mercoledì 16 settembre 2020

OUR HOUSE. Le responsabilità educative della famiglie.

Delle cose rimastemi dell'Inghilterra pre Brexit, prima cioè della sua trasformazione in quella cloaca politico-sociale che è oggi, c'è una canzone dei Madness (per coloro che non li conoscessero, un gruppo ska formato da simpaticissimi svitati della suburbia londinese, famosi negli anni '80 per una serie molto fortunata di hits il cui merito è sicuramente quello di avere fedelmente raccontato con fare scanzonato la working class britannica del tempo). Si intitola Our House, ed è un ritratto gioioso e leggero della tipica famiglia inglese vista con gli occhi di uno dei figli. Una famiglia felice perché non desidera altro che quello che ha: un padre operaio (“Father gets up late for work”), una madre casalinga e premurosa (“Our mum, she's so house-proud”), figli orgogliosi di esserne parte (“Our house was our castle and our keep”), il fragore inevitabile dei nuclei numerosi (“it's usually quite loud”), gli ordinari riti del fine-settimana (“Father wears his Sunday best”) e, naturalmente, la casetta nel bel mezzo del quartiere (“Our house, in the middle of our street”).

Per quanto stilizzata, ho pensato proprio a questa famiglia, ieri l'altro, alla sua fierezza, alla sua semplicità, nel mentre, con paura e disgusto, leggevo i diversi resoconti biografici sui due fratelli di Artena, protagonisti delle cronache di questi giorni per avere condotto, in un piccolo paese del basso Lazio, un pestaggio in branco (quattro contro uno) conclusosi con la morte dell'aggredito.

La famiglia è un aggregato che può salvare, ma anche distruggere. Lo sappiamo bene tutti quanti. E se a qualcuno ancora serve un esempio, ciò significa che vive in un mondo diverso, quantomeno, da quello nel quale vivo io e che - mi piace pensare - credo sia lo stesso di molti di coloro che leggono o frequentano Sala Colloqui.

Giovani, carini (si fa per dire) e disoccupati, fino a pochi giorni fa, i due fratelli vivevano con i genitori - la famiglia, per l'appunto -, in una grande villa, svettante in maniera sospetta sulla modestia degli immobili circostanti. Grosse cilindrate, abbigliamento ed accessori firmati, bella vita puntualmente ostentata sui social, liquidità da emiro, fisico curatissimo ed ottimi rapporti con le forze dell'ordine, con le quali, nonostante la giovane età (25 anni), i due hanno intrattenuto, negli anni, diverse chiacchierate aventi come oggetto reati di varia natura.

I resoconti di cui sopra, tutti concordanti tra loro, riportano, oltre agli elenchi di mobili ed immobili appena riportato, l'incredulità ed il dolore della madre per quanto accaduto. C'è da capirla: quale madre non si sentirebbe così di fronte all'incarcerazione dei propri figli con un'accusa tanto infamante? I fallimenti sono duri da digerire. E quello sul fronte educativo, deputato come è in buona parte alla famiglia d'origine, è quello che riserva più dolori. Sorprende, però, che nessun sospetto sia emerso quando i due 'bravi ragazzi' hanno portato - immagino con orgoglio incontenibile - lei e papà nella nuova casa, attrezzata di tutto; quando, presumibilmente, li hanno ricoperti di attenzioni materiali di ogni genere; quando, sebbene titolati al reddito di cittadinanza, d'improvviso hanno smesso di vivere l'angoscia dell'arrivare sani e salvi a fine-mese. È davvero un bel paese, il nostro, avranno pensato: i nostri ragazzi faticano a trovare lavoro - come tutti, d'altronde. Ma, nonostante questo, non gli manca niente. Possono fare una vita normale. Hanno pure la fidanzata!

Com'era inevitabile, in un paese socialmente abbruttito qual è oggi l'Italia, all'indomani del pestaggio si è subito parlato di fascismo, di clima di intolleranza promosso dalla politica, di tecniche d'attacco sistematicamente praticate in palestra, di assenza delle istituzioni. Non uno che abbia concentrato l'attenzione sulla famiglia, intesa come luogo di formazione, come il posto dove, per la prima volta, come ho accennato poco fa, viene insegnata ai piccoli la fondamentale differenza tra bene e male. 'Fanculo alla retorica: che razza di famiglia sia, quella di questi fratelli picchiatori, lo possiamo facilmente immaginare senza nemmeno l'aiuto della folla di psicologi, psicoterapeuti, criminologi e filosofi che ormai popola ogni talk show, dispensando consigli per ogni ambito dello scibile umano. Dal melo fiorisce la mela, e dal banano la banano. Di meli che producono banane non se ne ha notizia. Questi due fratelli sono così perché così sono stati cresciuti, perché sono il frutto biologicamente determinato dell'albero che li ha fatti germogliare. Papà e mamma stavano bene così, senza porsi troppe domande. Sopra le regole, si vive senza preoccupazioni. E allora 'avanti!', ché la vita te ne da già tante di suo, senza che noi se ne debba cercare altre. È il familismo italico. Un male antico e non ancora estirpato. Altro che Covid19! Una giustizia efficiente confischerebbe seduta stante tutti i beni di una simile famiglia, donandone i proventi a quella della vittima.

Ma, nel paese del family day, è molto più facile – e conveniente – dare la colpa a Benito Mussolini.

Nessun commento:

Posta un commento