che, secondo questa compagine, si annida dietro ogni opinione opposta allo status quo, con il risultato di avere persuaso di ciò milioni di persone. L'aggettivo è spesso – o sempre – confuso con il sostantivo, e 'troppo politico' diventa così il giudizio linguisticamente basic con il quale si opera una squalifica che è dettata da paura, per imposizione, con prepotenza.

Non ho infine compreso cosa realmente volesse da me la persona che mi ha chiesto consiglio per una lettura – e perché a me.

Anni fa, studente e libraio estivo per l'amico Gianni, consigliai il Diario Di Un Vecchio Sporcaccione di Bukowski alla commessa dell'esercizio attiguo. Smise di parlarmi, ma ebbe il coraggio di portare a termine la lettura – e di giudicarlo solo allora.

Questo è il risultato del successo ottenuto da una classe politica determinata: l'abbattimento di ogni processo selettivo, la delega all'altro, il disagio di fronte ad un pensiero forte. Il superamento, in direzione del peggio, dell'analfabetismo funzionale.

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