IL BLOG DI STEFANO PARENZAN
(Nessuno uscirà vivo da qui)
lunedì 2 marzo 2020
OUT OF ENGLAND. Gli italiani e l'Inglese dopo la Brexit.
Lo 'Union Jack' secondo l'artista britannico Banksy.
Giorni
fa, Boris Johnson, il primo ministro inglese, ha reso noti i
requisiti che, nell'Inghilterra post-brexit,
verranno ritenuti essenziali ai fini dell'ottenimento di un visto UK
per soggiorno o lavoro. La lingua inglese sarà un requisito
imprescindibile, e questo mi ha fatto subito pensare ai tanti
italiani residenti a vario titolo, certificato o millantato, nel
Regno Unito. Quelli, per capirci, che “vado a Londra” e
puntualmente si accampano a Camden, circondati di connazionali, a
perpetrare il mito infamante dell'italiano medio. Per costoro si annuncia una stretta
che renderà il futuro lavorativo eresidenziale alquanto incerto. Quale sarà il livello
di capacità linguistica necessario ad evitare un imbarazzante -
quanto improbabile – rimpatrio? Quello di Johnson, elitario e
sudista, od il semplice, formale livello basic
ottenibile con uno sforzo intellettuale minimo? Sono quasi certo che
nemmeno il ministero competente sia in grado, in questo momento, di
rispondere a questo semplice quesito. La mia impressione è che nel
Regno Unito non vi sia grande chiarezza sul da farsi, in questa fase
storica, e che le parole di Johnson non valgano più delle sparate di
Matteo Salvini. È l'euforia del momento, a dettarle. Ben altra cosa
è farne un programma serio di controllo degli accessi. D'altronde,
gli stessi inglesi sono i primi a non saper pronunciare senza scadere
nel ridicolo due parole che non appartengano alla lingua madre: hanno
solo avuto la grande fortuna di vederla imposta come seconda lingua
per il resto del mondo. Vedremo. Per tornare ai nostri “cervelli in
fuga”, ad assistere a certe prestazioni linguistiche, si ha davvero
l'impressione che molti di essi - alcuni, senza dubbio, eccellenze
assai gradite all'estero - in tutto siano stati impegnati fuorché
nello studio dell'Inglese, vera e propria bestia nera di ogni
italiano, da sempre. Si pensi, ad esempio, al caso scandaloso di
Radio Freccia, emittente di musica rock
con ottimi ascolti in termini numerici, i cui conduttori,
quotidianamente, danno prova di un rapporto con l'Inglese a dir poco
travagliato (occuparsi di musica rock
senza conoscere l'Inglese è come voler approfondire la musica di
Richard Wagner bellamente ignorando il Tedesco: impossibile). Giorni fa, la conduttrice di turno propone agli ascoltatori la lettura
dell'ennesima biografia di musicista rock
(genere letterariamente ignobile, ma va da sé che ad un pubblico
come quello di Radio Freccia difficilmente altre e migliori letture
possono essere sottoposte). Attenzione: non lo fa con la consueta
edizione tradotta: si arrischia a consigliarne l'originale in
Inglese. Il lavoro, ennesimo resoconto degli eccessi
pre-pensionamento di Ozzy Osbourne, reca il titolo The
Nine Lives Of Ozzy Osbourne.
La nostra conduttrice lo legge, masbagliandone marchianamente la
pronuncia (“livs”). Lancia quindi un ascolto in tema e, terminato
questo, torna con slancio inconsapevole alla sua bella marchetta.
Ripete il titolo con l'identico errore. Altra sviolinata sul madman
e quindi via con nuovi ascolti. Si noti questo. Tra l'errore e la sua
ripetizione, passano svariati minuti. Un arco di tempo più che
sufficiente a qualunque essere umano con un bagaglio culturale
ordinario per accorgersi delle brutta figura e suggerirne la
correzione. Intervento che, nel caso in questione, però, non ha
luogo, facendo sospettare identici problemi con l'Inglese vi siano
anche da parte di redazione e regia. Questa, a mio parere, è
l'Italia. Una nazione che da una parte si sopravvaluta (esempio ne è
il numero via via crescente dei cosiddetti 'tuttologi'), dall'altra
una che nutre, a propria difesa, la malcelata certezza che il
prossimo sia sempre un inetto o un cretino. Non si spiegano in altro
modo, le figure barbine che gli italiani fanno quotidianamente,
quando tocca loro di impiegare l'Inglese. Molti dicono che queste
sono da attribuirsi alla mancanza d'amore per la lingua di
Shakespeare. Anche a voler seguire questa logica infantile, perché,
allora, impegnarsi in tutti quegli ambiti dove l'Inglese è la lingua
ufficiale? Ingegneri, musicisti, scienziati, astronauti, piloti,
tecnici informatici, medici con alti livelli di specializzazione:
come può essere possibile ricoprire questi ruoli senza avere
dimestichezza con l'Inglese? È come odiare il latino e poi
iscriversi al liceo classico. In occasione della recente cerimonia di
consegna dei GlobeAwards
(gli Oscars
di serie b conferiti dalla stampa estera residente a Hollywood),
Ricky Gervais, nel mostrarsi stupito per l'ennesimo invito a
presentarne la serata (causa l'ironia spietata e tagliente messa in
campo nelle precedenti occasioni), ha dichiarato: “Per mia fortuna,
la stampa estera di Hollywood, a malapena parla Inglese.” (“Lucky
for me, the Hollywood foreign press can barely speak English.”). Il
problema è quindi condiviso, e non esclusivo del 'bel paese'.
Ugualmente, trovo irritante l'atteggiamento degli italiani quando
hanno a che fare con l'Inglese: denota provincialismo – che, a ben
vedere, è uno dei nostri grandi problemi, quello con le più gravose conseguenze su tutto il resto. Per nostra fortuna,
questa situazione è destinata a non durare a lungo. La Cina sempre
più imporrà al mondo, similmente a quanto fatto 75 anni fa dagli
Stati Uniti d'America, la propria egemonia, fino a quando la lingua
di Confucio diverrà ufficialmente ciò che oggi l'Inglese fatica
sempre più ad essere: una lingua franca, in grado di garantire quel
minimo di informazione senza il quale il mondo globalizzato, come noi
tutti lo conosciamo, non può esistere. Quelli come me, a ragion
veduta, saranno considerati dei matusa, tutti ripiegati su di una
lingua dei tempi che furono, di quando eravamo giovani, esattamente
come io ed i miei compagni vedevamo gli insegnanti di Francese negli
anni '80, quando l'insorgere del bilinguismo anglosassone cominciava
a farsi largo a spallate. Io stesso, quest'oggi, non saprei scrivere
il nome di un solo uomo politico cinese – a riprova che la
selezione è già cominciata. God
save the Queen,
musi gialli.
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