Satira
è quando prendi in giro chi è più ricco di te.
Parodia è quando prendi in giro chi è più intelligente di te.
Avanspettacolo è quando fai entrambe le cose calandoti le brache.
(Daniele Luttazzi)
Parodia è quando prendi in giro chi è più intelligente di te.
Avanspettacolo è quando fai entrambe le cose calandoti le brache.
(Daniele Luttazzi)
L'odio che provo per Giorgio
Panariello non ha precedenti, in me. Può essere che ciò mi
classifichi come essere moralmente riprovevole (metto cioè i campo
la massima intolleranza per un comico tralasciando soggetti
maggiormente meritevoli – guerrafondai, politici, capitani
coraggiosi, furbetti del quartierino, demagoghi, faccendieri , preti
pedofili, banchieri e chi più ne ha più ne metta, l'elenco è
lungo).
Sta di fatto che vedere la sua faccia
sui manifesti affissi ovunque a promuovere il suo prossimo spettacolo
– e senza inserire nel computo l'onnipresenza televisiva di portata
berlusconiana, dovuta a quella merda di spot per la telefonia
-, ha di colpo rinnovato in me tutto il disgusto per questo
personaggio (perché tale è, Panariello) e per lo straordinario
successo che da anni gli viene stagionalmente tributato.
Mi irrita perché vedo in lui, nel
suo volto, nelle sue espressioni, quell'Italia che ne ride
stupidamente divertita (cosa aspettano a consegnarci l'autore della
battuta questo Fabri mi sfibra?). Un'Italia con la quale non
mi sento fratello, in sintonia, sempre più ottusamente lanciata in
direzione del modello conformistico corrente.
L'umorismo di Giorgio Panariello è
un umorismo paraculo, privo di qualsivoglia giudizio critico, piglio,
reattività. È il simpaticone del bar assurto a star, ad
indiscussa celebrità nazional-popolare (caratterizzazioni tute
presenti in Bagnomaria, lo spaventoso film del '99 che il nostro ebbe
persino la sfrontatezza di dirigere), sorta di Tognella del
Centro-Italia. Nel migliore dei casi, la battuta, o la parvenza di
questa, si riduce ad un accenno, ad un sottinteso (considerato poi il
suo pubblico, frainteso), soffocato sul nascere dalla risata
isterica indotta dall'aver pure pagato per un simile, triste
spettacolo. Gli spots realizzati per Wind (che Dio la
stramaledica) rappresentano i contesti dove meglio viene esercitata
la sua arte da avanspettacolo, di questo comico ritenuto
indispensabile, dove si palesa tutta l'invidia che non può non
caratterizzare intimamente ogni commediante non schierato (il Giorgio
nazionale avrebbe ucciso per essere Jack Sparrow).
Se poi si pensa che l'antidoto a
questa comicità corporea (la stessa che porta allo sfottò del
compagno di classe sovrappeso, cari genitori) è considerato Maurizio
Crozza, viene meno ogni speranza. Di quanto inerte sia il nostro
'antidoto' ne è misura quella stessa, identica onnipresenza con la
quale anche il comico di La7 abita il martellamento pubblicitario
televisivo. La7 lo ha assunto in tacita sostituzione di Daniele
Luttazzi – scelta indegna di una direzione artistica o di rete che
sia, caso meritevole non solo di un post, ma financo di una
tesi di laurea. Un comico che, ignaro di stagioni di Bagaglino,
esercita ancora la sua (?) critica attraverso l'imitazione
caricaturale.
E qui dovrei passare all'attacco di
un altro, insopportabile toscanaccio, Leonardo Pieraccioni. E
Ceccherini, e Benigni, e le nuove leve di Zelig, Colorado Café,
l'orrore di Made In Sud, tutte manifestazioni di come - checché se
ne dica - gli italiani sono sempre meno capaci di ridere, di
autoironia.
A proposito: avete mai fatto caso
alla somiglianza espressiva e somatica di Maurizio Crozza con
Pierluigi Bersani?
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