martedì 19 maggio 2020

MEN IN BLACK. Quando Mike Bongiorno intervistò i Depeche Mode.


Mike Bongiorno ed alcuni ripetenti inglesi nel 1983.
Premesso che, di questi tempi, niente e nessuno può più vantare una status di sacralità, di intoccabilità, di esenzione dalla critica o dal giudizio - sempre, beninteso, che coloro che intendono violare queste condizioni, un tempo dettate dalla tradizione e oggi semplicemente decadute, se ne assumano la piena responsabilità (“Chi è senza peccato, scagli la prima pietra.”, Giovanni 8,3).
L'emergenza per il Coronavirus ha definitivamente spento in me ogni traccia di quello che ero fino a non molto tempo fa: una persona che, cresciuta in una casa dove il capofamiglia ogni santo giorno leggeva il Corriere della Sera dalla prima all'ultima pagina necrologi inclusi, ha creduto a proprie spese negli pseudovalori della modernità quali l'informazione e la rassegna-stampa (che è come dire la serie e il suo spin-off). Oggi la quotidianità mi sembra così meschina, inutile, priva di stimoli, da permettermi serenamente di ignorarla. “Too much information”, cantavano i Duran Duran nel loro disco più bello (e lo era veramente).
E così eccomi a vagare tra libri già letti, dischi già ascoltati, film già visti. Tutto pregevole, sia chiaro. Ma tutto nel regno del déjà entendu. Con un'unica eccezione: i milioni di video di repertorio presenti su You Tube.
In passato, gli storici, dai più modesti ai più autorevoli, risiedevano più o meno stabilmente, per motivi professionali all'interno di biblioteche, archivi, fondazioni, istituti privati o di stato, uniche menti in grado di unire in maniera intrinsecamente coerente la mole spesso straordinaria dei documenti custoditi dalle istituzioni citate. La storia che è stata impartita alla mia generazione (1970) è, in parte, frutto di quel tipo di attività storiografica.
Oggi, come molti di noi ben sanno, la storia ha, nelle persone, un peso ed una prospettiva ben diversi: la storia di cui ci nutriamo è infatti una storia mediata (filtrata, cioè, dai media, televisione e rete, in primis).
Può risultare sconcertante, ma per ciò che riguarda il costume, per quanto inconsciamente, siamo molto più influenzati da quella che è stata l'opera – chiamiamola così – di un Mike Bongiorno che da quella di un Italo Calvino (giusto per citare un nome che si pensa culturalmente influente).
Un esempio? Ecco qui.
Nel lontano 1982, l'anchorman più celebre d'Italia era titolare di un gioco a premi prodotto e trasmesso da Canale 5, che molti forse ricorderanno per il titolo dalla grande presa emotiva: Superflash. Era il tentativo - riuscitissimo – di espropriare la RAI del monopolio trasmissivo e produttivo, offrendo agli italiani televisivamente imberbi - ma già preda di un insidioso analfabetismo di ritorno - un polpettone fatto di attualità, cultura generale e spettacolo. Nel 1983, gli autori del programma invitarono alla trasmissione i Depeche Mode, giovanissimi e ancora sconosciuti, in Italia. Ma già il quartetto che di lì al 1996, cioè tredici anni più tardi, non avrebbe sbagliato un disco. Dopo l'esibizione, rigorosamente in playback come era d'uso nella televisione italiana dell'epoca, i quattro, timidissimi ed ignari di quanto sta per accadere loro, vengono dati in pasto al Mike nazionale per l'intervista di rito. Dati l'evidente gap generazionale e la sostanziale mancanza di seguito nel paese, Mike opta per il trattamento 'bimbiminkia'. In sequenza: si prende gioco della parlata di Dave (“Dave. Davide. Lui lo dice con un po' di accento.”); libera la propria omofobia chiedendo a Martin se è un ragazzo o una ragazza (“Are you a boy or a girl?”), salvo ritrattare (“I was kidding.”); si prende gioco della pettinatura di Andy (“Sembra Stanlio.”); elegge Dave a portavoce del gruppo, dando degli ignoranti agli altri tre (“Questo deve essere il ragazzo più intelligente dei quattro.”); pone domande imbarazzanti (“Siete ragazzi moderni, ma vi vestite di nero – che è tanto triste. Why don't you wear red, yellow, green?”) ed arriva financo a toccare incuriosito i capelli di Dave, con fare da padre-padrone. Il tutto in un misto imprevedibile di Inglese ed italiano che spiazza completamente i quattro rendendoli impotenti di fronte a quello che, suppongo, doveva essere apparso loro un anormale, e non un presentatore. Gran finale: “Altre cose non hanno, da dire, perché sono dei bravi ragazzi.”.
Cioè: dei 20'enni che si presentano, negli anni '80, ad eseguire un brano dal contenuto e dal suono di Everything Counts, per Bongiorno, altre cose non avevano, da dire (al contrario, immaginiamo a questo punto, di Bandolero con il suo Paris Latino od Irene Cara con What A Feeling, fenomeni da baraccone probabilmente sottoterra già da tempo e che proprio in quei giorni dominavano la Top 10 italica).
Ma erano, appunto, gli anni '80, e simili atteggiamenti ancora non erano entrati nel raggio d'azione del radar del politicamente-corretto (e a giudicare da quel che si vede e si sente oggi su certe emittenti, forse non vi sono davvero mai entrati).
È tutto visionabile qui di seguito. Ognuno può farsi la propria opinione. Ma, a costo di sentirmi dare del fascista, svengo al pensiero che qualcuno possa radicalmente discostarsi dal giudizio appena espresso.

Siamo sinceri. Senza voler giustificare chi si è reso artefice di momenti altrettanto imbarazzanti: non è questa la nefasta influenza che ha poi portato Adriano Celentano a trattare David Bowie da pari, Simona Ventura a saltare addosso a quest'ultimo, Fabio Fazio a farsi dare del Mr. Valium da Bono, Linus e Nicola Savino a rendersi ridicoli con i Duran Duran, Corrado Formigli a trattare Roger Waters da capo di stato e Daria Bignardi ad accogliere Marcello Dell'Utri come un premio Nobel, in una manifesta incapacità nazionale a condurre interviste davvero pregnanti, fatte di domande che pongano in vera luce i tanti artisti che pretendono il nostro ascolto più serio ed impegnato? Gli storici del costume e della televisione che in futuro affronteranno l'argomento di ciò che sono stati gli anni '80 in Italia - qualcosa mi dice -, dovranno obbligatoriamente visionare, su You Tube o presso le stesse emittenti, questa e molte altre figure barbine, e trarne le dovute conseguenze.
Agli storici, quindi, l'ardua sentenza.

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