Matthew Modine nei panni di Soldato Joker. |
Nel
vuoto di senso crescente che caratterizza questa fase storica,
imbattersi in colpi di genio – come è capitato ieri l'altro – è
qualcosa che mi commuove. Tutto ciò connota il vostro umile
estensore come un anziano, una persona che lentamente va perdendo il
controllo sulla propria emotività e sul proprio corpo. Ma ben venga:
voglio morire restando capace di provare qualcosa. E qualunque
sentimento è buono, pur di mantenere uno status di dignità
umana.
Stavo
svolgendo un modesto lavoro di ricerca per un canovaccio radiofonico
(sì: ho velleità autoriali), quando ho avuto necessità di
visionare alcune sequenze tratte da Full Metal Jacket, il film
di Stanley Kubrick del 1987, ed altre ancora da, invece, Stanley
Kubrick: A Life In Pictures, documentario voluto e diretto da Jan
Harlan, storico produttore dei film del grande regista statunitense,
e caratterizzato dalla vera e propria perla che è la narrazione
fuori campo affidata a Tom Cruise (è una visione che, naturalmente,
consiglio a tutti, per ritrovare la giusta misura di cosa sia davvero
un grande talento, un genio, in un tempo dove si tende a riconoscere
come tali persone, in realtà, senza arte né parte).
Sono
settimane che, causa reclusione da Coronavirus, mi tocca sorbire il
pippotto delle stazioni Mediaset sull'attendibilità della loro
informazione ("Le notizie sono una cosa seria. Fidati dei professionisti dell`informazione. Scegli gli editori responsabili, gli editori veri. Scegli la serietà."). Ora, non mi dilungherò, sull'argomento. Come venne
giustamente specificato al tempo dell'uscita di Videocracy –
Basta Apparire, di Erik Gandini (era il 2009), se ancora, i
cittadini italiani, di fronte ad un simile messaggio, necessitano di
spiegazioni, ciò significa semplicemente che il danno non solo è
fatto, ma persino irreversibile.
Ed
è così, quindi, che, come specificato in apertura, mi sono trovato
con gli occhi lucidi, quando ho avuto davanti a me, in tutta la sua
magnificenza, la sequenza dove i soldati protagonisti del film
vengono intervistati dalla troupe dell'esercito nel bel mezzo
della battaglia di Hue, e il grande Kubrick decide di includere
nell'inquadratura, come fosse un personaggio a sé, la telecamera che
insiste sugli intervistati in maniera che si potrebbe dire
minacciosa. Venne realizzata sul finire del 1986, cioè in tempi non
sospetti, quando tutti, tranne forse Orson Wells, eravamo persuasi
della bontà dell'informazione che ci veniva somministrata, della sua
assoluta imparzialità come dell'etica da cui muoveva. Eravamo a otto
anni da The Truman Show e a quattordici da Grande Fratello, e
già questo genio immortale ci stava educatamente, sottilmente
mettendo in guardia dal pericolo della propaganda televisiva, dalla
possibilità di una deformazione pressoché integrale della notizia
come della realtà. Si potrebbe persino dire che con quell'ennesimo colpo di genio anticipò il
discorso sul potere ipnotico, persuasivo, e tossicomaniacale
dell'informazione che, dieci anni più tardi, sarà la colonna portante del romanzo di un suo pari: Infinite Jest,
di David Foster Wallace.
“First
to go – Last to know. We will defend to the death your right to be
misinformed”, recita uno striscione nella sequenza della
riunione di redazione. Un Inglese intenzionalmente bizzarro, quello
impiegato, che, con un po' di coraggio, può essere tradotto, per
quelle capre ignoranti che sono ormai gli italiani, come segue: i
primi a muoversi, gli ultimi a sapere, difenderemo alla morte il
vostro diritto ad essere disinformati.
Rattristano,
i tanti travisamenti dei quali è stata oggetto la pellicola nel
nostro paese come, va riconosciuto, in molti altri. È un
Vietnam-movie, non è
realistico, non è storicamente corretto, è ridicolo, sul fronte le
cose non andavano così e via di questo passo. Il messaggio a
riguardo di propaganda e manipolazione mediatica, invece – solo uno dei
tanti contenuti nel film –, sembra sistematicamente passare
inosservato.
Può
ben essere che l'inconscio italico, a fronte della vergognosa
accettazione del verbo televisivo berlusconiano, ormai lunga di oltre
30'anni, abbia operato una tutto sommato sana rimozione, e non si
renda quindi conto del livello di acritica, supina sottomissione alla
notizia – la news –
al quale è in realtà sceso.
L'opinione
pubblica è esattamente come il soldato Joker: partito alla ricerca
della verità – il più nobile dei tentativi di approdo al senso
della vita -, fa ritorno dal fronte in una muta disumana,
irriconoscibile.
È
la nota più dolente di questo film immortale.
Ma
non più dolente della stupidità, della violenza, dell'assenza di
empatia e della sostanziale incapacità di amare oggi circolanti.
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