In aggiunta all'incalzante retorica del siamo-tutti-ucraini – divenuta stucchevole tanto quanto coloro che se ne fanno portatori -, un'altra insopportabile componente di questa ennesima ondata di pacifismo prêt-a-porter è l'immancabile Imagine, di John Lennon, puntualmente strimpellata, con tanto di occhi lucidi, nelle recenti manifestazioni per la pace (in primis, Piazza San Giovanni). A fronte di questo mio evidente disgusto – che sono certo venga ormai percepito con pesantezza anche dai pochi, ma fedeli, lettori di questo blog -, penso sia giunto il momento di spendere due parole su questo tormentone, davvero senza tempo, del pacifismo occidentale e sulla strumentalizzazione che di esso hanno fatto le varie gioventù bruciate nei decenni seguiti alla sua pubblicazione. Lennon lasciò i Beatles - oltre che per i motivi fino ad oggi stagionalmente indagati e quindi straconosciuti – a causa dei ripetuti attacchi che, dal tempo della comparsa al suo fianco, gli altri membri della band avevano puntualmente rivolto a Yoko Ono, giapponese, visual artist, attivista, compagna e, successivamente, consorte di Lennon. La si accusava di averlo plagiato, distolto dalla sua arte, dal suo vero sentire di musicista, ed in tal modo di avere fatalmente contribuito alla disgregazione del quartetto. Lennon non perdonò mai a Paul, George e Ringo questa posizione e cotanto accanimento, ed in tutta risposta, nel periodo immediatamente successivo allo scioglimento dei fab four, pubblicò due dischi fortemente caratterizzati, nelle intenzioni programmatiche come nei contenuti musicali e testuali, dall'influenza di Ono. Imagine, brano d'apertura dell'album omonimo, checché ne dicano gli adepti della 'seconda chiesa di Lennon', fa infatti il paro con il precedente John Lennon / Plastic Ono Band nel mostrarne l'autore in tutta la sua ordinarietà, in netto, sconvolgente contrasto con la figura autorale messa in campo nel periodo precedente. Colui che solo cinque anni prima aveva dato vita ad un brano come Tomorrow never knows, è ora divenuto una figura di culto, politicamente rilevante, in apparente simbiosi con la visione di vita della consorte. A tale visione, Lennon aderisce con un'intensità ed una coerenza tali da portare un contributo tutt'altro che marginale alle tensioni che, di li a breve, provocheranno lo storico scioglimento della 'band' di Liverpool. Le istanze pacifiste di Ono, suffragate in parte dalle proteste montanti nei campuses statunitensi e da un malcontento ormai diffuso nella pubblica opinione, trovarono concreta realizzazione artistica nel brano in questione. Quella che il pacifismo, da allora, ha assunto come proprio inno, e che oggi, declinata alle odierne esigenze 'del campo', risuona nelle bocche di tanti dei personaggi senza arte né parte del pacifismo nostrano, è, nel parere di scrive, una delle canzoni più deludenti tra quelle scritte da Lennon - per quanto coerentissima con la sua condotta del tempo. Nel mondo di Imagine – e c'è di che tremare, a pensare che Lennon possa avervi creduto – un'uguaglianza a tutto campo, orizzontale, regna incontrastata. Abolite differenze, confini, religioni, tensioni, incomprensioni e ogni causa per cui valga la pena vivere o morire, l'invito che viene indirizzato è a lasciar perdere e, in tal modo, a vivere strafatti un'eterna estate dell'amore, finalmente uguali, non belligeranti e totalmente aconflittuali (che è quanto ipocritamente propugnato oggi dai padroni della 'rete', sebbene con altri mezzi ed altre intenzioni). Un mondo dove l'altro cessa di anteporsi con le proprie opinioni, cessa di infastidire, perché è come te, perché tutti sono uguali: stesso pensiero, stesso atteggiamento nei confronti degli eventi della vita, abolizione dell'alterità. In altre parole, l'essenza stessa del fascismo - sebbene non perseguito con la forza, ma fantasticato nelle sue sole risultanze. Il seguito di Lennon, sia quello ottusamente più fedele che quello la cui ammirazione giungeva per inerzia (il mainstream), ha fatto di Imagine fin da subito una vera e propria bandiera del più becero pacifismo - quello, per intenderci, mai teso a propugnare soluzioni, ma sempre ottusamente a favore di uno sterile ed infantile non-interventismo. Volendo