Stamane (10 marzo), gli studenti di alcune scuole della mia città hanno
sfilato lungo le strade per protestare contro la guerra in Ucraina
(la specifica mi sembra d'obbligo, dato il sussistere, a livello
internazionale, di numerosi altri conflitti armati). Mi sono
imbattuto in loro per puro caso, nel mentre il corteo passava per le
vie del centro, e subito sono stato portato ad alcune riflessioni che
ritengo meritorie di condivisione. Ciò che mi ha colpito, di questa manifestazione, più di
ogni altra cosa, è stato il suo quasi totale silenzio, un'assenza di
fragore e di vitalità che mal si addiceva ad un evento come questo.
Se si esclude il soffice trepestio da 'calzatura giovane' ed il
chiacchiericcio divertito di alcuni, quello odierno è sembrato, più
che un corteo di protesta, un corteo funebre. La memoria storica
collettiva, intendendo con essa quella italica, porta ancora ben
impresso quello che, ad oggi, si può dire sia stato l'unico modello
di protesta civile messo in campo con efficacia nel paese: quello
del'68. Coinvolgente, coraggioso, genuinamente idealista, rumoroso,
certamente arrabbiato e, nel suo ultimo strascico ad inizio '70, ad
altissimo potere persuasivo e conflittuale. Sorprende, pertanto, non
solo che questi giovani impieghino, al fine di manifestare oggi
contro la guerra, gli stessi metodi con i quali i loro nonni (!),
50'anni fa, esercitavano il diritto alla protesta: sorprende
l'immiserimento del modello preso a prestito. Persino gli slogans,
tenuti alti sopra le teste e compresi in un arco linguistico che
andava dal gioco di parole (Put out Putin)
all'abusato fate l'amore, non fate la guerra,
passando per la citazione (“You may say I'm a dreamer,
but I'm not the only one”) -
precetti stucchevoli che il pacifismo prêt-à-porter
impone ai propri seguaci
esattamente come la Chiesa con la messa della domenica, il loggione
con il bravo! al
termine dell'aria celebre o la curva ultrà con i cori di supporto -
sono vetusti al limite della decenza, ed accettati supinamente dai
nostri giovani in una acriticità che non fa ben sperare. Tornando al
silenzio, mi pare esso sia del tutto in linea con il basso voltaggio
che caratterizza da sempre la generazione millenial,
la quale, a partire dalla sua comparsa nella vita civile, possiamo
dire non ha propriamente brillato per vitalità ed iniziativa (si
pensi, ad esempio, alle Sardine, e si avrà, di quanto appena
sostenuto, un'immagine emblematica). Si potrebbe obiettare, di fronte
a questa mia critica, che c'è ben di che essere addolorati, se si
pensa a quanto sta accadendo sul terreno di guerra e al tavolo di
mediazione. Ma questo offrirebbe un alibi, ai nostri giovani, che
ritengo non meritino, ed uno che, personalmente, non intendo offrire
loro. Quello degli studi superiori, si sa, è un momento di dolorosa,
ma fondamentale, crescita culturale. Cessa ufficialmente l'età
dorata dell'infanzia, ed ha inizio il lento, inesorabile cammino
verso quella adulta. Exit
Babbo Natale, enter la
vita vera. L'intervallo è finito, ragazzi. Mi chiedo, quindi, con
quale tipo di coscienza, questi giovani, intendano affrontare il
reale - specie se informato, come sembrano darne prova, ad un
conflitto estremamente complicato come quello russo-ucraino. Ma,
soprattutto, quale tipo di coscienza intendano formare i professori e
gli amministratori comunali (il sindaco ha preso parte all'iniziativa
ed ha parlato agli studenti) che, nell'anno 2022, concedono ed
appoggiano simili iniziative. Sono stato, a mio tempo, un idealista
pedante ed inguaribile. Capisco bene come possa suonare, e risuonare,
nella testa di un giovane la notizia del bombardamento indiscriminato
di una scuola o di un ospedale. Ma credere che una manifestazione
come quella di oggi possa avere un impatto sulle coscienze e sulla
comunità internazionale, mi sembra non solo pericoloso e
diseducativo, ma anche parecchio presuntuoso. Ciò non significa che
sia meglio e molto più conveniente votarsi al cinismo. Ritengo sia
ora di spiegare ai nostri ragazzi (impiego spontaneamente il
possessivo non per paternalismo, ma perché, all'anagrafe, potrei
benissimo essere loro padre) che le guerre si fanno sì con gli
eserciti, ma anche che il loro invio dipende, in ultima analisi, da
decisioni ed opportunismi palesemente politici le cui responsabilità,
checché se ne dica, ricadono anche sulla classe politica italiana ed
europea. Credere, per restare in casa nostra, che dare dell'animale a
Putin, inviare armi in Ucraina, sanzionare la Russia dopo avervi
fatto lucrosissimi affari per 20'anni non rappresenti una
responsabilità grave per ciò che sta accadendo al nostro paese
(sottolineo: il nostro, non l'Ucraina) e per come il loro sentire di
giovani ne è conseguentemente investito, significa non solo
illudersi che, quando i genitori si separano, la colpa sia sempre o
di quella zoccola di mamma o di quello stronzo di papà: significa
crescere in una non più adeguata logica manichea di buoni e cattivi.
In politica, come nella vita, le responsabilità sono sempre
condivise. Sarebbe anche ora di chiarire loro che è più efficace
informarsi seriamente e votare con attenzione che protestare
inanemente, solo per saltare qualche ora di lezione. Se i ragazzi non
lo capiranno – e al più presto - non c'è speranza.
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