Non è esaltato dalla serie televisiva,
ed anche nel film di Michele Placido – sebbene impersonato da
Stefano Accorsi – non emerge. Solo nel suo parto originale, quello
cartaceo, il commissario Nicola Scialoja è presentato per ciò che
è: giovane, in gamba; coraggioso; affrancato da ogni protezione
corporativa e politica; intelligente, testa calda e solo. Cioè
arredato di tutti quegli orpelli che fanno di una persona un eroe.
Eppure nessuno, parlando del fenomeno
Romanzo Criminale, ha mai citato Scialoja allo stesso modo e con la
stessa frequenza del Freddo, del Nero, Dandi, “Libbano” o di
altri personaggi similari. Mai sentito dire “che ganzo, Scialoja!”,
come sovente avviene, invece, per i criminali del 'Romanzo'.
Anche nel film la caratterizzazione dei
personaggi sembra conferire maggiore rilievo alla frangia criminale
(si pensi al Nero, impersonato da Riccardo Scamarcio: bello,
fascinoso, giovane, aitante e letale. Fino a quando non lo si vede
prelevare una persona dalla stazione di Bologna il 2 agosto 1980 -
azione che lo riconsegna istantaneamente al giudizio sulla sua vera
natura -, chi non si innamorerebbe di uno così?).
Nikita Nabokov diceva che la buona
letteratura è quella che suscita in noi velleità letterarie. Ed è
proprio questo che il meccanismo narrativo di Romanzo Criminale
attiva nell'inconscio dell'italiano medio: la sua parte criminale
(che non si concretizza, ma nemmeno gli consente un moto empatico nei
confronti del commissario). Una giustizia disposta ad avvalersi di
una persona come Scialoja, fa paura, all'italiano medio. Potrebbe, di
fatto, restituire noi un paese nel quale le doppie vite, fatte di
sotterfugi, appoggi non dichiarati ed apparente legalità,
risulterebbero non più praticabili. Nel quale, per farsi strada,
verrebbe finalmente richiesto, impegno, dedizione, coraggio e il
rispetto delle regole del gioco. Ecco spiegate, forse, le ragioni di
questa tendenza.
È stato Pulp Fiction di Quentin
Tarantino il primo film che, in Italia, ha estetizzato i gangsters
al punto da farne fonte di citazione per schiere di illetterati (Il
Padrino di Francis Ford Coppola si limitò, al tempo, alla semplice
loro rappresentazine). Con una differenza, però. Pulp Fiction è un
film su criminali visti da criminali; in azione, cioè, nel loro
habitat naturale. Mentre in Romanzo Criminale – il libro -
lo scontro tre bene e male è presente, voluto: non vi si può
sfuggire, ed obbliga ad una presa di posizione. (Quando parteggi per
Julius o per Wolf, ritenendoli migliori di un Vincent che si fa
ammazzare seduto sulla tazza, sei già compromesso: hai solo scelto
il meno peggio. Ma c'è una via d'uscita: affrontare le brutalità
pulp con cinica ironia – ridervi sopra, in tal modo
esorcizzandola - e se non disponete di senso dell'umorismo siete
semplicemente da compatire.
Nei tredici anni lungo i quali si
dipana la vicenda del 'Romanzo' – dal sequestro Moro ai giorni che
precedono Tangentopoli -, Nicola Scialoja intercetta, a pelle prima e
con l'investigazione dopo, tutte le dinamiche che oggi sappiamo avere
caratterizzato quel periodo travagliato. Il muro di gomma,
l'eterodirezione, la squalifica, la carriera per volontà politica.
dinamiche che noi tutti possiamo sperimentare nel nostro quotidiano
da civili, e che Scialoja, da tutore dell'ordine, esperisce con uno
sconcerto che girerà in cinismo.
Certo: è anche una bella testa calda,
Scialoja. Ama fare di testa sua, in barba alle regole. Ma sempre alla
ricerca appassionata della giustizia ad ogni costo – motivo che
dovrebbe permetterci di amarlo ulteriormente, ma che ancora non basta
per fare di lui un eroe nazional-popolare. Nella nostra sovente
disperata vita nazionale, la risposta di Scialoja all'opportunista,
irriconoscente Sandra Reynald - “Fregare quanti più bastardi
possibile.” -, dovrebbe suonare come vero e proprio grido di
battaglia cui dare supporto ogni qual volta avanzato dai più
valorosi dei tutori dell'ordine; e da far risuonare al nostro interno
quando di fronte a soprusi, prepotenze e sotterfugi del nostro
quotidiano.
Nicola Scialoja. Commissario di Polizia
tra il sequestro Moro e l'avvento di Tangentopoli; successivamente
direttore dell'”Ufficio logistica e informazioni sulla criminalità
del Ministero degli interni […]. Non si e mai sposato.”
Un eroe dei nostri tempi.