Qualcuno
di voi ricorda la battuta di Cochi Ponzoni, quella che fa: “Ma lo
sa che lei è un mio grande ammiratore?”?
Se è così, ciò significa che siete vecchi quanto me, e quindi in
grado di ricordare che, quando il comico milanese andava
pronunciandola all'apice della carriera, in quel di Dublino gli U2
non erano ancora nati.
Questo fa capire quanta influenza egli abbia avuto sul gruppo irlandese, se questo, 40'anni dopo, va ad intitolare il suo ultimo singolo You're The Best Thing About Me, sei la miglior cosa di me, titolatura ponzoniana al 100%, ma portatrice, diversamente dall'originale, di infinita tristezza.
Questo fa capire quanta influenza egli abbia avuto sul gruppo irlandese, se questo, 40'anni dopo, va ad intitolare il suo ultimo singolo You're The Best Thing About Me, sei la miglior cosa di me, titolatura ponzoniana al 100%, ma portatrice, diversamente dall'originale, di infinita tristezza.
Perché
messe da parte tutte quelle baggianate romantiche (l'innamorato che
vive nell'altro e via dicendo), la fuffa sui riferimenti alla Motown
(!) e le supposte tragedie personali (il peggiore di tutti i ricatti:
la pietà), qui si sta parlando di persone prossime alla sessantina,
stelle conclamate del rock
(o di quel che vi resta), egocentrici di primo livello, a partire dal
loro leader
indiscusso, Bono, che tanto hanno coltivato il proprio ego
in questi decenni dall'essersi ridotti a non vedere altro che se
stessi e a convincere di ciò un po' tutti coloro che vi lavorano
insieme. Non ultimo il regista (!) svedese Jonas Åkerlund,
responsabile dello spaventoso videoclip.
Partiamo
da qui.
L'arte
del video musicale è un'arte complicata. Richiede, oltre che
sensibilità, una bella dose di inconfessabile videodipendenza (per
capirci: guardi incantato tutta l'opera di Stanley Kubrik, ma anche
le repliche di Uomini & Donne, in entrambi i casi traendone
ispirazione). Questo non è un videoclip:
è, a tutti gli effetti, una marchetta, un video promozionale. Va
bene se sei appena uscito da X Factor. Non va bene per nulla se sei
un pluripremiato ed affermato gruppo musicale in attività. E poi:
basta con gli irlandesi a New York. È storia risaputa, come quella
degli italiani del Bronx. Sono storie da bandire, se l'unico utilizzo
deve essere quello strumentale del luogo comune. La firma degli
autografi, i selfies
con i fans,
l'ennesimo concerto sul rimorchio lungo la quinta strada, la skyline
sullo sfondo, ammiccamenti e saluti alla folla che neanche papa
Francesco. Decisamente, non ci troviamo nel territorio del non-visto,
del visionario.
Musicalmente
siamo davvero ai quattro soliti accordi, al punto da dubitare che
quelli impiegati siano frutto di una scelta artistica. Suono la
chitarra da quando ero ragazzo, e come loro sono stato un
autodidatta. È tipico di questa categoria arenarsi sui famosi, soliti
quattro accordi, fatte salve le eccezioni costituite dai talenti
(cinque, sei, non di più, e i quattro irlandesi ne sono esclusi). Negli
anni ho allargato di molto la mia concezione armonica, non per grazia
ricevuta (non sono Bono), bensì attraverso la fatica dello studio.
In altre parole: non c'è oratorio dove lo strimpellatore ufficiale
non sia in grado di riprodurre qualsivoglia successo recente del
quartetto irlandese nel giro di un pomeriggio. Pensate sia possibile
con ogni altro celebre artista? Certo che no. Provate con dei brani del fu
Michael Jackson – giusto per citare uno che non era propriamente di
nicchia -: impazzirete molto prima di quanto pensiate.
Quanto
all'analisi del testo, più che risparmiarvela, non ci penso proprio,
a farla. Ci sono legioni di mentecatti cui compete questo compito.
Perché a questi si rivolgono, ormai, gli U2.
Il colpo di grazia è
assestato dalla foto di copertina, dove la figlia di Edge -
espressione vacua, capigliatura da ospite di casa circondariale
pre-Basaglia - è ritratta da Anton Corbjin in uno scatto
sorprendentemente privo di ogni significato, se non quello di
un'autoreferenzialità che coinvolge persino la prole. (Alla faccia
della libertà di espressione, signor Corbjin! E per fortuna che che
i grandi familisti, i nepotisti d'Europa siamo noi italiani, signor
Evans!).
Visionarietà,
profondità, sperimentazione, sensibilità. Caratteristiche una volta
appartenute alla band irlandese e che oggi sono appalto di ben altre,
diverse formazioni.
Come
quella che ha visto coinvolti Arcade Fire ed il regista Tarik Minou,
per lo strepitoso videoclip
di Creature
Comforts,
che sarà l'oggetto del prossimo post.
Sempre
che i fans degli U2 non si rivelino permalosi e mi attendano sotto
casa.
Nessun commento:
Posta un commento