mercoledì 21 settembre 2016

Varie ed Eventuali

In un periodo caratterizzato da una pletora di argomenti di assoluta rilevanza, eccone cinque che mi hanno particolrmente irritato.

Charlie Hebdo

Ha fatto discutere la vignetta del settimanale satirico sul terremoto in centro Italia. Fiumi di parole e nessuna vera analisi critica dei contenuti. Tranne quella di Daniele Luttazzi – passata naturalmente sotto silenzio-stampa (a riprova che gli ordini di Berlusconi valgono ancora oggi come encicliche papali). Ditemi perché, se è sensato chiedere lumi ad un politologo quando non capiamo un cazzo della politica nostrana, non lo è rivolgersi ad un autore satirico quando non si capisce una battuta? Quella di Luttazzi è una spiegazione chiara; diretta; compressa in un lessico appropriato; capace di fornire anche agli sprovveduti criteri di lettura affidabili. Andate a leggerla: ne uscirete arricchiti. Pochi sono in grado di interpretare il presente come fa Daniele Luttazzi per mezzo della propria tecnica satirica. Che la televisione italiana tutta abbia estromesso un talento come il suo, la dice lunga sulla condizione ideologico-culturale della televisione italiana. Tutta.

Il Ciclone

A Radio Deejay hanno definito “film storico” Il Ciclone di Leonardo Pieraccioni. Motivazione: il dicembre prossimo la pellicola compie 20 anni. Un po' come quando ti dicono che a diciotto sei 'maturo'. Pieraccioni come Bergman, quindi. Mi rendo conto della sterilità di questa mia nota scritta: nulla di diverso da quanto qui riportato verrà mai partorito dall'emittente di Via Massena. Il suo pubblico è fatto così: persone che concepiscono la storia come serie di avvenimenti seguiti alla loro nascita. Il compleanno come anno zero. Come per Gesù Cristo. Ciliegina sulla torta: al fine di celebrare lo 'storico' genetliaco, il film è stato proiettato sulla facciata della basilica di Santo Spirito, a Firenze, lo scorso dodici settembre. Leonardo Pieraccioni, dal suo, ha fatto sapere che l'intenzione 'registica', dietro allo sforzo di 20 anni fa, era quella di fornire allo spettatore uno sguardo non tanto sulla vita in Toscana, quanto sull'Italia “nel suo insieme”. Io, che in questi 20 anni, non sono mai riuscito a liberarmi della sua visione (del film, ma anche di Pieraccioni stesso), non ricordo, in sala, spettatori confusi, convinti di assistere ad uno stralcio di vita dello Jutland o della Danimarca “nel suo insieme”. Ad ogni modo, grazie, Leonardo. (Nota a margine. Avete notato l'evoluzione del clero quanto a costume sessuale? Nessuno ha più niente da dire, nel proiettare in faccia ad un edificio sacro sequenze di donne semivestite e sudate, impegnate nella sensuale danza flamenco. Visione consigliata: Spotlight, di Tom McCarthy).

Nostalgia Canaglia

Filo diretto con gli ascoltatori nel corso della rassegna stampa del mattino di Radio Rai 3. Con voce commossa una radioascoltatrice notifica il conduttore dell'immenso piacere provato nel rivedere Cesare Salvi (!) alla recente reunion dei dalemiani qualche settimana fa. È proprio un paese di nostalgici e di retrogradi, il nostro. Come si può provare piacere di fronte a simili riesumazioni? Chi è in grado, senza pensarci a lungo, di citare un provvedimento, una legge, una battaglia, una qualsiasi azione o frase per i quali uno qualsiasi dei politici nostrani degli ultimi 25 anni verrà certo ricordato e rimpianto? Nonostante questo, con persone così condividiamo la cabina elettorale. Emotivi politici. Sapete che ha detto Clint Eastwood recentemente? Che a correre per le presidenziali avrebbe voluto Chesley Sullenberger, il pilota che 2009 ammarò magistralmente nell'Hudson salvando le 150 vite di cui era responsabile – e figura sulla quale si incentra il suo ultimo film. Marchetta? Certo. Sparata? No. Nonno Clint ci ha dato, qui, gli unici hashtags sui quali si dovrebbero concentrare tutte le nostre riflessioni social: civile e responsabile. #civile, #responsabile. Meditate, gente. Meditate.


Bridget Jones' Baby

Ecco un bel film per l'italietta del Family Day, che si appresta ora ai festeggiamenti nello spinoff dedicato alla fertilità. È proprio vero che, se un grande come Colin Firth non può permettersi di rifiutare una simile indecenza, a livello di grande-produzione, la libertà artistica è inesistente - e che, anche nell'Inghilterra della Brexit, se non fai un figlio, ti rompono i coglioni. Il caso vuole che da noi il film esca a ridosso del Fertility 'Fuckin' 'Day. (Ricordate il prologo di Magnolia? “Queste strane cose accadono di continuo.”.). Nel cast anche Patrick Demsey, lo Stranamore di Grey's Anatomy, stanco delle scopate in corsia. Di chi sarà il marmocchio? Grey's Nursery. Shit, Actually.

