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all'abolizione del decespugliatore a scoppio. Non fiori, ma opere di
bene.
Nell'ormai lontano anno 2001, gli inglesi Radiohead pubblicarono una raccolta di brani dal vivo intitolata I Might Be Wrong: Live Recordings. Dodici brani che, definitivamente escludendo – e quasi negando –, la produzione degli esordi, pescavano nel bacino seminale dei due ultimi lavori, Kid A ed Amnesiac. Unica eccezione: l'inedito, a chiusura del disco, True Love Waits.
I'll
drown my beliefs...
Dai tempi di Ok Computer, True
Love Waits aveva cercato forma e collocazione, senza però
trovarla in alcuno dei lavori citati. Da qui l'idea di liberarsi
della sua presenza fantasmatica includendola nella raccolta dal vivo
- operazione che, dal punto di vista commerciale, rispondeva a quelle
regole del mercato discografico che i cinque inglesi avrebbero
sovvertito radicalmente, sei anni più tardi, con la pubblicazione di
In Rainbows, mediante la formula “Pay What You Want”
ed un'iniziale, esclusiva distribuzione on-line. Ma ecco che,
come una nevrosi rimossa, a quindici anni di distanza True Love
Waits riappare, in un arrangiamento sofisticato e inquietante,
all'interno dell'ultimo A Moon Shaped Pool. Traccia 11. Di
nuovo a conclusione di un disco.
Per una serie di ragioni che andranno
delineandosi nel testo, chi scrive è rimasto affezionato (stregato?)
alla precedente versione, la cui struggente bellezza costituisce
l'oggetto di questo scritto. Si tratta, nella sostanza, di un brano
tonale (do maggiore, con un solo accordo estraneo ad allargare la
tonalità alla fine di ogni verso) per voce e chitarra acustica. Il
testo - di una commovente disperazione -, come spesso accade nella
produzione del quintetto inglese, è attribuito al collettivo (all
songs written by Radiohead...).
Ed è non poco interessante il fatto che cinque teste 'radiosonore'
come quelle in questione abbiano concordato nel ritenere il solo
sottofondo di chitarra adeguato alle esigenze espressive della
canzone.
…
And wash your swollen feet...
Thom
Yorke è, senza possibilità di discussione, una delle figure più
asimmetriche dell'arte di oggi, somaticamente e musicalmente.
Disforico nel personaggio del rocker, della rockstar,
ha mostrato, nel tempo, una crescente, naturale predilezione per
ritmi dispari e sincopati, e per un falsetto la cui funzione iniziale
era principalmente quella di discostarsi dagli stereotipi delle voci
piene – pur con tutte le possibili sfumature timbriche -, tipici
delle figure suddette. Divenuto, suo malgrado, un marchio distintivo,
il falsetto a la Yorke ha in qualche modo influenzato la
produzione testuale del gruppo, che sempre di più si è improntata a
tematiche legate a stati psicologici (Paranoid Android, The
National Anthem), all'individuazione di inusuali luoghi di
sofferenza umana (Everything In Its Right Place, Where I End And
You Begin) e a delicatezze dettate dalle singole sensibilità
(Nude).
…
I'm not living,
I'm just killing time
...
Urge, a questo punto, specificare le motivazioni che hanno spinto chi scrive ad occuparsi di questa canzone, e perché proprio in questo momento.
Urge, a questo punto, specificare le motivazioni che hanno spinto chi scrive ad occuparsi di questa canzone, e perché proprio in questo momento.
26
luglio 2016. ore 21:35. Autostrada A1. Altezza Napoli Nord/San
Nicola. Una pattuglia della Polizia Stradale rinviene, nel corso di
un pattugliamento d'ordinanza, la presenza di un corpo umano legato
con degli stracci all'asse di un TIR. Si tratta di un ragazzo afgano
di quindici anni che, stando alla documentazione di trasporto
esibita dall'ignaro autista, uno spagnolo, ha viaggiato in quelle
condizioni dalla Grecia. I parametri vitali sono ai minimi
fisiologici, ma il giovane è vivo, e le cure pietosamente
somministrate presso il vicino ospedale gli salvano la vita.
…
Your tiny hands...
