A distanza di oltre dieci anni, ho
rivisto La Ricerca Della Felicità, il film che sancì l'ingresso di
Gabriele Muccino nel circuito delle mega-produzioni statunitensi.
Molto acqua è passata sotto i ponti,
da allora. Per il mondo (il film, che narra della
risalita dalla rovina finanziaria, venne girato
due anni prima del fallimento di Lehman Bros.). Per Muccino (il
Gabriele nazionale è, in quel di Hollywood, un resident director
apprezzato e premiato). Per chi scrive (sono padre di una bambina
che ha, oggi, la stessa età del piccolo co-protagonista).
TRAMA
San Francisco, 1981. Chris Gardner è
un uomo di colore, impiegato nel settore delle vendite. Gli affari
non vanno bene, peggiorano a vista d'occhio. La sua precaria
situazione sentimentale collassa, e ai problemi occupazionali si
aggiunge la custodia del figlio. Per i due ha inizio un'inesorabile
discesa verso l'indigenza, con tanto di sfratto, notti all'addiaccio,
mense e dormitori pubblici. Chris non si arrende, però: oltre a
chiudere con le pregresse situazioni debitorie, conquista a fatica
(deve affrontare un lungo stage non retribuito) un impiego
dignitoso dal quale ha inizio la personale riscossa. I titoli di coda
raccontano allo spettatore che, nel 2006, il protagonista ha
realizzato una fortuna milionaria vendendo una quota dell'azienda di
investimenti da egli fondata 20 anni prima. Quella di Chris Gardner è
una storia vera. The end.
SVOLGIMENTO
La rappresentazione che Gabriele
Muccino fornisce di questa vicenda, sebbene apprezzabile da un punto
di vista tecnico, non è di natura meramente cinematografica, bensì
teatrale, un debole presente già allora nella sua produzione come in
tantissimo altro cinema (si riveda, a suffragio di questa tesi, la
bella sequenza di meta-arte in Ricordati di Me, che tanto deve a
Magnolia di Paul T. Anderson, dove la narrazione trova svolgimento e
risoluzione nel corso di una recita teatrale; e non si dimentichi che
è proprio dopo avere visto questo film che Will Smith ha espresso il
desiderio di essere diretto da Muccino). Questa del suo esordio
americano è, a tutti gli effetti, una riuscita rappresentazione
edificante e moraleggiante come piace agli Yankees, ma priva – si
suppone per scelta - di quella visione che dovrebbe, invece, essere
propria di un'opera cinematografica. Narrazioni. Racconti. Molto ben
fatti. Ma nessuna visione spiccatamente cinematografica.
La felicità sbandierata nel titolo
(fedele all'originale The Pursuit Of Happyness) è qui
candidamente confusa con la dignità (ma va da sé che, quando
accetti di farti produrre per 55 milioni di dollari da una major
statunitense e sei all'esordio in quel contesto, certe debolezze
vanno accettate acriticamente). I fantasmi dei padri fondatori
distorcono la visione USA delle cose. Felicità è, per l'americano
medio, il successo lavorativo conseguito attraverso l'adeguamento al
sistema, esentando quest'ultimo da qualsivoglia critica. È questo il
messaggio che trapela dalla pellicola: il sistema che abbandona padre
e figlio all'indigenza, è lo stesso che permette al protagonista di
ottenere un posto di lavoro degno di questo nome. Non v'è ricerca
alcuna: solo un mettersi al riparo nelle pieghe subdolamente
confortevoli del sistema. Sebbene il protagonista affermi, sul
finale, che la difficilissima, sfiancante, conquista del posto di
lavoro rappresenti per lui quello che realmente è la felicità
(significativo il fatto che la battuta venga pronunciata su di una
sequenza dove Chris Gardner, fresco di assunzione, scende fiero in
strada per unirsi alla massa fino a scomparire quasi del tutto),
quella cui si assiste è in realtà ben altro tipo di ricerca. Questo
padre che, di fronte al figlio, lotta per essere un padre della legge
e un padre capace di fornire una testimonianza (la definizione è di
Massimo Recalcati), per fare sì che l'ultimo faro nella notte del
suo piccolo non si spenga lasciandolo senza speranza; che sa
offrirgli protezione; che sa preservare la sua innocenza; che non
rinuncia allo studio e alla crescita personale persino nel più
tragico dei frangenti – e grandiosamente interpretato da Will
Smith, in primi piani di profonda disperazione umana ed immensa
dignità genitoriale, capaci di fornire allo spettatore la vera misura morale
di questa vicenda -; questo padre è, piuttosto, alla 'ricerca della dignità' -
intento nobile ed umanissimo che consegue, prima ancora che con sé
stesso, agli occhi imploranti del suo piccolo.
È impensabile che un'icona come Will
Smith non abbia intravisto, nell'accettare questo ruolo, anche
un'occasione per riaffermare il proprio orgoglio nero (Opportunismo,
il suo, del tutto giustificato, comprensibile e condivisibile. Si
ricordi, infatti, che il film venne girato un anno dopo
l'attraversamento di New Orleans da parte dell'uragano Katrina,
evento che, oltre al passare agli annali per la straordinaria scia di
morte lasciata lungo il cammino, definitivamente chiarì al mondo
intero quello che era al momento il peso specifico della comunità
nera negli Stati Uniti d'America: nullo.).
La Ricerca Della Felicità sembra
proprio un film il cui messaggio è sfuggito di mano ai suoi stessi
autori.
La Ricerca Della Felicità è un film
sul padre.