Vasco Rossi & Il Fertility Day

Ho impiegato trent'anni a capirlo, che Vasco Rossi è un cantautore di razza (perdonami, Blasco). Del 1983, infatti, la strofa “Credi che basti avere un figlio / per essere un uomo e non un coniglio”, dal brano Deviazioni. Coraggioso e profetico (nota per gli aderenti alla Lega: facile oggi strumentalizzare un altro celebre verso Rossiano come “è andata a casa con il negro, la troia”, quando il culo, sulla graticola, ce l'ha messo un altro). Rincara la dose (mi si risparmi l'ironia, qui, sui trascorsi tossicomaniaci del Rossi, grazie), sul finale, con i versi: “Quante volte, quante dai / C'hai pensato / a me lo puoi dire, sai / Mica ti voglio far del male, dai... / Quante deviazioni hai”. Penso non ci sia slogan migliore per chi, il 22 settembre prossimo, interromperà il coito, in opposizione a questa iniziativa. Personalmente, ritengo di avere avuto le strapalle già al tempo quando di prole non ne volevo: è grazie ad esse che oggi ho una bambina fantastica, e non il contrario.

domenica 11 settembre 2016

Lettera Aperta (al sindaco della mia città)

Egregio Sindaco Gusmeroli,
Mi chiamo Stefano Parenzan e vivo ad Arona.
Scrivo Lei questa lettera aperta, sul tema delle biciclette nella nostra città.
Nelle ultime settimane, passeggiando su due ruote, mi sono ripetutamente imbattuto nei richiami – solo successivamente realizzati come tali – di persone in abiti civili - di fatto, mi è stato poi spiegato, volontari del comune. Al mio indirizzo è stato intimato, in altrettante occasioni, di: non affrontare un percorso non meglio definito; scendere dalla bicicletta; ricordare il rapporto tra carreggiata e marciapiede.
Realizzato, allora, di avere commesso atti che per queste persone sconfinano nell'illecito, giorni dopo ripeto gli identici percorsi alla ricerca della cartellonistica di proibizione e limitazione che, a questo punto, è chiaro io non abbia visto.
Nonostante l'esito negativo della ricerca, ancora stamane parole tra me ciclista e lui pedone.
Mi sono allora chiesto da dove venga questa improvvisa – e del tutto inaspettata – verve normativa. Che è successo a questi concittadini che si ergono a paladini intransigenti dell'area pedonale, insofferenti a che vi si vada rispettosamente, a passo d'uomo, con prole a bordo e financo con carrozzina e passeggino (a quando il cazziatone alle sedie a rotelle in contromano sul marciapiede?)? Ed ho scoperto, in seguito ad una semplice ricerca, che le Sue parole, sindaco Gusmeroli, postate ieri, 2 settembre, alle 8:38, su 'Arona È Nostra', sono state assunte a vangelo da moltissime di queste persone.
Sindaco Gusmeroli, ho molti colleghi che mi chiedono perché io affronti senza ostentare insofferenza i tanti chilometri che mi separano dal luogo di lavoro. Puntualmente rispondo loro che poter crescere la propria creatura in un posto dove si dispone della costa di un lago per passeggiarvi, con tutto quanto questo comporta in termini di qualità della vita, dall'aria buona ai panorami mozzafiato; la dimensione ancora umana dell'abitato, il decoro urbano; la pulizia; i servizi, tutto questo vale la pena di un po' di strada in macchina. Questo ho sempre detto e pensato fino all'avvento della tolleranza-zero nei confronti dei ciclisti, due settimane fa circa.
Certo: non sono persona “senza peccato”. Ho peccato nel non aver sempre rispettato il codice della strada quando in bicicletta. Sono un peccatore, Sindaco Gusmeroli. Ma non sono un intollerante. Questo è il punto. E l'intolleranza che molti aronesi sembrano aver messo in campo trova – ahimè - supporto nell'inflessibilità da Lei manifestata sull'argomento. Inflessibilità della quale Le faccio lode: un sindaco che si rispetti deve regolamentare per mezzo di ordinanze, pena il caos. Ma quelle parole, Sindaco – ne Converrà -, sono state mal interpretate. E Deve porvi rimedio. Le tensioni intraspecifiche – tra aronesi, tra ciclisti pro e contro – non sono segno di salute civica: ne segnano il decadimento. Emetta un'ordinanza dove le biciclette con bambini a bordo vengono assimilate alle carrozzine e ai passeggini, con identica libertà di movimento. Gli spazi che noi genitori impegnamo a volte in maniera eccessivamente disinvolta quando in bicicletta con i nostri bambini si devono semplicemente alla pericolosità dei regolari percorsi urbani. I percorsi (tutti sulla costa) che negli ultimi tre anni ho affrontato con mia figlia a bordo, Deve sapere, sono d'improvviso divenuti terreno di scontri, no-fly zones dove la rissa verbale e fisica è potenzialmente possibile, manco fossimo a Inglewood '94. Questo non è mai successo, prima. È un comportamento da calmierare. E ciò può avvenire solo attraverso un Suo richiamo al buon senso – e rimettendo le funzioni di rilevazione e sanzionamento degli infrattori agli organi preposti, non a volontari.
Lei è il mio sindaco, signor Gusmeroli. Io La riconosco e rispetto come tale. Da me non avrà problemi. Starò alle regole. Sono stato educato così. Ma se Vuole aspirare ad un terzo mandato onorifico, alla Rudy Giuliani, per intenderci – e mi sembra che una persona della Sua ambizione possa permetterselo -, ecco: Regali la città la pista ciclabile che Ha promesso: degna di questo nome, normata, che tolga ai ciclisti come me quegli alibi che, ad oggi, giustificano alcune loro azioni. Avrà, lo prometto, il voto che Le ho negato fino ad oggi.
Con i più cordiali saluti...
SP
(Arona, 3 settembre 2016)

