Stavo passeggiando con mia figlia, in questi giorni che la vedono impegnata in un pressante recupero del programma scolastico preemergenza, quando la pubblicità della nuova sede aronese del British Institute mi si è parata davanti in tutta la sua tracotanza: POWERFUL PEOPLE, PREPARATI A DIVENTARE CIÒ CHE VUOI, L'INGLESE È POTERE. Slogans da Grande Fratello orwelliano, ma tant'è.
Premo molto, sull'Inglese, con la mia 'piccola speranza urbana Parenzan'. Non perché io sia persuaso della sua effettiva utilità, bensì per un discorso molto più ampio, non esauribile con la semplice impartizione di una seconda lingua, che è quello del conoscere da vicino e con sforzo apprezzabile una diversa compagine del pianeta terra, così allontanandosi dalla pericolosa, per quanto innocente, illusione di essere senza dubbio, in quanto italiana, al centro dell'universo.
Detto questo, mi sembra che la recente azione promozionale di British Institute rappresenti un tentativo ultimo, disperato, di conferire attrattiva ad una lingua che per la stragrande maggioranza degli italiani non solo non ha più, specie da quando nazioni cosiddette emergenti (pensiamo a Cina e Brasile) hanno fatto la loro comparsa sul mercato globale con conseguente imposizione dei propri idiomi: non l'aveva nemmeno quando era davvero la qualifica curricolare in grado di fare la differenza, quando poteva determinare un'assunzione!
Non conosco i dati riguardanti le iscrizioni all'istituto, e me ne guardo bene dal discutere la qualità dell'insegnamento che vi è impartito. Dico, però, che a tentare di persuadere le persone riguardo le affermazioni riportate in apertura si rischia la circonvenzione d'incapace. Chi altri può infatti credere in una volontà di potenza misticamente conferita dalla lingua Inglese, come nella faustiana possibilità di trasformazione in ciò che si vuole, se non un perfetto sprovveduto (sulla cui predisposizione all'apprendimento di una seconda lingua vi sarebbe poi da discutere a lungo)? Coloro che possiedono un buon Inglese saranno anche potenti, ma quando è il momento, credetemi: lo prendono in culo esattamente come i tanti illettarati di questi nostri poveri giorni. Quanto poi al diventare ciò che si vuole, la mia esperienza personale, dolorosa, dice che ben altre qualità servono oggi per farsi largo in ambito lavorativo, se è questo che si intende. Ma questa è un'altra storia, meritevole di essere raccontata, bisognosa però di uno spazio tutto suo.
Detto questo, mi sembra che la recente azione promozionale di British Institute rappresenti un tentativo ultimo, disperato, di conferire attrattiva ad una lingua che per la stragrande maggioranza degli italiani non solo non ha più, specie da quando nazioni cosiddette emergenti (pensiamo a Cina e Brasile) hanno fatto la loro comparsa sul mercato globale con conseguente imposizione dei propri idiomi: non l'aveva nemmeno quando era davvero la qualifica curricolare in grado di fare la differenza, quando poteva determinare un'assunzione!
Non conosco i dati riguardanti le iscrizioni all'istituto, e me ne guardo bene dal discutere la qualità dell'insegnamento che vi è impartito. Dico, però, che a tentare di persuadere le persone riguardo le affermazioni riportate in apertura si rischia la circonvenzione d'incapace. Chi altri può infatti credere in una volontà di potenza misticamente conferita dalla lingua Inglese, come nella faustiana possibilità di trasformazione in ciò che si vuole, se non un perfetto sprovveduto (sulla cui predisposizione all'apprendimento di una seconda lingua vi sarebbe poi da discutere a lungo)? Coloro che possiedono un buon Inglese saranno anche potenti, ma quando è il momento, credetemi: lo prendono in culo esattamente come i tanti illettarati di questi nostri poveri giorni. Quanto poi al diventare ciò che si vuole, la mia esperienza personale, dolorosa, dice che ben altre qualità servono oggi per farsi largo in ambito lavorativo, se è questo che si intende. Ma questa è un'altra storia, meritevole di essere raccontata, bisognosa però di uno spazio tutto suo.
Ho scritto diverse volte sull'argomento, dedicandovi interi articoli o brevi escursioni polemiche. Sono puntualmente toccato sul vivo, quando si parla dell'Inglese, e ne ho ben donde: ho conseguito una buona conoscenza, parlata e scritta, di questa lingua quando già aveva mostrato i segni della sua inarrestabile decadenza (processo giunto a compimento con la Brexit, il suo tumulo). Non ne sono pentito, sia chiaro: lo sforzo di apprendimento rispondeva ad una esigenza conoscitiva, personale e culturale non sopprimibile. Grazie alla lingua Inglese, posso davvero dire di avere visto la luce, ad un certo punto della mia vita. Da qui a farne un passe-partout per ogni tipo di carriera, però, ne passa. Si prenda l'aeroporto come esempio, un luogo dove la leggenda voleva che l'Inglese fosse non la lingua comune, franca, bensì la prima, l'unica, l'essenziale. Coraggio: quand'è l'ultima volta che in partenza vi siete imbattuti in un aeroportuale dall'Inglese stupefacente? Tutt'al più, chi si è occupato di voi avrà dato mostra di una conoscenza cristallizzata dalla ripetizione e di un livello da scuola superiore, intendendo con questo un livello non eletario, accessibile a chiunque si dica disponibile ad uno sforzo di apprendimento basic - appunto.
Per tornare alla campagna pubblicitaria del British Institute, mi sembra che quella scelta per - suppongo - uscire dallo stallo del lockdown (ops!) sia vecchia ed inadeguata nei contenuti (sempre che si voglia credere la pubblicità come in grado di veicolare un qualsivoglia contenuto), un po' come quelle aziende fuori dal tempo che ancora si affidano a formule del tipo 'il tempo è denaro' (ve ne sono: le ho viste di persona).
Avvertire il bisogno di una seconda lingua rappresenta un sommovimento culturale in grado, in determinate condizioni, di farci sentire un tutt'uno con la nostra più genuina umanità. Infatuarsi di una lingua e del popolo che ne è portatore rappresenta una delle avventure conoscitive più appaganti che possano essere vissute.
Ma avvicinarsi a questa per sopravvivenza e per soddisfare esclusivamente le spinte commerciali del mercato globale odierno, significa trasformarla in un mezzo di comunicazione impersonale ed imperativo le cui tragiche e traumatiche conseguenze la storia umana ha già vissuto in tempi non così lontani.
Per tornare alla campagna pubblicitaria del British Institute, mi sembra che quella scelta per - suppongo - uscire dallo stallo del lockdown (ops!) sia vecchia ed inadeguata nei contenuti (sempre che si voglia credere la pubblicità come in grado di veicolare un qualsivoglia contenuto), un po' come quelle aziende fuori dal tempo che ancora si affidano a formule del tipo 'il tempo è denaro' (ve ne sono: le ho viste di persona).
Avvertire il bisogno di una seconda lingua rappresenta un sommovimento culturale in grado, in determinate condizioni, di farci sentire un tutt'uno con la nostra più genuina umanità. Infatuarsi di una lingua e del popolo che ne è portatore rappresenta una delle avventure conoscitive più appaganti che possano essere vissute.
Ma avvicinarsi a questa per sopravvivenza e per soddisfare esclusivamente le spinte commerciali del mercato globale odierno, significa trasformarla in un mezzo di comunicazione impersonale ed imperativo le cui tragiche e traumatiche conseguenze la storia umana ha già vissuto in tempi non così lontani.
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