Sebbene
molti, persino tra i frequentatori di questo blog, si dicano
sconcertati di ciò, va da sé che, tra i ruoli che ho scelto di
assumere nella vita, da sette anni vi è quello di genitore. Nello
specifico, sono padre di una bambina.
Pertanto,
a menti ben arredate, non dovrebbe risultare difficile intuire come
io mi sia sentito quest'oggi al vedere la foto d'apertura del sito di
quell'ultimo barlume di grande giornalismo targato Inghilterra che è
The Guardian.
È
un periodo, questo, nel quale, proprio nella veste di genitore, ho
dovuto rapportarmi con frequenza via via crescente alle tante piccole
e grandi meschinità del quotidiano. Scuola, lavoro, amicizie,
conoscenze, parentele. Bassezze spesso dettate da una assoluta
vacuità personale, e messe in campo proprio a compensare
quell'assenza di talento, qualità, competenze e sensibilità che
dovrebbero invece essere i tratti distintivi, unici, di ognuno. Uno
spreco di tempo ed una dimostrazione di arroganza che maggiormente
avvalorano le disincantate parole che Paolo Sorrentino ed Umberto
Contarello fanno pronunciare al protagonista de La Grande Bellezza:
“Stefania, madre e donna, hai cinquantatré anni e una vita
devastata, come tutti noi. Allora invece di farci la morale, di
guardarci con antipatia, dovresti guardarci con affetto. Siamo tutti
sull'orlo della disperazione, e abbiamo un unico rimedio: farci
compagnia e prenderci un po' in giro.”. E difatti, in un paese di
stronzi quale è divenuto irrimediabilmente il nostro, il film non ha
goduto di consenso popolare proporzionato al suo riconoscimento in
campo internazionale.
E
così mi ritrovo a guardare la foto di padre e figlia annegati nel
Rio Grande non solo nella certezza, sconcertante, che l'inaccettabile
è solo un episodio debitamente rubricato e documentato di una delle
tante tragedie umanitarie in corso sul pianeta, ma anche che le
domande ultime sul senso dell'esistenza poste da questo scatto –
domande che dovrebbero sorgere spontanee e costituire l'essenza di
ogni discorso tra genitori davvero impegnati nell'educazione
sentimentale dei propri piccoli – verranno affrontate in una
solitudine priva di conforto e di consolazione.
Non
credo si possa davvero contemplare una simile raffigurazione della sofferenza umana ed
uscirne puliti, come nulla fosse.
Questa
sera, per combattere la calura, ho portato mia figlia a fare un giro
lungo la costa del lago, quindi ad una mostra di pittura ed infine ad
un aperitivo. Siamo stati insieme. Come una famiglia si pensa debba
essere. Io, lei e la mamma. Felici. Al punto che le dimostrazioni
d'affetto, da parte sua, in questo breve arco di tempo, sono state
molteplici e gratificanti.
Poi
il caldo ha cominciato a mostrare i suoi effetti sul mio corpo,
complice l'alcol, aumentandone la sudorazione e macchiando, di
conseguenza, volgarmente la maglietta che avevo indosso.
In
quel preciso istante ho pensato a come starebbe, mia figlia, se, nel
tentativo disperato di salvarne la vita, tentassi di infilarla in quello stesso indumento, similmente a quanto fatto dall'uomo della foto in un ultimo gesto di amore disperato. Sentirebbe, per cominciare, l'odore acre tipico del corpo sudato quando vi si viene a contatto. Il temporaneo disgusto
verrebbe quindi cacciato dal senso di soffocamento, inevitabile per
chiunque decida di abitare in coppia un capo d'abbigliamento cucito
per un singolo. Infine la sensazione di
soffocamento da contatto lascierebbe il posto a quella da immersione, appresa per gioco durante le giornate in
piscina, con lei sulle mie spalle. Quindi toccherebbe a me avvertire gli spasmi incontrollati del corpo che annega. Il corpo di mia figlia.
Ho
nuotato sufficientemente a lungo, nella mia vita, per sapere che è
esattamente così che va, in acqua.
Quel
che non so – e che mi auguro la vita voglia tenermi nascosto – è
se io sia capace, nella difficoltà, nella disperazione più grande e profonda, il vero banco di prova dell'essere umano, di un simile gesto, di tanto
sacrificio.
Il
padre di questa piccola guatemalteca lo è stato. Il braccino, che neanche la più tragica delle fini ha saputo togliere dal collo del suo papà, lo testimonia. Come il padre di The Road, di Cormac McCarthy, questo uomo ha tenuto vivo il fuoco della speranza fino dove gli è stato possibile. In un mondo popolato sempre più da padri inadeguati o negligenti, non è poco.
E
nonostante questa grande differenza, oggi lo sento molto più
fratello di tante altre persone a me più vicine.