sabato 30 giugno 2018

HOT FOR TEACHER. Con Il Supplente, Rai2 fa scempio del concetto di istruzione.


È con assoluto sconcerto che constato a quale orrido livello è ormai giunto il servizio televisivo pubblico.
Nel corso del rituale zapping serale – pratica certo poco intellettuale, ma dettata dall'immancabile stanchezza fisica -, l'occhio non ha potuto non registrare la visione spaventosa di un'aula scolastica con tanto di alunni ed un tracotante J-Ax – sì, il rapper 'de noantri' - in veste di insegnante.
Per qualche istante ho mentito a me stesso, fingendo di non interessarmene, proseguendo quindi nella nevrotica ricerca di altri programmi o di maggiormente edificanti visioni. Ma più mi allontanavo da Rai2 – ultima enclave di quel centro-sinistra sterminato alle recenti amministrative - più la curiosità, l'interesse, si faceva assillante.
Il Supplente – mi rimetto per dignità alla descrizione fornita dall'ufficio-stampa dell'emittente - “è il nuovo factual di Rai2, ideato e prodotto da Palomar Entertaiment” (si noti l'assenza e del corsivo e delle alternative virgolette semplici ad adeguatamente soppesare l'aggettivo factual, come altri anglismi cooptato nell'italiano non ad arricchimento, bensì a sostituzione di un vocabolario-madre sempre meno ricco, efficace e posseduto). In che cosa consista il factual, lasciamo che sia lo quello stesso ufficio a spiegarcelo quando ne avrà voglia. Nomen omen, dicevano gli antenati della nostra cultura in disfacimento. E quanto avevano ragione... Quanta presunzione nel darsi, come casa di produzione, un nome così impegnativo. Italo Calvino, parlando del suo romanzo, ne diede succinta descrizione come di una ricerca del dettaglio letterario volta verso l'alto, suggerita dalle iperboliche innovazioni dell'osservatorio di Mount Palomar, allora in completamento. Si ha qui l'impressione forte, invece, di essere di fronte ad una ricerca rivolta verso il basso, trivellazione verso picchi abissali di spudoratezza ed ipocrisia che non meritano di essere spartiti con le vette letterarie di Calvino. Ma torniamo a noi.
Praticamente con la bava alla bocca, mi sono risintonizzato su Rai2, dove ho colto il rapper nazionale intento a profondersi, con un malcelato affanno espositivo, in una lezione – si fa per dire - su Alan Turing, il matematico britannico considerato dalla storiografia ufficiale il padre dell'informatica. Lo introduce con un coup de thèâtre, scoprendo per la supposta gioia e sorpresa dei ragazzi in aula un vecchio computer Apple. Parte quindi con la narrazione di come il talento logico di Turing venne scoperto in un frangente strategico per la guerra tra Inghilterra e Germania – comprovato storicamente, ma del tutto sommario per l'approfondimento della figura di Turing, mente ancora oggi accessibile da pochi. La grazia espositiva di J-Ax è quella di chi ha appreso quelle nozioni giusto la settimana prima, magari attraverso l'ascolto protratto in cuffia, tipo tecnica di condizionamento. “Per fortuna c'era Alan Turing”, dice il nostro. Fortuna? E in cosa sarebbe consistita, questa fortuna? Da quando J-ax si occupa di storiografia? Forse l'unica fortuna, se il pensiero di Turing avesse trovato maggiore diffusione ed applicazione tra le fasce non specialistiche della popolazione, è che uno come J-ax non avrebbe non solo potuto aspirare ad un ruolo di supplenza, ma nemmeno ad una carriera nello spettacolo.
Detto questo, scopro, sempre attraverso la pagina web del programma, che nel bacino dei supplenti certificati Rai si trovano, oltre al già citato J-ax: Mara Maionchi, Enrico Mentana, Flavio Insinna, Roberto Saviano. Una badessa, un egocentrico patologico, un arbitro di tombola ed un bravo giornalista d'inchiesta - sebbene visibilmente pentito delle troppe verità narrate, e pertanto costretto ad un'esistenza sotto scorta.
Insomma: siamo sicuri che, sapendo i nostri ragazzi in aula con questo corpo supplente, noi non si abbia nulla da ridire?
Sinceri. Questa visione della supplenza, a mio parere, tradisce purtroppo la visione che sia Rai sia Palomar Entertainment hanno del cosiddetto ruolo: la concezione, contributo di vent'anni di berlusconismo, che, se non appari, sei nessuno.
Ecco spiegata la mediocrità dilagante del nostro paese, i tanti talenti a passeggio per le vie del centro o – quando è peggio – chiusi in casa.
Chiusi in casa, magari, proprio a guardare Il Supplente.
E a domandarsi se quella raccomandazione che non hanno mai avuto il coraggio di chiedere avrebbe forse fatto la differenza.