domenica 28 agosto 2016

A Prova Di Proiettile

Premesso che non mi sembra di rientrare nella categoria degli snobs monomaniacali, carbonchiosi, condiscendenti e veramente elitarii; che sull'argomento, esplicitato nel titolo, sono stati scritti fiumi di parole, sovente di eccelsa qualità, spesso da parte di sedicenti fans con palle letterarie di acciaio e passione invidiabile; che questo – utile ricordarlo, periodicamente – è uno spazio personale e pertanto deputato ad ospitare ne più ne meno l'opinione, il pensiero e il sentire del momento di chi lo ha creato e – si suppone – lo gestisce. Premessa inoltre la convinzione di vivere un'era di grandissima difficoltà esistenziale, di malattia mentale dilagante, di crescente aggressività fisica e verbale e di carestia affettiva, mi sono imbattuto nell'ennesimo brano degli amati/abusati Radiohead, che penso meriti dell'attenzione, una pausa di riflessione e magari – perché no? - lo status anomalo di 'consiglio per gli acquisti'. (Premetto anche che, ultimo scritto del genere la-canzone-che-mi-ha-fatto-innamorare [bleah!], dal prossimo post si tornerà a parlare di calcio, puttanelle, tronisti, politici, video virali, polemiche social e rimbambiti vari, argomenti che sembrano non conoscere eclissi alcuna, garantendo nel contempo statistiche di visualizzazione da capogiro).
Non ho mai amato particolarmente The Bends, il secondo disco in studio dei cinque di Oxford. Iniziai ad apprezzarli morbosamente in tarda età (a dispetto del clamore discografico e culturale), grazie a mia moglie, quando erano già, a ragion veduta, a leggenda vivente. Era l'anno 2003. Il riferimento discografico Hail To The Thief. Ed essendo, quest'ultimo, un disco di conferma del percorso intrapreso tre anni prima con Kid A, pose dei paletti profondi nel catalogo del gruppo, facilitando il mio ascolto nei confronti dei lavori successivi a The Bends. (A beneficio dei più giovani e dei non credenti: il culto - prima sotterraneo, poi di superficie – che ha interessato questa band fin dagli esordi, è ben esemplificato dalla spedizione, in quel di Londra, che un gruppuscolo di giovani di una piccola frazione sui colli sopra Arona organizzò nella speranza di far coincidere lo sbarco a terra con un live dei nostri - in un lontano 1994 dove gli U2 occupavano ad esaurimento-posti i gusti di massa europei e statunitensi, il quintetto inglese aveva alle spalle un solo disco, e le politiche a basso-costo del trasporto aereo, unite alle comodità web, non esistevano [cosa che complicava questo tipo di trasferta di non poco, quasi sempre costretti a viaggiare su voli charter di babbioni inglesi al rientro dall'italian trip: per capirci, gli stessi che due mesi fa – sicuro – hanno votato a favore della Brexit. Grazie al cazzo, fellas.]). Generalizzando molto, si tende a considerare come 'd'esordio' i primi due dischi, Ok Computer come transizione verso una cifra stilistica radicalmente nuova, i due successivi come la grande svolta, e quindi un graduale dissolversi nel mito, fino ai giorni nostri. In preda a quella noia mortale che l'estate insiste a voler elargire, ho riascoltato The Bends. Con piacere. Al momento di Bulletproof... I Wish I Was, ho avuto la sensazione netta di un'illuminazione: fu in quel brano che le incrinature nello stile musicale dei Radiohead diedero vita a quel percorso di crescita artistica e cambiamento che ha forse un unico, illustre precedente: i Beatles di Rubber Soul.
Mi sono sempre domandato quale sensazione può avere provato Thom Yorke, il giorno nel quale ha lasciato lo studio di Abbey Road per tornare in albergo - o magari a casa, vista la vicinanza con Abingdon OX-, dopo avere registrato la versione di Bulletproof... I Wish I Was che è possibile sentire alla traccia nove di The Bends. Non fosse per i suoni che si suppone siano stati sovraincisi alle parti di voce e chitarra, il brano presenta la struttura classica della ballata. Ma sono proprio queste tracce, una delle quali apre la registrazione, a costituire quella massa liquida, semovente, che regala all'ascoltatore attento la sensazione di qualcosa di prossimo d accadere, un'inquietudine che accentua le immagini di disfacimento, desiderio di morte e di esibizione della propria intrinseca fragilità presenti nel testo.
Limb by limb, tooth by tooth

Tearing up inside of me

Every day, every hour

I wish that I was bullet proof
Wax me, mould me

Heat the pins and stab them in

You have turned me into this

Just wish that it was bullet proof,

Was bullet proof
So pay the money and take a shot
Lead-fill the hole in me
I could burst a million bubbles