“Al
leggere questa notizia ho pensato: bene, potrei piangere. O, al
contrario, fare finta di nulla. O, ancora, estetizzare questa
sensazione rifugiandomi in un ascolto musicale, nella atavica
speranza che la buona musica mi preservi dal divenire un mostro di
cinismo e di insensibilità. Opto per quest'ultima soluzione, la via
più facile. Allora mi chiedo: se, come sosteneva Foster Wallace,
scopo dell'arte è quello di farci sentire meno soli, più vicini gli
uni agli altri, esiste oggi, nella musica, un'opera che assolva a
questa funzione? Capace di rappresentare i sentimenti che insorgono
di fronte ad un simile orrore? In grado di descrivere i postmoderni
luoghi dell'amore violato così come quelli dell'amore atteso? Ed
ecco che, dopo un poco, mi torna alla mente una canzone. La canzone
che chiudeva un disco.”
…
And true love waits
In haunted attics...
In haunted attics...
Ha
ragione Mauro Covacich: nella moderna cultura occidentale non vi è
nulla di più profondo della musica dei Radiohead, nulla che più di
essa si adatti a descrivere questo nostro tempo, colonna sonora di
un'umanità dolorante e poesia in grado di risvegliare sentimenti
pericolosamente assopiti. Il vero amore. Pensiamoci. Non più quello
che la nostra generazione è stata addestrata a dare, bensì l'amore
che chiama, urge, pretende di essere colto lì dove il suo bisogno è
vitale, ma sempre senza alzare la voce. Esattamente come fa Thom
Yorke in questa esecuzione mozzafiato. Il vero amore non va in
diretta streaming
e neanche via satellite. Il vero amore sa attendere.
…
And true love lives
On lollipops and crisps...
On lollipops and crisps...
Si
è passati dalla gioventù bruciata alla gioventù violata. Dalle
soffitte popolate di fantasmi al semiasse di un camion in corsa.
“I
miei quindici anni sono stati, almeno formalmente, un bel periodo,
esente da grandi traumi. Eppure la rabbia di quei giorni,
l'inadeguatezza, la frustrazione, sono ancora facilmente richiamabili
alla memoria. Credo sia stata, generalizzando, l'esperienza di molti
coetanei e connazionali. Penso, allora, alla rabbia che può passare
nella testa di un quindicenne costretto ad abbandonare tutto –
tutto - nel tentativo, privo di certezza, di una vita non dico
migliore, ma quantomeno diversa da quella dell'Afganistan 2016. Che
per fare ciò è costretto a legare il suo corpo vergine al ventre di
un autotreno, dal suo paese a casa nostra. E che, salvato per
miracolo al termine del viaggio, si veda rispedito a casa. Ecco.
Potrebbe balenare, in questo ragazzo - questo figlio indifeso che
nella mia mente bacata continuo a chiamare Senzanome, come il fragile
personaggio dei Minicuccioli - una sana idea di vendetta, una
fantasia in grado di riscattarlo da un esperienza che nemmeno Primo
Levi avrebbe avuto remore nel definire concetrazionaria-postmoderna.
Può essere che il lieto fine - dove per tale è da intendersi il
semplice essersi salvato, e non la becera visione, frutto di troppo
brutto cinema, di chi, nei commenti alla notizia, ha gioito (Rejoice)
al pensiero del ritorno a casa del giovane, tra le braccia della
genitori), l'inesperienza, la mancanza di un metro di giudizio
rispetto allo stile di vita della vecchia Europa, gli consentano di
rimandare la stesura di detto piano all'età della maturità. E verrà
quel giorno. I contorni della sua tragedia personale diverranno
nitidi. La storia che studierà gli dirà di come la stessa Europa
presso la quale ha cercato rifugio senza trovarvelo, abbia condotto
alla morte, il 10 settembre 2001 (!!), Ahmad Shah Massoud,
inascoltato, al termine di due giorni di sfiancante, burocratica
attesa nelle stanze del potere di Bruxelles - l'unica figura in
grado, allora, di garantire al suo paese l'Afganistan dei Talebani,
uno sforzo per una vita diversa da quella che lo ha costretto
sull'asfalto caldo e veloce di un'estate della sua gioventù. Si
persuaderà, forse, che quel Cristo tanto venerato dagli europei non
era poi così grande, se questi sono tanto indifferenti, e si
rivolgerà ad altro profeta. Un momento di feroce, spietata lucidità,
dicevamo, che potrebbe avere luogo e trovare sfogo in un bistrot,
ad una fermata della metropolitana, allo stadio, in un centro
commerciale, nella hall di un aeroporto, in una chiesa o ad
uno dei concerti ai quali noi occidentali amiamo darci appuntamento
'per fare casino'. Il concerto di un quintetto inglese, magari.
Durante una canzone i cui versi finali fanno...”
…
Just don't leave
...
...Don't leave
...Don't leave
True
Love Waits
è
una delle canzoni più belle, commoventi e rappresentative di questo
nostro tempo travagliato.