giovedì 21 giugno 2018

KILL 'EM ALL (UCCIDETELI TUTTI). La sindrome di Taxi Driver.


Mi è capitato, qualche mese fa, di sentire entusiasticamente descritto questo blog come giustizialista (!): “Lui (io, n.d.r.), vede qualcuno che non attraversa sulle strisce pedonali, scrive e gli fa il culo.”.
Giustizialista e permaloso.
Dovessi basare l'attività l'attività di redazione di Sala Colloqui sul livello di comprensione di certi suoi lettori, potrei chiudere seduta stante.
Diceva il grande Indro Montanelli che più si parla e più si è fraintesi. E se lo diceva il maestro...
Sta di fatto che, nel continuo scansare questi giudizi imbarazzanti, una certa sete di giustizialismo ed una crescente insofferenza per lo sfregio quotidiano del codice della strada mi hanno fatto visita.
Arona. Lunedì 11 luglio. Ore 10:12. Centro città. Sono parcheggiato in attesa che mia moglie termini una serie di improcrastinabili commissioni. Essendo ormai insofferente, per deformazione professionale, nei confronti di qualsivoglia forma di attesa, impiego il tempo leggendo un libro. Il volume: La Parola Ai Giovani, di Umberto Galimberti - testo notevolissimo, paradossalmente, proprio per le osservazioni dello stesso Galimberti, che di anni, però, ne ha 76. Ecco il passo nel quale sto immerso: “Quanto all'esempio, che è l'unica cosa che serve dai dodici anni in poi quando le parole dei genitori diventano ininfluenti, vedendo i genitori di oggi, non mi pare ce ne siano di molto edificanti.”.
Il tempo di leggere queste poche, ma severe, righe ed ecco materializzarsi davanti a me una lussuosissima macchina famigliare. Indugia. Si ferma. Le sue intenzioni, quanto a manovre, risultano subito incerte. Nessun segnale di direzione che venga in aiuto agli altri automobilisti. Pochi secondi e il traffico è bloccato. Altri indugi e, all'improvviso, la manovra risolutrice: retromarcia alla vigliacca e parcheggio su strisce pedonali, con assoluta noncuranza di coloro che proprio in quell'istante si apprestano ad impegnarle.
Dalla macchina scende una donna nella sessantina: scarpe da ginnastica, jeans e camicia. I capi d'abbigliamento sono intonsi. Dai sedili posteriori fanno la loro apparizione due bambini, età tra 8 e 10. Se ne deduce sia la nonna (ad altre, mostruose eventualità non voglio nemmeno pensare). Ora la cura della donna è tutta per i marmocchi: li guida sul marciapiede, occupato parzialmente da uno degli pneumatici, ond'evitare loro gli sfioramenti da parte delle vetture che lei stessa ha contribuito a bloccare. Dell'ingorgo creato, degli impedimenti ai pedoni, delle infrazioni plurime commesse in simultanea, nemmeno l'ombra di un pensiero. “Dai, su: andiamo a prendere la focaccia”, dice. Destinazione: panetteria downtown da cinque euri (!) al trancio.
Vorrei chiamare la Municipale, ma destino vuole che il telefono sia scarico. Quand'ecco giungere alle mie spalle una macchina dei Carabinieri, che rallenta, svolta e...
Se ne va.
nessuna delle stramaledette cose che hai fatto in questi ultimi quattro anni, compresa quella di farti ingravidare, cambierà la situazione...
Un amico dell'Arma non perde occasione, quando ci incontriamo, di ricordarmi che, se i Carabinieri si riducono a dirigere il traffico, allora è davvero finita. Certo è, però, che una bella rimozione per intervento della pattuglia avrebbe dato vita ad esultanze da stadio.
Ecco. Come ho detto in apertura, è certo che io predichi al vento e che, con molta probabilità, me lo meriti. Ma consola constatare che questo desolante destino è condiviso anche da una mente eccelsa quale quella del professor Galimberti.
Ancora. È probabile che i marmocchi scarrozzati da nonnina siano esseri superiori che, vuoi per evoluzione psicologica vuoi per il coraggio di una seria psicoterapia, in età adulta saranno in grado di scostarsi radicalmente da questi aberrazioni del comportamento civico. Ma è anche vero che dal banano fioriscono banane, ed è impresa ardua modificarli affinché diano mele.
Certe figure parentali, a volte è meglio perderle che trovarle.
...non era mia intenzione farlo davanti a te. E questo mi dispiace. Ma puoi credermi sulla parola, tua madre se l'è cercata. Quando sarai grande, se la cosa ti brucerà ancora e vorrai vendicarti, io ti aspetterò...
P.S. Le citazioni in corsivo sono tratte da Kill Bill Vol. 1, di Quentin Tarantino;