All surrogate and bullet proof

And bullet proof

And bullet proof

And bullet proof
Arto dopo arto, dente per dente
Mi lacera da dentro
Ogni giorno, ogni ora
Ho sperato d'essere resistente a tutto
Ricoprimi di cera, modellami
Prepara gli aghi e piantaceli dentro
Tu mi hai reso così
Solo speravo di essere resistente a tutto,
Resistente a tutto
E allora paga e concediti un colpo
Colma di piombo il mio vuoto
Potrei scoppiare mille e mille bolle
Tutte quante finte e a prova di proiettile
E a prova di proiettile
E a prova di proiettile
E a prova di proiettile
Ancora una volta il cantato di Thom Yorke si rivela una miniera di sensibilità e delicatezza. Reo confesso nel riconoscere la propria pronuncia come non esattamente received, da scuola di dizione, strega chiunque ancora serbi un briciolo di umanità ed empatia già dal primo verso, con quelle tipiche sillabe smozzicate in grado di rendere in modo spaventoso questa condizione di fragilità allo stremo.
Così come un identico ammontare di sanità psichica facilita il tentativo di non invidiare il protagonista della canzone, pronto ormai al colpo di grazia.
Eppure... Eppure c'è quell'arpeggio vagamente frattale, luminoso, sovraincisione di due chitarre, che fa la sua comparsa al termine della seconda strofa. E che viene ripreso più avanti, fino a chiudere la traccia. Perché così bello? In tonalità maggiore. Carico di speranza. Sembra una dichiarazione in punto di morte, questo arpeggio, sulle parole “was bullet proof”. Il suo autore (del brano) non ha mai fornito, al riguardo, molte indicazioni, disponibile, evidentemente, a lasciare che l'ascoltatore colga nell'opera tutto quanto più chiaramente risuoni dentro di esso (dentro l'ascoltatore). Personalmente nutro la convinzione che in questo inserto di inaspettata positività si sia cercato di convogliare un messaggio ad esaltazione della fragilità. Ho sofferto all'inverosimile – dice il cantato – per le scelte che ho fatto. Ne ho pagato il prezzo fino al dovuto. E lì ho scoperto di non essere, come pensavo, 'a prova di proiettile': sono fragile, un cristallo. Ma questo sono io: nessuno ne ha colpa e nessuno pagherà per questo. È l'arpeggio a comunicarlo: sono fatto così.
Dicevo: mi sono sempre domandato quale sensazione può avere provato Thom Yorke, quel giorno. Ho una risposta: la sensazione di avere comunicato qualcosa, in maniera profonda, il più possibile sincera, e di avere lasciato di questo processo di confessione una testimonianza incantevole. Un capolavoro.
Non è infatti il non-detto, l'origine delle nostre più profonde nevrosi?

iUn grazie a DFW.

lunedì 8 agosto 2016

Il Vero Amore

AVVERTENZA! I paragrafi che seguono, contengono opinioni che, per espressa volontà dell'autore, possono essere impiegati in pubblico quando in presenza di soggetti arroganti, presuntuosi, saccenti e musicalmente illetterati, e ciò al fine socialmente utile di riportare il dibattito cultural-musicale nelle rispettive sfere di competenza. L'autore si impegna, inoltre, a non adire le vie legali a tutela della propria produzione di pensiero. Ugualmente ogni utilizzo delle suddette opinioni andrà comunicato all'autore tramite ricevuta fiscale recante dicitura n°1 Spritz, Pagato (Bar I Bastioni, Piazza Gorizia 1, Arona [chiedere di Fays Diversamente Bello]) o, in alternativa, con ricevuta di bonifico attestante l'avvenuta donazione ad ONLUS di propria scelta purché operante nella lotta all'abolizione del decespugliatore a scoppio. Non fiori, ma opere di bene.

