A quale titolo posso io, modesto
scrivano di provincia, ergermi a giudice dell'ignoranza altrui,
costituente l'oggetto di questo scritto?
Come direbbe Adriano Celentano:
perché sono il re degli ignoranti.
Per giudicare - facoltà sacrosanta -
persone e cose, “parole, opere ed omissioni”, bisogna conoscere
ed averne fatto esperienza.
Sono stato – e mi sento spesso
ancor ora – un
ignorante. Ho vissuto questa condizione, pagandone le conseguenze,
quando ero ragazzo, ma sempre provandone vergogna. Sentimento,
questo, che è stato, successivamente, il motore per una più sana e
produttiva spinta alla conoscenza.
Mi è quindi da sempre assai facile
riconoscere l'occhio bovino, la fuffa, la farina degli altrui sacchi,
la voce spacciata per opinione, il plagio, la sparata e i tanti altri
mezzucci impiegati dagli ignoranti per farsi belli (frustrazione,
insicurezza, mancanza di autostima, senso di inadeguatezza fanno
anche parte del loro bagaglio, ma senza che essi ne siano
consapevoli). Li riconosco perché sono stato uno di loro.
Sia chiaro: ignorante non è tanto la
persona che ignora la conoscenza (siamo e saremo sempre tutti
carenti, da questo punto di vista), quanto quella che ignora il
desiderio di conoscenza, che non ne avverte la spinta. Senza non si
va da nessuna parte. Ed il desiderio di conoscenza, va ricordato, si
manifesta per mezzo di un sintomo, di rado latente e quasi sempre
manifesto, che è la lettura. Ci si guardi in giro. Escludendo gli
studenti con il loro carico di letture obbligatorie (il nostro,
piaccia o no, è divenuto un paese di laureati, e ciò dimostra che
nemmeno l'università è più un argine all'ignoranza straripante):
in quante persone vi imbattete, quotidianamente, impegnate nella
lettura o dichiaranti di avere delle letture in corso? Le uniche sue
manifestazioni sono oggi affidate ai portatori di readers,
inganno culturale per eccellenza, con i quali si pretende di esibire
una mole di letture da teologo medievale per il solo fatto di poterle
tecnicamente stoccare in detto dispositivo. Sui titoli, sul numero di
testi letti e sul loro livello di assimilazione, però, credo sia del
tutto superfluo indagare: basta sentire i discorsi di questi
dilettanti della lettura per rendersi conto dell'assoluta vacuità
delle singole voci.
Detto questo, è da diverso tempo che
mi imbatto quotidianamente in sacche di ignoranza da primi anni '60,
diverse da quest'ultime solo per il lessico impiegatovi - che è
quello imposto della rivoluzione digitale -, ma per il resto di una
arretratezza deprimente per l'anno 2018, e che spiega, giustifica, i
ripetuti allarmi sul livello di alfabetizzazione del nostro paese.
Persone ignorantissime e ciarliere, totalmente prive di vergogna,
senso del ridicolo, introspezione. Vittime certamente
dell'orizzontalità elargita dalla rete, ma da questa mutate in
carnefici (le argomentazioni anche di poco conto hanno infatti un
loro grado di nocività). Abitazioni senza alcuna traccia di
carta stampata, senza librerie; la formazione di un'opinione sentita solo come necessità di secondo grado, come un hobby. Impera la concezione – errata
e del tutto inconscia – che noi si nasca geneticamente dotati
delle giuste e sufficienti conoscenze per la sopravvivenza nel
quotidiano. Fatto salvo, però, al primo dubbio, l'interrogare il telefono cellulare, sia per risalire ad un passo evangelico come al numero di veli della carta igenica.
Da qui la mia crescente difficoltà a
relazionarmi senza esibire un'espressione da cerbiatto abbattuto.
Scopo dei libri dovrebbe essere
quello di farci sentire un po' meno soli, sosteneva David Foster
Wallace. Beh, con buona pace di colui che forse è stato il più
grande, sembra che anche questa
risorsa non stia dando i risultati sperati.
Sentirsi meno soli, in termini
culturali, sta a significare condividere ed argomentare. E quanto
questa pratica risulti sempre più difficile, lo si può tutti
sperimentare ogni giorno di persona. Questo sgangheratissimo blog,
nei suoi quasi tre anni di vita, ha fornito ripetuti,
spiacevolissimi esempi di fraintendimento, da parte anche di lettori
sinceramente affezionati ad esso, ma ai quali il messaggio è giunto
in maniera pesantemente distorta rispetto ai propositi di partenza.
Accetto la mia parte di responsabilità – che c'è ed è
innegabile. Spesso, proprio nel rileggere queste pagine, sono posto
di fronte ai loro limiti quanto a scorrevolezza e chiarezza
sintattica. Ugualmente, non mi sembrano meritare giudizi di
illeggibilità o di intenzionale, snobistica complessità. Può
essere che io non sappia con esattezza a quale pubblico mi rivolga o
da quale pubblico sia costituito primariamente il bacino dei
lettori. Vero. E allora spingiamoci oltre.
Da una recente ricerca da parte
dell'Associazione Italiana Editori è emerso che – udite, udite! -
quasi il 40% dei managers italiani non legge. Dato, a mio
parere, calmierato per difetto, a sentire gli imbarazzanti discorsi
di molti della categoria. Traduco: significa che, dei tuoi capi –
in costante proliferazione, nell'italietta 2018 -, una metà è
costituita da perfetti ignoranti (le ormai celeberrime capre di
Vittorio Sgarbi), con una zona di confine dove i più 'colti', visto
l'accrescersi inarrestabile dei compensi spesso anche in assenza di
risultato, potrebbero nottetempo optare per la via breve ed
accrescere le fila dei colleghi illetterati.
Quale malsana presunzione si nasconde
dietro il rifiuto intenzionale della lettura?
Non posso, a questo punto, non
ricordare uno dei miei grandi amori letterari, Primo Levi, quando,
nel gennaio 1945, abbandonato nel Lager di Auschwitz-Birkenau
e certo di morirvi, prese a leggere un libro lasciatogli con ipocrita
benevolenza da un medico in fuga insieme alle SS:
Il romanzo di Roger
Vercel è un caso particolare: credo che abbia un suo valore
intrinseco, ma è importante per me per ragioni mie private,
simboliche e pregnanti, perché l'ho letto in un giorno (il 18
gennaio 1945) in cui aspettavo di morire. (La Ricerca Delle Radici,
1981)
E ancora:
Passai il pomeriggio a
leggere il libro lasciato dal medico... Continuai a leggere fino a
tarda ora. (Se Questo è Un Uomo, 1947)
È, a mio parere, il più grande,
commovente emblema della resistenza dell'uomo inteso come essere culturale.
Leggere. Sperimentare nuovi mondi –
questo lo scopo - persino nei luoghi dove la notte dell'umanità è
stata più profonda. Si può leggere, e trovarne conforto, persino ad
un passo dalla fine.
È ora di tornare a scuola. e di profondervi il massimo dell'impegno.
Le nostra generazione, per molta
dell'ignoranza che la contraddistingue, non ha alibi.