IL BLOG DI STEFANO PARENZAN
(Nessuno uscirà vivo da qui)
venerdì 22 maggio 2020
IT'S HIS OWN LIFE. L'ingloriosa fine di Bon Jovi.
Il nuovo calendario di Padre Pio.
Giovanile, brillante, di bell'aspetto, rock 'n roll, baciato dal successo, grande schiacciatore di femmine della specie top model e persino attore (memorabile la sua partecipazione a Sex & The City, quando in molti ancora credevamo fosse una serie immortale). Questo è stato John Francis Bongiovi, in arte Bon Jovi, fino al febbraio 2020, quando saltava da un palco all'altro del pianeta ricordandoci che 'la vita non ha limiti' - "Life is limitless", il suo ultimo singolo -, due settimane dopo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (roba da romanzo orwelliano) dichiarava conclamata la pandemia per il Covid-19, e per il pianeta iniziava una moria, con annessa reclusione, da basso medioevo. Alla faccia dell'assenza di limiti, John! Bella buccia di banana. Complimenti. A parte il fatto che pubblicare un singolo nel 2020 significa, come minimo, credersi ancora negli anni '80 (ma, considerata la bella vita che deve aver fatto al tempo, c'è da mostrare comprensione e compassione, un po' come per certi anziani delle case di riposo, con le loro vite fatte ormai solo di ricordi). Significa tradire una logica imprenditoriale e sorpassata, un'anagrafe che i più accorti manterrebbero ben celata. D'altronde il nostro non è nuovo a queste sborrate - molto berlusconiane, se mi è concesso - sulla vita come campo da gioco, dove il singolo è nel contempo arbitro e giocatore. Ricorderete certamente uno dei suoi più grandi successi, It's My Life, una canzone così 'dimmerda' da far sembrare bella persino Wind Of Change degli Scorpions (che, nella mia personale classifica, è la canzone più brutta mai scritta da un essere umano, ma va da sé che il commercio risponde a ben altre regole). Ebbene: già allora - era il 1999 -, Bon Jovi aveva espresso questa visione tristemente - americanamente - edonistica dell'esistenza ("It's now or never"), banalotta ("I ain't gonna live forever") tautologica e un po' povera nel lessico ("I wanna live while I'm alive"). Stava per finire il millennio con i meravigliosi '90, durante i quali erano state sostanzialmente annunciate portate di fica e caviale un po' per tutti. E quindi ci stava una canzone così, tracotante, da ascoltare, magari, prima di uscire di casa per una serata con gli amici. Ricordo ancora vividamente - e solo per citare un esempio di quanto, questo brano, avesse galvanizzto, alla sua uscita, esistenze altrimenti bruciate alla nascita - di come il mio collega Antonio raccontava, in preda all'orgoglio ed un pizzico di malinconia, del pomeriggio assolato al largo Bangkok quando pagò l'equivalente di uno stipendio mensile tailandese per farsi riprendere in video su un fuoribordo lanciato a massima velocità con le note di It's My Life a fare da colonna sonora (e questo, marginalmente, rende ragione all'opera cinematografica di Danny Boyle ed Eli Roth, registi molto diversi per nascita e stile, ma uniti dall'aver prodotto due dei film più forti e belli sul turismo inteso come illimitata condizione di acquisto, dall'orecchino all'orgasmo snuff, che sono The Beach e Hostel).Ma Limitless... Davvero è un brano che, oltre alla bruttezza manifesta ad ogni orecchio attento, questa emergenza planetaria, l'ha proprio gufata. "Out the door, into the street", "A million different faces / All from different places", "Step out on the edge / It's worth the risk", "Life is limitless", e via così. Insomma: per una comunità mondiale messa all'angolo dalla reclusione forzata, un poco sopra le righe, direi. Mi risulta persino che lo stesso Bon Jovi abbia dovuto forzatamente annullare una serie di concerti nel suo paese, e, volontariamente, abbia optato per il rimborso dei biglietti con una mossa barbina: "Dovete pagare le bollette e fare la spesa", sembra abbia dichiarato. "Sì, caro John: al contrario tuo, tutti i giorni, anche quando decidiamo di non assistere ad uno dei tuoi concerti, paghiamo le bollette e facciamo la spesa", viene da dire. Ritengo non ci sia fine più ingloriosa per un artista, specie se di genere popolare, del ritrovarsi ad esprimere concetti non difformi da quelli che potrebbero uscire dalla bocca dinostra madre o nostro padre. Cantare di vite che non sono quelle di chi gli presta ascolto. Essere, come cantava genialmente Morgan in Metallo Non Metallo, fuori dal tempo.
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