Nell'ormai lontano anno 2001, gli inglesi Radiohead pubblicarono una raccolta di brani dal vivo intitolata I Might Be Wrong: Live Recordings. Dodici brani che, definitivamente escludendo – e quasi negando –, la produzione degli esordi, pescavano nel bacino seminale dei due ultimi lavori, Kid A ed Amnesiac. Unica eccezione: l'inedito, a chiusura del disco, True Love Waits.
I'll drown my beliefs...
Dai tempi di Ok Computer, True Love Waits aveva cercato forma e collocazione, senza però trovarla in alcuno dei lavori citati. Da qui l'idea di liberarsi della sua presenza fantasmatica includendola nella raccolta dal vivo - operazione che, dal punto di vista commerciale, rispondeva a quelle regole del mercato discografico che i cinque inglesi avrebbero sovvertito radicalmente, sei anni più tardi, con la pubblicazione di In Rainbows, mediante la formula “Pay What You Want” ed un'iniziale, esclusiva distribuzione on-line. Ma ecco che, come una nevrosi rimossa, a quindici anni di distanza True Love Waits riappare, in un arrangiamento sofisticato e inquietante, all'interno dell'ultimo A Moon Shaped Pool. Traccia 11. Di nuovo a conclusione di un disco.
Per una serie di ragioni che andranno delineandosi nel testo, chi scrive è rimasto affezionato (stregato?) alla precedente versione, la cui struggente bellezza costituisce l'oggetto di questo scritto. Si tratta, nella sostanza, di un brano tonale (do maggiore, con un solo accordo estraneo ad allargare la tonalità alla fine di ogni verso) per voce e chitarra acustica. Il testo - di una commovente disperazione -, come spesso accade nella produzione del quintetto inglese, è attribuito al collettivo (all songs written by Radiohead...). Ed è non poco interessante il fatto che cinque teste 'radiosonore' come quelle in questione abbiano concordato nel ritenere il solo sottofondo di chitarra adeguato alle esigenze espressive della canzone.
… And wash your swollen feet...
Thom Yorke è, senza possibilità di discussione, una delle figure più asimmetriche dell'arte di oggi, somaticamente e musicalmente. Disforico nel personaggio del rocker, della rockstar, ha mostrato, nel tempo, una crescente, naturale predilezione per ritmi dispari e sincopati, e per un falsetto la cui funzione iniziale era principalmente quella di discostarsi dagli stereotipi delle voci piene – pur con tutte le possibili sfumature timbriche -, tipici delle figure suddette. Divenuto, suo malgrado, un marchio distintivo, il falsetto a la Yorke ha in qualche modo influenzato la produzione testuale del gruppo, che sempre di più si è improntata a tematiche legate a stati psicologici (Paranoid Android, The National Anthem), all'individuazione di inusuali luoghi di sofferenza umana (Everything In Its Right Place, Where I End And You Begin) e a delicatezze dettate dalle singole sensibilità (Nude).
… I'm not living,
 I'm just killing time
...
Urge, a questo punto, specificare le motivazioni che hanno spinto chi scrive ad occuparsi di questa canzone, e perché proprio in questo momento.
26 luglio 2016. ore 21:35. Autostrada A1. Altezza Napoli Nord/San Nicola. Una pattuglia della Polizia Stradale rinviene, nel corso di un pattugliamento d'ordinanza, la presenza di un corpo umano legato con degli stracci all'asse di un TIR. Si tratta di un ragazzo afgano di quindici anni che, stando alla documentazione di trasporto esibita dall'ignaro autista, uno spagnolo, ha viaggiato in quelle condizioni dalla Grecia. I parametri vitali sono ai minimi fisiologici, ma il giovane è vivo, e le cure pietosamente somministrate presso il vicino ospedale gli salvano la vita.
… Your tiny hands...
Al leggere questa notizia ho pensato: bene, potrei piangere. O, al contrario, fare finta di nulla. O, ancora, estetizzare questa sensazione rifugiandomi in un ascolto musicale, nella atavica speranza che la buona musica mi preservi dal divenire un mostro di cinismo e di insensibilità. Opto per quest'ultima soluzione, la via più facile. Allora mi chiedo: se, come sosteneva Foster Wallace, scopo dell'arte è quello di farci sentire meno soli, più vicini gli uni agli altri, esiste oggi, nella musica, un'opera che assolva a questa funzione? Capace di rappresentare i sentimenti che insorgono di fronte ad un simile orrore? In grado di descrivere i postmoderni luoghi dell'amore violato così come quelli dell'amore atteso? Ed ecco che, dopo un poco, mi torna alla mente una canzone. La canzone che chiudeva un disco.”
… And true love waits

In haunted attics...
Ha ragione Mauro Covacich: nella moderna cultura occidentale non vi è nulla di più profondo della musica dei Radiohead, nulla che più di essa si adatti a descrivere questo nostro tempo, colonna sonora di un'umanità dolorante e poesia in grado di risvegliare sentimenti pericolosamente assopiti. Il vero amore. Pensiamoci. Non più quello che la nostra generazione è stata addestrata a dare, bensì l'amore che chiama, urge, pretende di essere colto lì dove il suo bisogno è vitale, ma sempre senza alzare la voce. Esattamente come fa Thom Yorke in questa esecuzione mozzafiato. Il vero amore non va in diretta streaming e neanche via satellite. Il vero amore sa attendere.
… 
And true love lives

On lollipops and crisps...
Si è passati dalla gioventù bruciata alla gioventù violata. Dalle soffitte popolate di fantasmi al semiasse di un camion in corsa.
I miei quindici anni sono stati, almeno formalmente, un bel periodo, esente da grandi traumi. Eppure la rabbia di quei giorni, l'inadeguatezza, la frustrazione, sono ancora facilmente richiamabili alla memoria. Credo sia stata, generalizzando, l'esperienza di molti coetanei e connazionali. Penso, allora, alla rabbia che può passare nella testa di un quindicenne costretto ad abbandonare tutto – tutto - nel tentativo, privo di certezza, di una vita non dico migliore, ma quantomeno diversa da quella dell'Afganistan 2016. Che per fare ciò è costretto a legare il suo corpo vergine al ventre di un autotreno, dal suo paese a casa nostra. E che, salvato per miracolo al termine del viaggio, si veda rispedito a casa. Ecco. Potrebbe balenare, in questo ragazzo - questo figlio indifeso che nella mia mente bacata continuo a chiamare Senzanome, come il fragile personaggio dei Minicuccioli - una sana idea di vendetta, una fantasia in grado di riscattarlo da un esperienza che nemmeno Primo Levi avrebbe avuto remore nel definire concetrazionaria-postmoderna. Può essere che il lieto fine - dove per tale è da intendersi il semplice essersi salvato, e non la becera visione, frutto di troppo brutto cinema, di chi, nei commenti alla notizia, ha gioito (Rejoice) al pensiero del ritorno a casa del giovane, tra le braccia della genitori), l'inesperienza, la mancanza di un metro di giudizio rispetto allo stile di vita della vecchia Europa, gli consentano di rimandare la stesura di detto piano all'età della maturità. E verrà quel giorno. I contorni della sua tragedia personale diverranno nitidi. La storia che studierà gli dirà di come la stessa Europa presso la quale ha cercato rifugio senza trovarvelo, abbia condotto alla morte, il 10 settembre 2001 (!!), Ahmad Shah Massoud, inascoltato, al termine di due giorni di sfiancante, burocratica attesa nelle stanze del potere di Bruxelles - l'unica figura in grado, allora, di garantire al suo paese l'Afganistan dei Talebani, uno sforzo per una vita diversa da quella che lo ha costretto sull'asfalto caldo e veloce di un'estate della sua gioventù. Si persuaderà, forse, che quel Cristo tanto venerato dagli europei non era poi così grande, se questi sono tanto indifferenti, e si rivolgerà ad altro profeta. Un momento di feroce, spietata lucidità, dicevamo, che potrebbe avere luogo e trovare sfogo in un bistrot, ad una fermata della metropolitana, allo stadio, in un centro commerciale, nella hall di un aeroporto, in una chiesa o ad uno dei concerti ai quali noi occidentali amiamo darci appuntamento 'per fare casino'. Il concerto di un quintetto inglese, magari. Durante una canzone i cui versi finali fanno...”
… Just don't leave
...
...
Don't leave