sabato 9 giugno 2018

TORNARE HA SQUOLA. Il dilagare dell'ignoranza nell'era dell'iperconnettività.


A quale titolo posso io, modesto scrivano di provincia, ergermi a giudice dell'ignoranza altrui, costituente l'oggetto di questo scritto?
Come direbbe Adriano Celentano: perché sono il re degli ignoranti.
Per giudicare - facoltà sacrosanta - persone e cose, “parole, opere ed omissioni”, bisogna conoscere ed averne fatto esperienza.
Sono stato – e mi sento spesso ancor ora – un ignorante. Ho vissuto questa condizione, pagandone le conseguenze, quando ero ragazzo, ma sempre provandone vergogna. Sentimento, questo, che è stato, successivamente, il motore per una più sana e produttiva spinta alla conoscenza.
Mi è quindi da sempre assai facile riconoscere l'occhio bovino, la fuffa, la farina degli altrui sacchi, la voce spacciata per opinione, il plagio, la sparata e i tanti altri mezzucci impiegati dagli ignoranti per farsi belli (frustrazione, insicurezza, mancanza di autostima, senso di inadeguatezza fanno anche parte del loro bagaglio, ma senza che essi ne siano consapevoli). Li riconosco perché sono stato uno di loro.
Sia chiaro: ignorante non è tanto la persona che ignora la conoscenza (siamo e saremo sempre tutti carenti, da questo punto di vista), quanto quella che ignora il desiderio di conoscenza, che non ne avverte la spinta. Senza non si va da nessuna parte. Ed il desiderio di conoscenza, va ricordato, si manifesta per mezzo di un sintomo, di rado latente e quasi sempre manifesto, che è la lettura. Ci si guardi in giro. Escludendo gli studenti con il loro carico di letture obbligatorie (il nostro, piaccia o no, è divenuto un paese di laureati, e ciò dimostra che nemmeno l'università è più un argine all'ignoranza straripante): in quante persone vi imbattete, quotidianamente, impegnate nella lettura o dichiaranti di avere delle letture in corso? Le uniche sue manifestazioni sono oggi affidate ai portatori di readers, inganno culturale per eccellenza, con i quali si pretende di esibire una mole di letture da teologo medievale per il solo fatto di poterle tecnicamente stoccare in detto dispositivo. Sui titoli, sul numero di testi letti e sul loro livello di assimilazione, però, credo sia del tutto superfluo indagare: basta sentire i discorsi di questi dilettanti della lettura per rendersi conto dell'assoluta vacuità delle singole voci.
Detto questo, è da diverso tempo che mi imbatto quotidianamente in sacche di ignoranza da primi anni '60, diverse da quest'ultime solo per il lessico impiegatovi - che è quello imposto della rivoluzione digitale -, ma per il resto di una arretratezza deprimente per l'anno 2018, e che spiega, giustifica, i ripetuti allarmi sul livello di alfabetizzazione del nostro paese. Persone ignorantissime e ciarliere, totalmente prive di vergogna, senso del ridicolo, introspezione. Vittime certamente dell'orizzontalità elargita dalla rete, ma da questa mutate in carnefici (le argomentazioni anche di poco conto hanno infatti un loro grado di nocività). Abitazioni senza alcuna traccia di carta stampata, senza librerie; la formazione di un'opinione sentita solo come necessità di secondo grado, come un hobby. Impera la concezione – errata e del tutto inconscia – che noi si nasca geneticamente dotati delle giuste e sufficienti conoscenze per la sopravvivenza nel quotidiano. Fatto salvo, però, al primo dubbio, l'interrogare il telefono cellulare, sia per risalire ad un passo evangelico come al numero di veli della carta igenica.