finalmente vederne la figura con il dovuto distacco, esattamente come faremmo con la seconda guerra mondiale, l'omicidio Kennedy o, per restare in casa nostra, il sequestro Moro, va detto che, nella fase solista della sua carriera, Lennon fu, in maniera via via crescente, sempre più convinto che ogni suo pensiero messo in musica - ogni nota, cioè, accordo, melodia o arrangiamento - fosse sempre foriero di rilevanti sottintesi anche quando alle orecchie suonava, né più né meno, come l'equivalente di una gran bella strimpellata (si pensi a Give Peace a Chance, al fatto di pubblicare spudoratamente quella che può ben dirsi la registrazione di una grigliata tra amici, financo ottenendone uno straordinario responso commerciale, e si avrà di quanto vado qui sostenendo una prova agghiacciante). Ribelle senza più causa, piegò la sua produzione alle istanze liberal della sinistra statunitense, assai in voga nella società del momento (posizione, quella ideologica, che, con la grande produzione dei Beatles [1966-69], aveva invece accuratamente evitato). Viene insomma da pensare che, fosse ancora vivo, con buona probabilità lo vedremmo suonare alle feste del PD o alla Leopolda. Non credo che il rock, genere politico alla nascita, debba astenersi dal prendere posizioni aperte (se così fosse, verremmo privati in un sol colpo dell'intera produzione dei Clash – produzione, mi permetto di sottolineare, tutt'altro che meschina). Penso piuttosto che molti, troppi artisti, specie in passato, abbiano letto il proprio successo commerciale come un'investitura a guida politica e spirituale, a guru della pubblica opinione, e che, nell'assumere tale ruolo, abbiano spesso cavalcato l'onda mainstream né più né meno con la stessa spregiudicatezza del più navigato dei politici, e che come questi abbiano ambito più ad influenzare le folle che a persuaderle per mezzo della propria arte. È probabile, insomma, che, se in quel lontano agosto di 42 anni fa Mark Chapman non avesse sparato a Lennon, qualcun altro l'avrebbe comunque fatto, prima o poi.
domenica 3 aprile 2022
'IMAGINE'. Il mondo ambiguamente fascista di John Lennon.
In aggiunta all'incalzante retorica del siamo-tutti-ucraini – divenuta stucchevole tanto quanto coloro che se ne fanno portatori -, un'altra insopportabile componente di questa ennesima ondata di pacifismo prêt-a-porter è l'immancabile Imagine, di John Lennon, puntualmente strimpellata, con tanto di occhi lucidi, nelle recenti manifestazioni per la pace (in primis, Piazza San Giovanni). A fronte di questo mio evidente disgusto – che sono certo venga ormai percepito con pesantezza anche dai pochi, ma fedeli, lettori di questo blog -, penso sia giunto il momento di spendere due parole su questo tormentone, davvero senza tempo, del pacifismo occidentale e sulla strumentalizzazione che di esso hanno fatto le varie gioventù bruciate nei decenni seguiti alla sua pubblicazione. Lennon lasciò i Beatles - oltre che per i motivi fino ad oggi stagionalmente indagati e quindi straconosciuti – a causa dei ripetuti attacchi che, dal tempo della comparsa al suo fianco, gli altri membri della band avevano puntualmente rivolto a Yoko Ono, giapponese, visual artist, attivista, compagna e, successivamente, consorte di Lennon. La si accusava di averlo plagiato, distolto dalla sua arte, dal suo vero sentire di musicista, ed in tal modo di avere fatalmente contribuito alla disgregazione del quartetto. Lennon non perdonò mai a Paul, George e Ringo questa posizione e cotanto accanimento, ed in tutta risposta, nel periodo immediatamente successivo allo scioglimento dei fab four, pubblicò due dischi fortemente caratterizzati, nelle intenzioni programmatiche come nei contenuti musicali e testuali, dall'influenza di Ono. Imagine, brano d'apertura dell'album omonimo, checché ne dicano gli adepti della 'seconda chiesa di Lennon', fa infatti il paro con il precedente John Lennon / Plastic Ono Band nel mostrarne l'autore in tutta la sua ordinarietà, in netto, sconvolgente contrasto con la figura autorale messa in campo nel periodo precedente. Colui che solo cinque anni prima aveva dato vita ad un brano come Tomorrow never knows, è ora divenuto una figura di culto, politicamente rilevante, in apparente