“Non è capace di
riassumere ed appassionarsi ad un testo scritto.”
(da: Indagine OCSE su
Facoltà del Mondo Adulto 2015)
“Ho letto qualcosa del tuo blog. . .
era un po' lungo – oh no? E poi non capivo un cazzo. . . non so.”
Quando tieni un blog, ed uno dei
tuoi lettori si avvicina, di persona, per dire te parole come queste,
beh: son soddisfazioni. Non c'è che dire.
È di oggi (25 dicembre) la notizia dei
risultati di uno studio OCSE, che vedono il nostro paese primeggiare nellla classifica dell'analfabetismo funzionale, con un tasso pari al 47%.
Quando tieni un blog, son soddisfazioni anche queste.
In conseguenza di ciò, tu, blogger, hai almeno un valido motivo (un
alibi?) con cui replicare a cotanto 'complimento'. In più, il dato
spiega in maniera esauriente per quale ragione, ogni santo giorno,
noi si abbia a che fare con schiere di rincoglioniti.
Nel caso in questione – il giudizio
sul blog -, le cose sono due. Partiamo dalla più rilevante,
saluto delle armi con chi me le ha cantate per bene. Ritenendomi
montanelliano in diverse scelte etiche di scrittura, aderisco alla
tesi che segue: se il lettore non capisce, la colpa è di chi scrive,
non di chi legge. Touché, amico: se, come comunicato, non hai
“capito un cazzo”, colpa mia. Da domani solo posts con
cuccioli d'animale e pietanze nostrane.
La seconda vede però i ruoli
invertirsi con simmetrica proporzione. Sempre a seguito delle
succitate scelte, cerco di calmierare i miei scritti con una basilare
quanto antica regola della scuola giornalistica statunitense: una
tesi deve vedere il proprio succo enunciato in non più di settecento
parole. Se non sei in grado di produrti in un simile compito, il
giornalismo non è il tuo mestiere – e la tua facoltà di
comprensione necessita quanto meno di revisione. Tranne quando in
preda alla logorrea, è questa una regola che mi riesce di
rispettare. Quindi niente cuccioli né pietanze.
Se settecento caratteri o poco più
(l'equivalente di due pagine di un qualunque tascabile in commercio)
sono sufficienti per a) decretare la lunghezza del testo come
eccessiva b) impedire di coglierne il senso – per quanto confuso ed
inarticolato -, va da sé che l'indagine dell'OCSE un fondo di verità
ce l'ha – e dichiarare di avere faticato di fronte a settecento o
poco più parole, tradisce il fatto che o da tempo non si leggono più
libri o non li si è mai addirittura letti (Un consesso di linguisti
nerd [ma si può essere linguisti senza essere nerd?],
ha calcolato, nel tempo libero, il numero di parole necessarie
all'uomo sapiens per comunicare. Il vocabolario basic: seicento
vocaboli.).
Si pensi che l'analfabetismo funzionale
è tanto diffusamente riscontrabile nel campione medio della
popolazione (l'esperienza è personale) da non consentire nemmeno più
spontanei moti di spirito da innalzare a difesa (cfr. Senso
dell'Umorismo. Woody Allen colse il dilagare del fenomeno vent'anni
or sono, fissandolo in una battuta de La Dea Dell'Amore: “Sono del
tutto superfluo.”, “Oh, ti senti poco bene?”). Tempo fa, nel
corso di una conversazione formale – quella che segue i
convenevoli, per intenderci -, il mio interlocutore si è definito
'lascivo' nel tentativo di sottolineare la propria scarsa propensione
all'impegno (!). E va da sé che, considerata la natura di questo
blog, calcolo e scrittura non vengono presi in considerazione:
inseriti nell'equazione, alzerebbero le percentuali emerse dallo
studio a livelli persino non credibili.
Questo spiega molte delle difficoltà,
delle scocciature, dei disagi e delle nevrosi nei rapporti
interpersonali occasionalmente intrattenuti nell'anno 2015 (vedi
luoghi pubblici). La maggiore correttezza, grammaticale, sintattica e
formale (stilistica) nella comunicazione incontra, quando non il
riso, lo sguardo condiscendente dell'interlocutore e versioni non
richieste.
Essendo appassionato alla lettura,
sovente vengo colto da conoscenti impegnato in questa attività. È
verificabile da chiunque come l'ignoranza comporti, nei soggetti che
ne sono portatori, una strana forma di curiosità nei confronti
dell'oggetto (libro) della loro repulsione – sorta di intellettuale
flagranza di reato. “Che stai leggendo?” è il quesito unico e
ricorrente. Sapendo per esperienza che, quantomeno delle mie letture,
questi inquisitori sui generis sono del tutto all'oscuro, da
tempo replico muto, rivolgendo all'interlocutore solo la copertina
del libro. Che faccia da sé: l'analfabeta funzionale è comunque in
grado di leggere. L'ultima volta è capitato con le Lezioni
Preliminari Di Filosofia di Giuseppe Semerari. La reazione? “Oh,
Signore: no, grazie.”
Faccio parte di quella schiera –
nutrita - di persone che hanno vissuto il cosiddetto dramma
scolastico. Bocciature, ripetizioni, sospensioni, assenze
ingiustificate, squalifiche morali e psicologiche, bullismo, acne. Ma, raggiunta la maggiore età e la consapevolezza di
una ignoranza imbarazzante, il rifugio è stato lo studio. E da
Gutenberg in avanti, non mi risulta sia stato praticato per
infusione. Tocca forse allo psicologo, più che all'intellettuale
puro, tentare di spiegare, oggi, la natura di questa bibliofobia
dalle conseguenze culturalmente devastanti.
Indro Montanelli, al culmine della
carriera, concluse che “più si parla e più si è fraintesi”. In
questi tempi di diffusa, ma latente, ignoranza, venire fraintesi
potrebbe persino essere visto come un risultato in positivo.