Faccio fronte a quello che spero sia un momentaneo blocco dello scrittore, ospitando un articolo bello e intressante, scritto da Francesca G. Camisa, psicologa psicoterapeuta.
Si tratta di un argomento duro da affrontare, sicuramente controcorrente.
Una posizione che, in questa giornata speciale dedicata un grande problema dell'essere donna, acquista un rilievo particolarissimo.
Un punto di vista nuovo, meritevole di una lettura attenta.
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Si tratta di un argomento duro da affrontare, sicuramente controcorrente.
Una posizione che, in questa giornata speciale dedicata un grande problema dell'essere donna, acquista un rilievo particolarissimo.
Un punto di vista nuovo, meritevole di una lettura attenta.
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“SE
SOLO POTESSI TORNARE INDIETRO .. NON DIVENTEREI MADRE”
Parto da quel concetto che
considera l'amore materno circolare, come fosse una sfera. La
perfezione, in una sola parola. Può accadere di vivere la gravidanza
come una bolla che ci “ingloba” e ci contiene al suo interno
facendoci sentire tutt'uno col nostro grembo, fagocitate dal “dentro”
e indistinte dal “fuori”, attraverso un legame inequivocabile con
la nostra creatura. “Come sarà quest'avventura? Cosa mi attende di
qui a breve?” Sono le domande senza risposta che una quasi-mamma si
pone in silenzio, per riscoprire il senso di questi interrogativi
giorno dopo giorno grazie al legame imprescindibile che va prendendo
forma col figlio, dove la riscoperta della vita fa rinascere
emozioni. E' lo stupore continuo, inaspettato: ricordo l'espressione
rapita della mia bambina durante il racconto della sua prima
Cenerentola (un libro quasi storico e fuori produzione che lei ha
ereditato da me). Attraverso la fiaba e la sua narrazione, la mia
infanzia più bella riaffiorava e diventava sguardo nel suo sguardo,
che mi restituiva colmo di nuovi significati (il Vecchio che fa
nascere il Nuovo). I figli sono come le rose, mai senza spine
aggiungo. Accompagnarli e guidarli nella loro crescita è un percorso
complesso e accidentato. Così mi chiedo: è sufficiente un SÌ
convinto proveniente dal nostro mondo interno quando decidiamo di
dare la vita per farci diventare madri ipso facto? O
diventare mamma è una conquista necessaria per potersi poi prendere
cura delle nostre creature? Talvolta il SÌ diventa un FORSE, che
sfocerà nel DOPO e che si potrebbe trasformare in un MAI. Orna
Donath, Sociologa e Ricercatrice dell'Università di Tel Aviv nel suo
saggio Regretting Motherhood,
divenuto anche libro tradotto in diverse lingue va oltre per
raccontarci del così detto MAI PIÚ NELLA VITA, ossia il rimpianto
materno. Donne divenute madri di più figli e persino nonne che,
guardando alla loro esperienza materna la definiscono attraverso il
pentimento ed il rimorso (“se tornassi indietro sapendo quello
che so oggi deciderei di non avere mai e poi mai figli”).
Attraverso le 23 interviste realizzate con donne tra i 20 ed i 70
anni, la Donath si addentra nel materno utilizzando un concetto
chiave: ambivalenza. Essa è il sentimento fondativo della
maternità, il materno è ambivalenza. Si crea un'equazione
perfetta tra le due che include oscillazioni tra amore e
risentimento, il rancore ed il senso di colpa opposti alla tenerezza,
la frustrazione che fa breccia tra la gioia. Per la Donath il
rimpianto dell'esperienza materna può giungere al punto limite: il
sentimento d'inadeguatezza e di ambivalenza, il rifiuto di un ruolo
sociale imposto fatto di aspettative eccelse donano sfumature inedite
alla maternità ed alla genitorialità, così da farle virare verso
il cupo, oltre le ombre che ben conosciamo .. . Il “peso”
dell'essere madre è eccessivo, nell'accezione dell'insieme di
responsabilità quotidiane e di una cura esclusiva dei figli affidata
ad uno solo dei genitori: la mamma. Dalla ricerca della Donath emerge
come sia possibile “amare i propri figli incondizionatamente” ma
rimpiangere l'esperienza materna in sé, in quanto foriera di disagi
ed infelicità non previsti; la maternità, come ogni altra
esperienza porta l'impronta della soggettività e della
personalizzazione. Qui, la donna è portatrice di sentimenti e
bisogni che s'intrecciano al suo ruolo, al suo contesto sociale e
