giovedì 12 marzo 2020

NOTTE HORROR. Il 'monologo' di Diletta Leotta a Sanremo.


"Essere o non essere? Questo, è il problema."
Ho frequentato il teatro di prosa per un tempo sufficiente a poter dire, con cognizione di causa, che il monologo è genere squisitamente teatrale, nel quale gli attori chiamati ad interpretarlo sono portati, per tradizione, alla propria, massima espressione virtuosistica, similmente a quanto avviene in musica con l'assolo. Si da per scontato che esso – il monologo – sia tributato al più bravo, al fuoriclasse della compagnia, e che da quest'ultimo sia spesso visto come riconoscimento della propria eccellenza, sovente conseguita al prezzo di grandi sacrifici, tipici di questa particolare scelta di vita. Si pensi – per fornire, qui, un esempio pop – alla performance di Jack Nicholson in The Shining di Stanley Kubrick, dove la pazzia crescente del protagonista è resa attraverso i tanti monologhi presenti nella sceneggiatura, e che ancora oggi, a 40'anni di distanza, rappresenta la più grande interpretazione nella carriera dell'attore statunitense (e quanto il cinema abbia mutuato dal teatro di prosa, e sia in qualche modo ed esso debitore, è argomento esaustivamente trattato ed appurato). Esternamente a questi ambiti, però, il termine vanta un'accezione prevalentemente negativa, in quanto connota spietatamente l'atteggiamento di coloro di parlano come da un pulpito, sordi alle parole altrui ed incapaci di dialogare. Per nuovamente esemplificare: il papa, quando parla, tiene un discorso. Piaccia o no, ne ha titolo e, sovente, l'autorità. Ma dire che ha fatto un monologo è invece diplomaticamente irrispettoso ed obiettivamente infamante. Implica un parlare addosso più tipico dei suoi predecessori medievali che dei prelati assurti in tempi moderni al soglio pontificio. Similmente, dire che qualcuno ha fatto un monologo, non è esattamente un complimento.
Per tutti questi motivi, quando YouTube, giorni fa, mi ha proposto 'monologo di Diletta Leotta a Sanremo' per mezzo il suo fantasmagorico algoritmo, la curiosità ha avuto il sopravvento, facendomi così avventurare in sei minuti di imbarazzo, seguiti da giudizi sessisti bestemmiati a voce bassa che non mi è stato possibile trattenere.

Da tempo, al Festival di Sanremo, va di moda impiegare il termine con evidente abuso. Nessuno dei suoi ospiti – e prego tutti di risparmiarmi la descrizione del tipo umano che maggiormente alletta la dirigenza artistica della manifestazione – tiene un discorso: fanno monologhi. Come Laurence Oliver.

E così è capitato anche alla nostra di tenerne uno. Sulla bellezza (un argomento così ricco di asperità che persino i filosofi, quando si occupano di estetica, si guardano bene dell'affrontare con la guardia abbassata). Avevo già avuto qualche sospetto quando, in una recente pubblicità di intimo, Leotta è apparsa in uno spot con tette strizzate e zero battute. Nemmeno uno slogan striminzito (curioso, per una che solo qualche mese dopo riceve un invito a monologare).

Ora, che un uomo, di questi tempi, attacchi una bella figa perché parla, si sa, non porta lontano (a proposito: congratulazioni alle donne di MeToo, che giusto ieri hanno assicurato Harvey Weinstein a 23, meritati anni di reclusione, dopo averlo denunciato in branco e non prima di essersi assicurate rendita a Hollywood e proprietà a Laurel Canyon). Invito pertanto tutti voi a munirvi di un sacchetto per il vomito e a visionare in autonomia il filmato del monologo in questione, che trovate di seguito (se poi ne avete voglia, fatevi due risate leggendo i commenti disparati che questa performance ha scatenato).

Personalmente, rimango con un dubbio – per quanto tutt'altro che amletico -: ma, gli autori del Festival di Sanremo, chi sono? Scrivono queste mostruosità perché vi credono, o più semplicemente, attagliano forma e contenuto al tipo di pubblico cui sanno bene di rivolgersi (quesito retorico: la risposta esatta è la numero due)? Quanto a Diletta Leotta, colpisce l'assoluta assenza di vergogna con la quale si è fatta il processo in diretta televisiva, naturalmente assolvendosi con formula piena (io so' io e voi nun siete 'n cazzo). Ha solo un alibi: l'aver ricevuto un tale compenso da permettersi, dopo questa figura barbina, di farsi dimenticare per un po', magari svernando ai tropici in una struttura sei stelle deluxe (da dove è però certo verrà inviato via social un numero di scatti con maglietta bagnata che nemmeno Salgado in tutta la sua carriera ha numericamente mai fatto).

Dobbiamo, però, essere onesti. Né il Festival né la prestazione di Leotta sono risultati un insuccesso. Tutt'altro. Ottimi indici di ascolto e grande favore per musica, i testi ed ospiti.
Al che si giunge al nocciolo della questione: il pubblico di Sanremo e quello della televisione generalista.
Il primo è vecchio, decaduto, figlio mediocre di quella piccola e borghesia imprenditoriale che, in tempi non sospetti, ha fatto dell'Italia quello che non era: un paese industrializzato. Che in una manifestazione come il Festival vedeva davvero il meritato svago dalle lunghe, spesso dure, giornate di lavoro - e nella presenza all'Ariston l'attestazione di un benessere consolidato. Ha vissuto nell'unica incarnazione concessagli, il baüscia, protagonista della trasformazione della Costa Smeralda in un arcipelago di località da pappone con prezzi da usura, e della riviera di ponente in un buen ritiro a poche miglia dalla salvezza fiscale. Pretendere anche solo un pensiero da una categoria che altro non ha saputo concepire se non il proprio, particolare interesse, è pia illusione. Che la stessa partorisca un pensiero critico di fronte ad un delirio come quello appena ascoltato, fantascienza.

Il secondo, invece, è il popolino ormai stracotto da decenni di palinsesti televisivi a guida unica, completamente defraudato di ogni possibità di scelta razionale, ma non per questo incolpevole della propria situazione. È il teledipedente così come profetizzato da David Foster Wallace, privo degli strumenti culturali - metalinguistici - necessari a leggere tra le righe, ad interpretare parole ed azioni.

Con un siffatto pubblico, Diletta Leotta non ha nulla da temere.

Considerato il successo, c'è da attendersi il bis, con un bel monologo sul sesso.
Speriamo, almeno, ci risparmi gli esempi con nonna Elena.

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