martedì 28 aprile 2020

FUORI DAL TEMPO. Dario Brunori canta O Bella Ciao.


Dario Brunori prova i canti per la messa delle 10:00.
Brunori sa! È financo sancito dal titolo del programma televisivo dedicatogli, un po' di tempo fa, da Rai 3 (ma va da sé che, ormai, a Rai 3, basta l'inchino alle persone giuste – giuste per il momento, beninteso – e le sue porte si spalancano come per magia, vedi il caso Recalcati). Sa così tante cose, Brunori, che ieri l'altro, 25 aprile, una volta svegliatosi, ha realizzato subito quale era, quella giusta da fare: strimpellare O Bella Ciao in diretta streaming (me lo si lasci dire: una delle canzoni più tristi e deprimenti mai sentite, roba che, al confronto, i primi Cure erano degli allegroni). Un bel messaggio in codice che, se va bene, garantirà al nostro un futuro di facili contratti – magari propiziati dagli amici del 'terzo canale'.
In verità, Brunori non sa un cazzo. Non sa niente di niente. Fidatevi di me. Brunori non è il guru che certi intellettuali danno a credere: Brunori è uno skipper, un talento innato, cioè, nel capire alla prima annusata la direzione del vento per la giornata odierna. Quelli come Brunori si ispirano - o, quanto meno così vogliono farci credere - ai valori di coloro che fecero la Resistenza (breve ripasso: un gruppo numericamente modesto di patrioti divenuto massa, sul finire della guerra, quando i più capirono che 'quei pochi' – i partigiani – stavano arrivando con i 'i tanti' – gli alleati – seriamente intenzionati, gli uni di concerto con gli altri, a regolare i conti una volta per tutte). In quale modo i valori del 1945 si adattino, secondo le logiche brunoriane, ai tempi odierni, non è dato capire (nel video, il nostro, non spiffera parola). Primo perché i giornalisti deputati a ciò (vedi alla voce 'critici musicali') se ne guardano bene dal chiederlo - sia mai che salti loro il posto, per cotanto azzardo. Secondo perché, da parte dei pochi coraggiosi rimasti nella categoria, c'è la quasi assoluta certezza che la risposta eventuale ad un simile quesito sarebbe un verso di O Bella Ciao, magari con corredo di strimpellata di chitarra, o, peggio, qualche fumosa risposta, tutta da interpretare. Qualcosa di simile alla scena spassosissima de La Grande Bellezza, quando il protagonista, Jep, intervista la performer Talia Concept chiedendole di spiegare la propria arte, senza ottenere alcunché. “Senta... Io di lei, finora, ho solo fuffa non pubblicabile. Se lei pensa che io mi lasci abbindolare da cose tipo: 'io sono un'artista e non ho bisogno di spiegare' è fuori strada.”. In un paese culturalmente diverso da quello in cui viviamo, questa sarebbe la giusta risposta alle strimpellate in luogo di chiare prese di posizione.
Nonostante un mondo flagellato dalla pandemia, dallo spionaggio incondizionato, dalla manipolazione dell'informazione, dalla disillusione pressoché totale nei confronti della politica tutta, dalle guerre intenzionalmente agite sui cilvili, dalla corruzione imperante, dagli indici borsistici come termometro del benessere globale, dalle diseguaglianze di ogni sorta, dall'analfabetismo di ritorno e dalla morte per fame, ecco: la risposta di uno come Brunori, reputato mente sopraffina e rappresentativo della sua generazione, è O Bella Ciao. È la risposta a tutto di quelli come lui: vecchi, inadeguati, fuori dal tempo. Ma, checché se ne dica, rappresentativi, più che della generazione cui appartengono, del nulla di un paese che da 75 anni festeggia come una vittoria il giorno nel quale perdette la guerra. Cantano le gesta di patrioti che erano, presumibilmente, quanto di più lontano vi sia, stilisticamente ed eticamente, da soggetti come Brunori (che, a giudicare da certi discorsi che si sentono oggigiorno, non sono pochi). Ignorano – o fingono di ignorare - quasi del tutto le opere e le parole di uomini e donne straordinari quali Edward Snowden, Laura Poitras, James Natchwey, Daniel Baremboim, Bruce Dickinson, Sebastião Salgado, Chesley Sullenberger, Mohamed Ben Kilani, Johnny Greenwood, Ken Loach, Gherardo Colombo e molti, molti altri.
Ha ragione Michele Monina, che di Brunori ha scritto: “Sentire brani che sembrano provini, per come suonano e per come sono composti, infastidisce. Si capisce che sarebbero potuti diventare altro, decisamente meglio, e che invece no, ci si è fermati subito, perché tanto si è naif, va bene così.”.
Questo è l'indie, in Italia. Un'opportunità come un'altra per godere di visibilità e delle sue supposte benefiche conseguenze.
L'arte al servizio del principe.
Come sempre.

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