mercoledì 27 settembre 2017

RIDERE IN FACCIA A 'STO CAZZO. La comicità da bar di Giorgio Panariello.


Satira è quando prendi in giro chi è più ricco di te.
Parodia è quando prendi in giro chi è più intelligente di te.
Avanspettacolo è quando fai entrambe le cose calandoti le brache.

(Daniele Luttazzi)
L'odio che provo per Giorgio Panariello non ha precedenti, in me. Può essere che ciò mi classifichi come essere moralmente riprovevole (metto cioè i campo la massima intolleranza per un comico tralasciando soggetti maggiormente meritevoli – guerrafondai, politici, capitani coraggiosi, furbetti del quartierino, demagoghi, faccendieri , preti pedofili, banchieri e chi più ne ha più ne metta, l'elenco è lungo).
Sta di fatto che vedere la sua faccia sui manifesti affissi ovunque a promuovere il suo prossimo spettacolo – e senza inserire nel computo l'onnipresenza televisiva di portata berlusconiana, dovuta a quella merda di spot per la telefonia -, ha di colpo rinnovato in me tutto il disgusto per questo personaggio (perché tale è, Panariello) e per lo straordinario successo che da anni gli viene stagionalmente tributato.
Mi irrita perché vedo in lui, nel suo volto, nelle sue espressioni, quell'Italia che ne ride stupidamente divertita (cosa aspettano a consegnarci l'autore della battuta questo Fabri mi sfibra?). Un'Italia con la quale non mi sento fratello, in sintonia, sempre più ottusamente lanciata in direzione del modello conformistico corrente.
L'umorismo di Giorgio Panariello è un umorismo paraculo, privo di qualsivoglia giudizio critico, piglio, reattività. È il simpaticone del bar assurto a star, ad indiscussa celebrità nazional-popolare (caratterizzazioni tute presenti in Bagnomaria, lo spaventoso film del '99 che il nostro ebbe persino la sfrontatezza di dirigere), sorta di Tognella del Centro-Italia. Nel migliore dei casi, la battuta, o la parvenza di questa, si riduce ad un accenno, ad un sottinteso (considerato poi il suo pubblico, frainteso), soffocato sul nascere dalla risata isterica indotta dall'aver pure pagato per un simile, triste spettacolo. Gli spots realizzati per Wind (che Dio la stramaledica) rappresentano i contesti dove meglio viene esercitata la sua arte da avanspettacolo, di questo comico ritenuto indispensabile, dove si palesa tutta l'invidia che non può non caratterizzare intimamente ogni commediante non schierato (il Giorgio nazionale avrebbe ucciso per essere Jack Sparrow).
Se poi si pensa che l'antidoto a questa comicità corporea (la stessa che porta allo sfottò del compagno di classe sovrappeso, cari genitori) è considerato Maurizio Crozza, viene meno ogni speranza. Di quanto inerte sia il nostro 'antidoto' ne è misura quella stessa, identica onnipresenza con la quale anche il comico di La7 abita il martellamento pubblicitario televisivo. La7 lo ha assunto in tacita sostituzione di Daniele Luttazzi – scelta indegna di una direzione artistica o di rete che sia, caso meritevole non solo di un post, ma financo di una tesi di laurea. Un comico che, ignaro di stagioni di Bagaglino, esercita ancora la sua (?) critica attraverso l'imitazione caricaturale.
E qui dovrei passare all'attacco di un altro, insopportabile toscanaccio, Leonardo Pieraccioni. E Ceccherini, e Benigni, e le nuove leve di Zelig, Colorado Café, l'orrore di Made In Sud, tutte manifestazioni di come - checché se ne dica - gli italiani sono sempre meno capaci di ridere, di autoironia.
A proposito: avete mai fatto caso alla somiglianza espressiva e somatica di Maurizio Crozza con Pierluigi Bersani?

1 commento: