Com'era inevitabile che accadesse, sono finito a lavorare con dei millenial.
Fino a poco tempo fa, sul fronte dell'anzianità aziendale, sono sempre risultato, mio malgrado, come 'quello giovane', il 'ragazzo', un Gianni Morandi dei poveri, per anagrafe ed esteriorità. Ora, invece, a poche settimane dal 52esimo compleanno, sembra proprio non vi siano altri numeri magici da mostrare al pubblico pagante: lo spettacolo è finito, “Elvis has just left the building”. Sul posto di lavoro ha avuto inizio l'ineluttabile – e, da parte di alcuni, temutissimo - cambio generazionale. E così, per la prima volta nel mio percorso lavorativo, mi ritrovo ad avere accanto persone delle quali potrei benissimo essere il padre (tesi, questa, assai compromettente, ma tant'è). Tecnicamente, si tratta di figli della Generazione X, gente fresca di laurea (triennale) o di licenziamento da una delle innumerevoli realtà del precariato italico. Giovani che, anche quando nati sul finire dei '90, hanno comunque subìto in maniera forte sia l'arrivo che il successivo imporsi della millenial attitude, e sono quindi da considerarsi, a tutti gli effetti, dei nativi digitali.Sono determinati, i colleghi. Entusiasti, svegli e migliori di quanto io fossi alla loro età. Vivono l'incanto del nuovo impiego. La mia ipercordialità (strette di mano, formule di rito, parvenza di interessamento alle condizioni pregresse ed attuali del nuovo arrivato), roba da vero piemontese falso cortese, ha contribuito non poco ad una accoglienza con i fiocchi. Se avessi avuto un po' più di coraggio, li avrei probabilmente trattati con freddezza e distacco, senza alcun tipo di coinvolgimento. Scostante, certo. Ma sicuramente più in linea con un certo mio sentire. Però si sa: noi della Generazione X - figli legittimi di boomer veri, non quelli della costante e deliberata travisazione a tutto tondo operata dal mondo millenial -, con tutti i nostri difetti, un'educazione l'abbiamo ricevuta. Ed il nostro super-io (il genitore-boomer) ci impone di usarla ad ogni piè sospinto.
Lavorando fianco a fianco con i nuovi colleghi, ho ricavato l'impressione di non piacere: loro vedono in me 'il matusa'; io, in loro, la generazione più a secco di contenuti di sempre. È cioè in azione il pregiudizio. Da entrambe le parti. I sociologi più arditi sostengono che il punto di forza millenial stia nel saper vivere, sostanzialmente, senza avvertire in alcun modo l'urgenza di un nesso tra le cose. Un'urgenza 'boomer' , quella del senso delle cose. Ordine e logicità ad ogni costo rappresentano effettivamente un'ossessione che la Generazione X ha coltivato come si trattasse di una specie rara, da preservare. Prova ne è il rapporto che essa ha avuto con la psicoterapia, facendo outing e sdoganando il tabù dello strizzacervelli. Sinceri: riuscite, voi, ad immaginarlo, un millenial in terapia? Che vada bene, alla terza seduta di risposte vaghe o mancate e di consultazione occasionale del cellulare, lo 'strizza' lo manda a fare in culo, e se ne torna a trattare nevrosi maggiormente gratificanti e codificate. Giusto oggi mi è capitato di sentirne uno in rete fare della critica di costume (evento quanto mai raro, ma che dimostra come sotto sotto anche ai nostri piccoli 'sorcini' piaccia dire la propria). Ad un certo punto, il giovane amico istituisce un paragone con Blob - Di tutto di più. Dice: “Per chi non lo sapesse, Blob è un programma che – spero sia ancora in onda su Rai 3 -, parecchio strano, effettivamente. Perché sono tanti spezzoni di tanti programmi diversi, tutti quanti slegati tra loro. Solo così: un meshup” (sic). Ecco: è questa incapacità di lettura mista ad indolenza a risultarmi davvero intollerabile.
Esperienza insegna, però, che quando si è genitori di millenial e ci si atteggia in questo modo, oscuri presagi sono destinati ad addensarsi all'orizzonte. Indro Montanelli, riflettendo sull'opportunità di mettere al mondo dei figli, sottolineava come questi, al di la delle migliori intenzioni genitoriali, siano sempre e solo figli del tempo che li vede nascere.
Penso avesse ragione. Probabile, quindi, che anche mia figlia, molto presto, si disferà agilmente del dettato materno e paterno per seguire – che so? - delle lezioni di 'corsivo', diventare una influencer, una tiktoker o, peggio, uno dei tanti 'disposable teens' che ad oggi intasano il Web con il loro vuoto pneumatico.
Perché QUESTA, alla fin fine, è la grande colpa della generazione millenial: avere fatto virtù del nulla.