True Love Waits è una delle canzoni più belle, commoventi e rappresentative di questo nostro tempo travagliato.

venerdì 22 luglio 2016

Live: Musica Nuda

MUSICA NUDA
Centro Eventi Il Maggiore
Verbania (VB)
20/07/2016
Della considerazione di cui gode Musica Nuda, il duo di Ferruccio Spinetti e Petra Magoni, è indice l'inserimento nel cartellone del Midsummer Jazz Festival di Stresa, a fianco di nomi del calibro di Jack Dejohnette, Carla Bley e Ray Hargrove, dichiarati dallo stesso Spinetti “i musicisti che io e Petra più amiamo ascoltare.”. (Premetto che questa, data la collocazione all'interno di un blog, è recensione redatta nei panni dello spettatore, e non del critico – figura, la prima, che però ben si addice a descrivere l'incanto, a tratti persino infantile, di un concerto di Musica Nuda, considerato che l'aspetto musicale è già stato ripetutamente e giustamente valutato nelle sedi specializzate).
Già ospiti a Verbania nel 2010, la rassegna li ha accolti nel nuovissimo centro eventi polifunzionale Il Maggiore, quasi a testimoniare, per mezzo di una sede appropriata, l'indiscutibile crescita artistica e consensuale di questa formazione (duole constatare, invece, la diversa considerazione da parte del capoluogo di provincia che, sei anni fa, fece suonare Magoni e Spinetti esattamente lì dove oggi poggiano le fondamenta de Il Maggiore, e che allora era un'area dismessa, all'aperto, malarica per il convergere sul luogo delle acque del lago e di un suo affluente, luogo periferico ed ai più invisibile).
Assistere ad un concerto di Musica Nuda, è un po' come trascorrere la villeggiatura sulle pendici di un vulcano attivo (non me ne voglia Ferruccio Spinetti, che è campano, e potrebbe vedervi qui un attacco alla Sgarbi/Salvini: non puoi apprezzare Musica Nuda se ami Sgarbi e Salvini). E questo per effetto, principalmente, della voce di Petra Magoni. Nel suo assoluto controllo del mezzo sonoro questa cantante nasconde una vitale, primitiva potenza lavica, pronta ad esplodere una volta a voce calda. Si contorce, si accascia, scalcia ritmica, avanza le pelvi e divarica le gambe, compiendo insomma ogni movimento consentito al fine di ottenere un parto fonetico ottimale - e riuscendovi. Personalmente non ho mai avuto esperienza dal vivo di una cantante come Petra Magoni. Quando la sentii, io, floydiano, sei anni fa, attaccare con la voce il solo di Another Brick In The Wall nello stesso registro utilizzato da Dave Gilmour con la chitarra, ebbi per un attimo la sensazione di trovarmi di fronte ad una mostruosità. La voce di Petra Magoni è materia che non abbonda, in ambito musicale. A parte il ventaglio di soluzioni vocali cui si è appena accennato, regala, dal vivo, le meraviglie – l'incanto – del verso sussurrato, dello scatting rapidissimo e leggero, dell'impennata in grado di ritrovare subito l'equilibrio dinamico adeguato al momento musicale. E del divertissement quando affronta la canzone anni trenta o le hits da varietà. Per chi è stanco di certe urlatrici nazionali – e chi scrive lo è -, Petra Magoni è antidoto e cura.
Avendo, per chiara scelta stilistica, ridotto la musica ai suoi minimi denominatori (una eliminazione di Gauss improntata artisticamente), l'accompagnamento di Ferruccio Spinetti è assolutamente all'altezza del progetto, incessante e sfiancante (lungi dal pretendere per sé pause esecutive, a metà concerto si è lanciato in un solo che chi scrive ha riconosciuto come variazione su Fragile di Sting), anche quando si limita ad un basso fondamentale. Poco rimane da fare, sullo strumento, dopo una prestazione così. È intonato (altro particolare non segretabile, in duo), con un suono pieno e rotondo. Italico.
Ciò che impressiona maggiormente, se già si è avuta esperienza di questa formazione, è la crescita musicale dei due (si tenga presente che si parla, qui, di valori millimetrici: giocandosi, questo incontro, ad un livello artistico alto e in una formazione impietosa quale il duo, è un po' come parlare del decimo di secondo sul quale si stabilisce un record mondiale ai giochi olimpici. O della differenza che passava tra i Lakers di Magic Johnson e i Bulls di Jordan).
Intrattiene il pubblico per un'ora e mezza ininterrotta, Musica Nuda. L'incanto cui si è fatto riferimento in apertura, consente magicamente di distogliere la nostra inconscia attenzione dagli orrori macroscopici di questi tempi, dalla Promenade des Anglaise al Bataclan, passando per il dramma non trascurabile dell'essere giovani nella Turchia anno 2016.
Ecco perché musica Nuda è una realtà musicale di nicchia: antepone la bellezza e la sofisticatezza – rara – di una cosa piccola al conturbante rappresentato da tutto quanto è facile urlare, enfatizzare pubblicamente, esagerare ed esibire. Ha la raffinatezza di un piccolo cristallo, opposto ai falsi, volgari bassi profili fatti di smoking bianco con sombrero.
E perché sono italiani purosangue.