Da qui la mia crescente difficoltà a relazionarmi senza esibire un'espressione da cerbiatto abbattuto.
Scopo dei libri dovrebbe essere quello di farci sentire un po' meno soli, sosteneva David Foster Wallace. Beh, con buona pace di colui che forse è stato il più grande, sembra che anche questa risorsa non stia dando i risultati sperati.
Sentirsi meno soli, in termini culturali, sta a significare condividere ed argomentare. E quanto questa pratica risulti sempre più difficile, lo si può tutti sperimentare ogni giorno di persona. Questo sgangheratissimo blog, nei suoi quasi tre anni di vita, ha fornito ripetuti, spiacevolissimi esempi di fraintendimento, da parte anche di lettori sinceramente affezionati ad esso, ma ai quali il messaggio è giunto in maniera pesantemente distorta rispetto ai propositi di partenza. Accetto la mia parte di responsabilità – che c'è ed è innegabile. Spesso, proprio nel rileggere queste pagine, sono posto di fronte ai loro limiti quanto a scorrevolezza e chiarezza sintattica. Ugualmente, non mi sembrano meritare giudizi di illeggibilità o di intenzionale, snobistica complessità. Può essere che io non sappia con esattezza a quale pubblico mi rivolga o da quale pubblico sia costituito primariamente il bacino dei lettori. Vero. E allora spingiamoci oltre.
Da una recente ricerca da parte dell'Associazione Italiana Editori è emerso che – udite, udite! - quasi il 40% dei managers italiani non legge. Dato, a mio parere, calmierato per difetto, a sentire gli imbarazzanti discorsi di molti della categoria. Traduco: significa che, dei tuoi capi – in costante proliferazione, nell'italietta 2018 -, una metà è costituita da perfetti ignoranti (le ormai celeberrime capre di Vittorio Sgarbi), con una zona di confine dove i più 'colti', visto l'accrescersi inarrestabile dei compensi spesso anche in assenza di risultato, potrebbero nottetempo optare per la via breve ed accrescere le fila dei colleghi illetterati.
Quale malsana presunzione si nasconde dietro il rifiuto intenzionale della lettura?
Non posso, a questo punto, non ricordare uno dei miei grandi amori letterari, Primo Levi, quando, nel gennaio 1945, abbandonato nel Lager di Auschwitz-Birkenau e certo di morirvi, prese a leggere un libro lasciatogli con ipocrita benevolenza da un medico in fuga insieme alle SS:
Il romanzo di Roger Vercel è un caso particolare: credo che abbia un suo valore intrinseco, ma è importante per me per ragioni mie private, simboliche e pregnanti, perché l'ho letto in un giorno (il 18 gennaio 1945) in cui aspettavo di morire. (La Ricerca Delle Radici, 1981)
E ancora:
Passai il pomeriggio a leggere il libro lasciato dal medico... Continuai a leggere fino a tarda ora. (Se Questo è Un Uomo, 1947)
È, a mio parere, il più grande, commovente emblema della resistenza dell'uomo inteso come essere culturale.
Leggere. Sperimentare nuovi mondi – questo lo scopo - persino nei luoghi dove la notte dell'umanità è stata più profonda. Si può leggere, e trovarne conforto, persino ad un passo dalla fine.
È ora di tornare a scuola. e di profondervi il massimo dell'impegno.
Le nostra generazione, per molta dell'ignoranza che la contraddistingue, non ha alibi.