religioso, alla sua etnia di provenienza. Possiamo notare la tendenza
da tempo (sopratutto nella società italiana) ad appiattire
l'identità femminile su di quella materna allo scopo di ottenere
coincidenza perfetta che non considera invece la maternità come
esperienza in divenire e alquanto fragile, imperfetta (la buona
madre tutta-mamma e solo mamma, dove l'identità di donna si
annulla per far posto a quella di madre). Scopriamo così che il
rimpianto unisce il passato al presente e al “desiderabile”. Il
nostro contesto sociale è culturale, ideologico e cattolico,
pretende di stabilire quali emozioni siano ritenute appropriate
rispetto al ruolo materno. C'è qui una divaricazione evidente tra
codice femminile e codice materno. Il primo ha subito
un'evoluzione: la donna dipendente, fragile, incapace di autonomia
economica e sociale, costretta a gravitare nella sfera maschile alla
ricerca di sicurezza e protezione per sé ed i suoi figli ha lasciato
il posto alla consapevolezza individuale, all'indipendenza
finanziaria e ad un ruolo sociale forte, oltre ad una relazione di
coppia paritetica fatta di libertà di scelte (sulla maternità, il
divorzio, la professione). E il codice materno? È rimasto identico
al passato: tradizionale, romantico, assoluto, soccorrevole e
statico. Colei che non si adegua ad esso sarà identificata come una
cattiva mamma. E' la madre che si occupa dei figli: il vuoto sociale
(dovuto alla mancanza di servizi per l'infanzia e l'adolescenza), il
disinteresse politico che considera i figli un prolungamento materno
invece che soggetti con diritti e doveri sui quali investire
amplificano e alimentano sentimenti che nutrono l'ambivalenza
materna. Essa si alterna di continuo tra amore e odio e diventa
esperienza dinamica di conflitto. Questo ci riporta alla ricerca
sociologica di Regretting motherhood: le madri pentite, così
come le non madri per scelta si ritrovano ad avere a che fare con
norme sociali che le considerano al di fuori del sistema
normativo. Il sentimento di esclusione (e della non appartenenza)
grava sulla loro coscienza e trasforma a livello fantasmatico il
futuro bambino come Altro-da-Sé minaccioso, da temere. Se la paura
della non appartenenza sfocia nella scelta di una maternità,
quest'ultima verrà vissuta forse come transizione automatica ed
irriflessiva, confusa. La conseguente negazione del ruolo di mamma e
del percorso intrapreso per diventarlo è una mera conseguenza così
come il desiderio di cancellare “idealmente” l'esperienza materna
vissuta. Anche la clinica della fecondazione assistita e le
esperienze di depressione e di ansia invalidante a partire dalla
gravidanza fino al periodo del post partum evidenziano il fatto che
il codice femminile non è più al servizio di quello materno dal
quale ha preso le distanze. Non mancano così le versioni patologiche
opposte alla maternità, che testimoniano in altro modo la difficoltà
a costruire il nostro percorso di madri, fatto di simboli, di
presenza ma anche assenza e separazione necessarie. Esistono oggi
madri ipermoderne, concentrate in maniera univoca su di sé e sui
propri bisogni, incapaci di decentrarsi rispetto al figlio ritenuto
una sorta di traino che non dev'essere d'ingombro, per non
rischiare di guastare la propria immagine narcisistica (la madre
narcisista, appunto). Un'altra versione corrisponde alla
mamma-coccodrillo, indistinta dal figlio, presa da un rapporto con
lui di sola fusione e appartenenza reciproca ideale, influenzato dal
fantasma dell'onnipotenza.
Il desiderio materno se
trasceso nel figlio lo aiuta ad acquisire il desiderio della vita, un
desiderio unico nel suo genere, grazie ad una madre che riconosce il
figlio come tale. La mamma ideale è tramontata? Forse sì. Se
iniziassimo a dare spazio a quest'idea potremmo incominciare ad
elaborare la sofferenza della perdita, e consentire a queste verità
nuove di farsi strada dentro di noi.
Dott.ssa Francesca G. Camìsa
BIBLIOGRAFIA
O. Donath, Regretting Motherhood: a Sociopolitical Analysis, University of Chicago,
2014.
M. Recalcati, Le mani
della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno.
LaFeltrinelli Editore, 2015.
E. Rosci, estratto da La
maternità può attendere, Mondadori Editore, 2013, intervista
all'autrice sul “Corriere della sera – la 24esima ora” del
11/05/2013.