Da sentire.

martedì 21 giugno 2016

Brexit Music (for a film)

Cara Inghilterra,
Ti scrivo con un nodo alla gola.
Giovedì prossimo ti attende una giornata storica – sebbene destinata ad essere tale solo se deciderai per il 'sì'. Leave.
È quindi giusto che tu sappia come mi sento, e come mi rapporterò a te d'ora in avanti, qualunque sia l'esito referendario.
Sei stata per me una madre: di libertà, di stile, di costume sociale e politico. Sei colei che ha cambiato certi tristi pomeriggi dell'adolescenza in provincia in un fantasticare stimolante.
E nonostante questo stai facendo capire a chiare lettere che te ne vuoi andare. Che di chi ti ha davvero amato, alla fine, poco ti importa. Come, alla fine, poco importa che giovedì il caso, o chissà quale altro fattore, ti obblighi a rimanere: ai miei occhi sarai, purtroppo, la madre che ha dichiarato apertamente di volersene andare.
Ti ricordi come è iniziata?
Era il 1983. Avevo tredici anni quando la voce adulta di un uomo passò in alta definizione dalle cuffie alle mie orecchie. Mi dissero si chiamava Roger Waters, veniva dall'Inghilterra, aveva un gruppo chiamato Pink Floyd ed insieme a loro faceva dischi belli strani. La canzone era Paranoid Eyes. Fu amore a prima vista.
Mi innamorai della tua lingua. Feci la mia prima ricerca seria di geografia, nel tentativo di scoprire dove stavi. Iniziai lo studio dell'Inglese. Scoprii, con grande confusione ideologica e cronologica: il dark, il punk, i mods, la leggenda degli Iron Maiden, i Clash, i Cure dal vivo ad Hammersmith; gli Smiths, Maggie Thatcher, la questione irlandese, i film di Ken Loach. Fu una discesa senza freni verso la scoperta della cultura anglosassone. Con tutti i limiti dell'età e di un adeguato retroterra culturale diventai anglofilo. Scoprii subito dopo la tua più grande filiazione, gli Stati Uniti d'America. E furono per me come quegli zii e quei cugini con i quali si instaura magicamente un rapporto speciale.
Una sera di tanti anni fa un'amica di famiglia si tolse tragicamente la vita dopo avere effettuato una telefonata di cortesia per salutare tutti noi. Sai quale fu la prima cosa che transitò nella mia testa di ragazzo? Ian Curtis. I Joy Division, Love Will Tear Us Apart. A Day Without Me.
La mia vita adulta non è stata molto diversa, nella ricerca. Tutto un fagocitare che passava da Tony Blair e l'accordo di Stormont alla Cool Britannia, dai Mötorhead ai film di Jim Sheridan; Frederick Forsyth e la RAF; la prima antenna parabolica ed il primo telegiornale BBC a casa nostra; i Beatles scoperti a ritroso; Stanley Kubrick e gli studi di Elstree Pinewood; i Blur; Morrissey; il dub di Bristol.
Tu dici di voler lasciare la comunità proprio nel mentre la Turchia preme per entrarvi. Un paese dove giusto giorni fa gruppi di fanatici hanno malmenato dei giovani che si erano rifugiati in un negozio di dischi del centro per sorseggiare una birra ed ascoltare A Moon Shaped Pool dei tuoi Radiohead – ovvero quanto di più profondo vi sia oggi nella cultura occidentale. Il tutto durante il Ramadan – la loro colpa.
È questa l'eredità che intendi lasciare? Questa, l'Europa libera?
Venerdì mattina sapremo com'è andata. Ma in qualsiasi caso non ti verrà concesso di rattristare la mia giornata. Venerdì è il compleanno di mia figlia, la cosa più bella che abbia prodotto nella vita, la somma perfetta mia e di sua madre. Lo sai che ha un nome che, per scelta, si pronuncia all'inglese? Non fa niente. Perché quello che tenterò di insegnare lei non saranno le chiusure, il classismo, l'indifferenza e la freddezza che sempre più ti stanno caratterizzando in questi tempi Saranno invece l'incitamento alla fratellanza dei film di Ken Loach; il coraggio di osare di quelli che producesti per Stanley Kubrick; la bellezza del suono della BBC Orchestra; il solismo di Julian Bream; gli scritti sull'infanzia di Donald Winnicot; l'imbattibile irriverenza di Never Mind The Buzzcocks; l'autoironia degli Iron Maiden con Mr. Bean; il significato sociale dei Beatles e degli Smiths; la dizione di Jeremy Irons. Sheila Delaney. Mark Ravenhill. William Shakespeare.
Come disse il tuo grande figlio, John Lennon: “Non li perdonerò mai. Ma ciò non mi impedisce di volergli bene”.