simbiosi con la visione di vita della consorte. A tale visione, Lennon aderisce con un'intensità ed una coerenza tali da portare un contributo tutt'altro che marginale alle tensioni che, di li a breve, provocheranno lo storico scioglimento della 'band' di Liverpool. Le istanze pacifiste di Ono, suffragate in parte dalle proteste montanti nei campuses statunitensi e da un malcontento ormai diffuso nella pubblica opinione, trovarono concreta realizzazione artistica nel brano in questione. Quella che il pacifismo, da allora, ha assunto come proprio inno, e che oggi, declinata alle odierne esigenze 'del campo', risuona nelle bocche di tanti dei personaggi senza arte né parte del pacifismo nostrano, è, nel parere di scrive, una delle canzoni più deludenti tra quelle scritte da Lennon - per quanto coerentissima con la sua condotta del tempo. Nel mondo di Imagine – e c'è di che tremare, a pensare che Lennon possa avervi creduto – un'uguaglianza a tutto campo, orizzontale, regna incontrastata. Abolite differenze, confini, religioni, tensioni, incomprensioni e ogni causa per cui valga la pena vivere o morire, l'invito che viene indirizzato è a lasciar perdere e, in tal modo, a vivere strafatti un'eterna estate dell'amore, finalmente uguali, non belligeranti e totalmente aconflittuali (che è quanto ipocritamente propugnato oggi dai padroni della 'rete', sebbene con altri mezzi ed altre intenzioni). Un mondo dove l'altro cessa di anteporsi con le proprie opinioni, cessa di infastidire, perché è come te, perché tutti sono uguali: stesso pensiero, stesso atteggiamento nei confronti degli eventi della vita, abolizione dell'alterità. In altre parole, l'essenza stessa del fascismo - sebbene non perseguito con la forza, ma fantasticato nelle sue sole risultanze. Il seguito di Lennon, sia quello ottusamente più fedele che quello la cui ammirazione giungeva per inerzia (il mainstream), ha fatto di Imagine fin da subito una vera e propria bandiera del più becero pacifismo - quello, per intenderci, mai teso a propugnare soluzioni, ma sempre ottusamente a favore di uno sterile ed infantile non-interventismo. Volendo finalmente vederne la figura con il dovuto distacco, esattamente come faremmo con la seconda guerra mondiale, l'omicidio Kennedy o, per restare in casa nostra, il sequestro Moro, va detto che, nella fase solista della sua carriera, Lennon fu, in maniera via via crescente, sempre più convinto che ogni suo pensiero messo in musica - ogni nota, cioè, accordo, melodia o arrangiamento - fosse sempre foriero di rilevanti sottintesi anche quando alle orecchie suonava, né più né meno, come l'equivalente di una gran bella strimpellata (si pensi a Give Peace a Chance, al fatto di pubblicare spudoratamente quella che può ben dirsi la registrazione di una grigliata tra amici, financo ottenendone uno straordinario responso commerciale, e si avrà di quanto vado qui sostenendo una prova agghiacciante). Ribelle senza più causa, piegò la sua produzione alle istanze liberal della sinistra statunitense, assai in voga nella società del momento (posizione, quella ideologica, che, con la grande produzione dei Beatles [1966-69], aveva invece accuratamente evitato). Viene insomma da pensare che, fosse ancora vivo, con buona probabilità lo vedremmo suonare alle feste del PD o alla Leopolda. Non credo che il rock, genere politico alla nascita, debba astenersi dal prendere posizioni aperte (se così fosse, verremmo privati in un sol colpo dell'intera produzione dei Clash – produzione, mi permetto di sottolineare, tutt'altro che meschina). Penso piuttosto che molti, troppi artisti, specie in passato, abbiano letto il proprio successo commerciale come un'investitura a guida politica e spirituale, a guru della pubblica opinione, e che, nell'assumere tale ruolo, abbiano spesso cavalcato l'onda mainstream né più né meno con la stessa spregiudicatezza del più navigato dei politici, e che come questi abbiano ambito più ad influenzare le folle che a persuaderle per mezzo della propria arte. È probabile, insomma, che, se in quel lontano agosto di 42 anni fa Mark Chapman non avesse sparato a Lennon, qualcun altro l'avrebbe comunque fatto, prima o poi.
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