domenica 18 ottobre 2020

SUPERCULT. 'Fight Club' 20'anni dopo.

Lasciato finalmente libero in casa, ho potuto rivedere con calma – e, devo dire, immensa eccitazione - Fight Club, il film di David Fincher che 20 e più anni fa lanciò Brad Pitt, a ragion veduta, nell'olimpo dei grandi attori di Hollywood, così strappandolo ad una carriera che, dopo lo stucchevole Vi Presento Joe Black, rischiava di cristallizzarsi in ruoli assai remunerativi e su misura per un pubblico femminile astutamente erotizzato dall'industria cinematografica californiana. Ho notato che non solo, il film, non ha perso smalto (la recitazione è persuasiva, la fotografia attuale e dettagliatissima, la colonna sonora e la regia da cult movie): rivisto dopo l'undici settembre, il passaggio di Katrina, Occupy Wall Street, il caso Snowden, le proteste di Hong Kong, la pandemia, i fatti di Minneapolis e quant'altro di devastante abbia investito la società globalizzata dal termine della presidenza Clinton, rivela agli occhi degli spettatori, in particolar modo di coloro che lo hanno amato fin da subito, una carica profetica così forte da farne seduta stante uno dei film più importanti, rilevanti, degli ultimi decenni. Do per scontato, a questo punto, che, in quanto lettori assidui di Sala Colloqui, abbiate visto il film e conosciate alcune delle sue tante, davvero memorabili sequenze. Il nido Ikea, le immagini subliminali pornografiche, i gruppi di auto-aiuto, Tyler Durden, il disastro aereo, la cabina di proiezione, la finta rapina al supermercato, le minacce al capo della Polizia, il furto del grasso da liposuzione. Chi più ne ha più ne metta. Vale forse la pena di riflettere sul fatto che 21 anni fa, grazie ad una bella dose di coraggio (perché ce ne vuole, nella vita come nella professione), un regista con le strapalle quale è David Fincher, riuscì a persuadere una major di Hollywood a produrre un film le cui tematiche, in Italia, ancora oggi, non troverebbero una porta aperta anche proponendole singolarmente. (Ho visto, giusto settimana scorsa, l'ultimo film di Daniele Lucchetti, Lacci: tutto già visto e sentito, ben fatto, ottimo cast, ma una totale mancanza di argomenti. Viene da chiedersi, e non è la prima volta, se i nostri cineasti vadano mai al cinema a vedere il lavoro dei colleghi.). Fight Club non è un film sulla violenza (davvero fuorviante leggerlo così): è un film sull'anestetizzazione operata dalla società sugli individui, che ha come prima conseguenza il cinismo dilagante (di questi nostri giorni, osservabile ovunque), la radicalizzazione dei comportamenti (sport estremi, afterhours, sexting) ed il vuoto di senso (nichilismo). È narrato superbamente, ed ogni sforzo richiesto allo spettatore per seguire la vicenda davvero folle del protagonista è guarnita con ironia invidiabile e politicamente scorrettissima (su tutti il flashback dove il saponificatore Brad Pitt è ripreso nel mentre, nella veste di proiezionista, è intento a montare fotogrammi porno in film per famiglie). L'alter ego del protagonista, ad un certo punto, lamenta in maniera veemente l'assenza e l'inadeguatezza del padre. Ho realizzato solo allora, rivedendolo, quanto un simile passo possa avere costituito ostacolo nella distribuzione e nella promozione di questa pellicola nel paese – il nostro - che, sette anni più tardi, avrebbe dato vita a quella manifestazione dell'orgoglio bigotto che è stato il Family Day. Assai più facile – più comodo e confortevole - produrre stagionalmente il 'cinepanettone' o la commedia con il comico del momento – puntualmente identico a quello precedente. Nel cinema di David Fincher c'è un piacere quasi infantile – nel senso di istinto non mediato - nel sondare le oscurità più profonde dell'animo umano. Impresa che, in questo film, compie attraverso movimenti di camera lenti e precisi, come quelli di chi, in una cantina buia, muove i passi con attenzione, non per paura, bensì per memorizzare con precisione spazi, odori e sensazioni. Ed ecco, allora, l'impiego sapiente della sceneggiatura, che allenta la tensione per mezzo della battuta, della boutade, dello spunto originale. Ma soprattutto, il cinema di Fincher è finzione – che è poi il tratto di tutto il grande cinema. I tanti che, negli anni subito seguenti il grande successo della pellicola, si sono messi alla ricerca dei fight clubs che ritenevano esistenti ed operanti, hanno dimostrato quanto realmente fosse abissale il vuoto di molte esistenze, proprio come evidenziato dal film e dal sorprendente romanzo di Chuck Palahniuk che ne ha dato spunto. Non violenza, quindi, ma, appunto, la disponibilità, quasi prona a tutto, da parte di alcuni individui particolarmente disperati, al fine unico di colmare il vuoto insostenibile delle proprie esistenze (e come non ricordare, qui, il momento dove in combattimento si riconosce il giovane prete che, poco prima aveva reagito goffamente ad una provocazione del club?). Insomma un film che, come tutte le grandi opere, continua, a decenni dalla sua uscita nelle sale, a fornire spunti di riflessione a coloro che hanno orecchi per intendere ed occhi per vedere.

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