E così sarà anche per me.

sabato 18 giugno 2016

Cafonals

Transitare in aeroporto, di questi tempi, senza imbattersi in flottiglie di aspiranti giovani in partenza per l'ultrapagano, postmordernissimo rito dell'addio al celibato/nubilato, è ormai cosa rara. In casi estremi, è possibile assistere a partenze di celebranti non solo per la stessa destinazione, ma persino con lo stesso aeromobile.
Quello che fino ad un decennio fa era, sì, pagano, ma tabuico, aspira oggi alla piena certificazione di categoria 'cafonal', The Cafonal Hall Of Fame - conseguenza delle politiche a basso costo nel trasporto aereo e di un provincialismo che, lungi dall'essere vinto, ha girato in tondo ed ora si morde la coda (o, relativisticamente parlando, guarda lontano, ma ciò che vede è unicamente la propria nuca di provincia).
Ciò che questi personaggi da “tunnel del divertimento” sembrano non avere capito, è roba che in un istituto serio farebbe rischiare l'anno: di tamarri se ne hanno già abbastanza in giro senza bisogno che noi si debba pure subire – magari seduti davanti o dietro di noi - tutta questa ostentazione di falli finti, denudamenti, costrizioni da extraordinary rendition, magliette con slogan esoterico e atteggiamento da branco (reparto uomo); falli finti, abito da sposa alla Vivienne Westwood o – peggio – sbrindellato in stile molestia, vergogna patriarcale e grande insicurezza (reparto donna primavera-estate). Per entrambe le compagini, una quasi totale assenza di senso del ridicolo. E poi: gli splendidi palestrati-lampadati-depilati-tatuati che guidano il futuro sposo, così come le tristissime suorine dall'imbarazzo isterico che reggono il velo delle future spose, con il loro, sottinteso, mal esplicitato 'liberi e belli', cosa intendono quindi comunicarci, che noi già non si sappia?
Ricordo con dolcezza quello che fu l'unico addio al celibato cui abbia preso parte in vita mia. Bill Clinton era alla sua prima presidenziale, quando l'amico Walter ingravidò colei che da allora è sua consorte, e madre dei loro due figli. A differenza di oggi, in quell'occasione si fu anzitutto in presenza di un evento - quale è sempre lo spargimento del seme in maniera poco controllata. (Oggi, era se non priva di eventi degni di questo nome di certo inflazionata da eventi-bufala, manca del tutto la motivazione di partenza. Tutti si sposano, tutti ingravidano, festeggiano, sputtanano e rovinano). Venne organizzato, l'addio, nei boschi, in collina. No movida, no cibo, no crudités, no fica. Niente effetti speciali o colori ultravivaci. Anticipammo le politiche di trasporto a basso costo con una spola delle poche macchine allora a disposizione ed alcune Vespa (con contributo pari a diecimila lire venne acquistato cibo e bevande). Alle dieci di sera di un luglio indimenticabile, nel bosco era buio pesto. In sostanza non successe niente. Ma le leggende di quella notte circolano tutt'ora, elargendo ilarità. Perdemmo una buona parte di innocenza. Nessuno seppe di noi. Non il pronto soccorso e nemmeno alcune delle nostre famiglie (!). Dell'aeroporto non conoscevamo forse neanche la localizzazione.
Non mi sembra possibile (eppure è così) che esseri umani di ultima generazione possano non realizzare che il futuro consorte, durante la tre-giorni, con molta probabilità andrà orizzontale per copione e per la biblica debolezza della carne. Come non mi sembra possibile che l'esemplare medio della specie qui considerata goda di una tale, satanica apertura mentale da consentire ciò mantenendo inalterati i sentimenti. Il Reverendo Marylin Manson asserì - all'incirca ai tempi di The Golden Age Of Grotesque - che egli non si accoppiava promiscuamente con l'intento – reputato debole - di tradire la propria compagna: fornicava per essere performante con quest'ultima. Ecco: non è che sia un discorso, questo, che capiti di sentire di sovente. Scartiamo quindi l'ipotesi numero uno: ampia libertà dei costumi sessuali.
Non è possibile, poi, che un weekend da leoni, anche se condotto all'insegna dell'astinenza sessuale, risulti più facilmente accettabile. Il futuro consorte è chiaramente in fuga (pessimo segnale) o, peggio, succube del branco degli amiconi (altro pessimo segnale: se cedi ad una pressione per nulla paragonabile a quella che può essere sperimentata in un regime di vera convivenza, di condivisione, davvero ti attende l'inferno). Buona fortuna.
C'è un solo vero significato attribuibile all'odierna ritualistica dell'addio al nubilato/celibato: attenuare per mezzo di un'orgia di eccessi la consapevolezza del domani di impegni adulti che ci attendono, la fine delle assoluzioni per mezzo delle attenuanti, l'ingresso nella vita adulta intesa come percorso di scelte dalle quali non vi è ritorno; la fine della gratuità e della giovinezza.

Tutto il resto è noia.