Tom Cruise in Magnolia, di P.T. Anderson. |
Motivare significa, in un'ottica psicologica, adoperarsi ad
attivare nell'altro quelle capacità che gli sono proprie, al fine di
conseguire, nel migliore dei modi, l'obiettivo preposto.
Probabile che l'avvento del motivatore lo si sia avuto in ambito sportivo con la
figura del moderno allenatore di stampo statunitense (da cui i
termini, ottusamente mutuati dall'Inglese, di coach e mister), tecnicamente preparato, ma anche dotato di una filosofia, volgarmente detta vincente, e di una visione forte, persuasiva, della vita.
(Il
tutor stesso può
essere inteso come figura motivazionale in quanto, sorto nelle scuole
di recupero, ancora oggi, ha il compito, ideale, di creare
nell'allievo recalcitrante un meccanismo di autostima ed un metodo di
apprendimento, più che di inculcare nozioni molto più facilmente
apprendibili in autonomia una volta conseguite le condizione espresse nei due precedenti
punti.).
Si
può quindi facilmente cadere nel tranello di credere l'insegnante un
motivatore, con il consguente, pericoloso sbilanciamento della
responsabilità dell'apprendimento dall'allievo al
docente. Da un punto di vista tecnico, è sicuramente sbagliato. Da
quello psicologico (lo ha spiegato benissimo Massimo Recalcati ne
L'Ora Di Lezione) l'insegnamento è un rapporto a due, e certo, se il
fine è quello di innamorarsi del sapere, serve, in chi apprende, una
buona dose di motivazione, sempre intesa come riconoscimento di
capacità uniche attraverso le quali può svolgersi ogni
trasmissione.
Detto questo, il
motivatore può umiliare? No.
Di
fronte ad un problema, il motivatore può sicuramente esprimere il
proprio biasimo, le proprie riserve, la propria disapprovazione,
sempre però vincolando il giudizio non al mancato raggiungimento del
fine preposto (umiliazione), bensì al non aver impiegato quelle
qualità personali che sono in ognuno (motivazione) e che solo se
messe in campo possono portare a risultati caratterizzati da uno
stile (gratificazione), non stupida ripetizione di gesti o parole.
Ad
esempio. Il motivatore che affronta il soggetto riversandogli addosso
voci e giudizi terzi, nel tentativo, si presume, di generare una
reazione di orgoglio, confonde se stesso con il galvanizzatore, il
cui compito è quello di attivare l'azione nel soggetto ad ogni costo
e condizione, prestando, pertanto, un pessimo servizio alla causa
motivazionale.
Nella
fase iniziale, il rapporto motivatore/soggetto è sbilanciato a
favore del primo. Qui lo sport, ancora una volta, è foriero di esempi. Vi sono molti
atleti, specie negli sport di squadra, il cui potenziale fatica ad
esprimenrsi in campo perché messi in difficoltà dal pubblico,
dall'avversario, perché timorosi di essere pesantemente giudicati
per un errore o per la propria giovane età. Ecco: in questi casi, la
dipendenza da un buon motivatore (allenatore) è quasi totale. Ma è
anche chiaro che un simile rapporto può avere solo una durata
limitata, deve risolversi con la crescita del soggetto in direzione
della massima autonomia.
Forse
il peggior motivatore è proprio colui che, attraverso l'impiego
delle cosiddette mezze verità, vincola a sé anziché liberare,
impedendo in tal modo l'espressione di potenziali che potrebbero,
invece, fare la differenza (come sempre accade con un apporto
genuinamente personale).
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